La verde Moschea di Brussa

La verde Moschea di Brussa VIAGGIO 13ST TURCHIA La verde Moschea di Brussa —(Z> A-Iy JVOJSTRO INVIAT O)- BRUSSA, giugno, \tIn onore dei nuovi arrivali, la pa-\mdrona dell'albergo francese ha fatto scorrer* lidia la sera l'acqua per le piantine, della fontana nel giardino. Erra di nuovo la voce dell'acqua, rome d'un amico ritrovato, e par di riprendere un discorso internino. E questa strana signora in questo angolo d'Anatolia, rimasta francese, clic non parla altro che francese, vi sia dal 1890, come ho potuto vedere in un vecchio libro di turismo, e già nel '90 era vedova; il giardino è un mondo isolalo, straniero, e vi si sia come in un. rifugio. Anche l'età di questa signora padrona, s'è fermala; le suppellettili dell'albergo, i quadri, gli specchi, parlano il linguaggio di quarani'anni fa. In uno di questi quadri una giocane signora col lupe e il sellino alla gonna di faglia azzurra, fugge graziosamente davanti a una vespa. Il quadro è intitolato per l'appunto: La Vespa. Qiiesla era la galanteria ilei 1890. E questo albergo fu, un tempo, quando la Turchia era antieuropeo, un angolo rivo di Europa. Questa, signora pailrona sì vede passare (Incanti tanti mai uomini e forestieri che vengono dall'Europa. Non ha nessuna curiosila. La vigilia della festa Verso sera un signore canuto, in cappello duro, viene in giardino, e si vizile a esaminare le piante o a. spargere un .tacchetto di semi per un'aiuola smossa di fresco. Parla aneh'cgli francese. Una bambina, la sera, corre pel giardino, e grida nel suo natio francese; forse non ha mai veduto la Francia; la padrona sta. allenta ai suoi fiori; esce soltanto in carrozza: scommetto che in più di quaranl'anni di. vita turca ha, vissuto sempre così, da straniera. Pensa poi alla patria'.' La patria sua è questo pezzo di, terra, dove c'è l'ordine di un cantuccio d'Europa, e una cantina di buoni vini. La sua patria e la ■magnolia verdissima che fa segreto il giardino, il salotto col ritratto del marito, e il ritrailo di tri giovane. Non era bella neppur da giovane. Ma qtii ci si può dimenticare d'essere sotto altro cielo: se non fossero le costellazioni, la sera, che si dispongono in. diverso ordine, come se. d'un libro conosciuto si vedesse la inetà, d'una pagina lacerala; Il resto è di là dal mare. La mezzaluna sorge come l'insegna d'una bandiera ottomana: strana e nuova idea, della luna, che mi. viene in mente; ora cerco di vederla combinala su un iella, su una moschea, sii un albero, come se vi. fosse applicala di lucido rame. Ma cl- vmblsslcdschlvvttesuasfspffvbpaicnamlvsccmqsj cpdaq<sarnnqcsndgsmla fugge di casa in casa, d'albero \in albero. [Eccoci 'dunque confinati in questa atmosfera, come si leaqe in certii libri, di bambini che capitano ncl\sreqno deìte formiche e delle api. ll\cnneeìletto che si apre sulla- stradaiè la porla dell'avventura e dell'iano-\to; di là le donne del piccolo quar-\tiere ebraico parlano il loro iil,ido\e dolcetto spaglinolo. La sera è pie- na di smarrimento: nell'ombra, die-\' Iro le gelosie, parlano voci di don ve, attraverso la tenue luce si vedono i loro profili, e come stanno in gruppo. Venerdì, domani, è il giorno festivo dei turchi, come da noi la domenica. C'è un senso di pace come se la festa fosse arrivata all'improvviso. Con questa faccenda del venerdì festivo, non mi oriento più nei giorni, della settimana. Mi sono accorto che in noi il pensiero della domenica è coni? una misura interna, nè più ve meno, una misura ilei tempo fatta sulla capacità del nostro lavoro come sul ritmo d'un respiro. Ecco perchè ostinaiamente ognuno in Turchia celebra il giorno di riposo dei suoi avi: i turchi il venerdì, gli ebrei il sabato, i cristiani la domenica; e fra tante riforme della nuova Turchia quella d'un giorno unico di festa settimanale non l'ha tentata nessuno. Una musichetta s'è messa a suonare per la strada: è un piffero e una grancassa; un uomo, fra i due strumenli, porla sul petto un manifesto a stampa, che richiama a una pmsdmlotteria di Stalo. Il premio prende* nome dal ministro dell'Interno. E''la prima volta che sento in Turchia\una musica per la strada, e nellaìbsua funzione più semplic :. Natee,]aquesla, dal convello più primitivo! dell'armonia. Piffero e grancassa, lpiffero e grancassa, come la senli-\vva Pinocchio, e come la imitano iibambinii piripi bum bum. I suonai tori sono serii, quello che porla il mrtnifcslo cammina drillo senza voltar gli occhi; camminano sul ritmo della musica e sembra che debbano andare da paese a paese, all'infinito. Nè la gente per la strada si scuole; li lasciano passare come se sognassero. Ma quanto a musica, lasciate fare ai grammofoni americani; in Anatolia, questi propagandisti dei rumori che pare vogliano stordire il mondo con gli, stupefacenti delle loro macehinc sonore, hanno introdotto i dischi di musica locale. L'America è entrala nella rivoluzione turca per due falli: ha venduto qui abiti usali raccolti in tulio il mondo, e i cappelli usali al tempo della riforma del copricapo, e ha introdotto poi ì dischi di musica nazionale. Sono lunghi canti a una voce, senza accompagnamento, altro che qualche ralla di suoni forse di, pianoforte, che sembrano tonfi di sassi buttati in un lago; è una sola voce alta e nasale dal principio alla fine; credevo dapprima che fossero dischi europei di. dieci anni fa, sciupati, e inintellegibili. Sono invece i dischi di musica turca. Nelle botteghe di caffè, in città e in campagna, gli avventori che riempiono a tulle le ore questi locali si fanno incantare e immalinconire dalla voce che esce da qvsie trombe turchine e rosse dei grammofoni. Stanno attoniti a questo lamento, vi si fermano davanti, i ragazzi, e le donne li ascoltano dai loro ritiri; è una voce lontana e monoIona come la steppa, coni* i canti dei carrettieri certe notti lente: non si sa se sia canto d'amore e di dolore; è una. musica impastala, del sentimento di questa terra in cui la vita ha un solo accento, un solo atteggiamento, j copre sotto la slessa espressione le passioni umane segrete, gelose, indecifrabili. Ma. una sera, tornando a casa, nientedimeno senio uscire questi accenti da qualche parie: <( Doler nome che il. min cor — Test./ primo palpitar... ». Mi ricordo anch'io all'improvviso del passalo rome d'un mondo sommerso, ridono le primavere lontane e i dotei nomi. Non so dir l'impressione di questo canto italiano: la stanza da cui esciva mi parve contenesse una stagione diversa, quella voce di donna annullava una distanza, l'arco del suo calilo raggiungerà, una terra dove il. pudore ha inventalo il, gioco dell'arte per parlare delle passioni umane. Vidi poi che a Brutta vi sono italiani, e alcuni tengono una filanda di scia. L'Umbria turcaBrussa è nobile. Potrebbe chiamarsi l'Umbria della Turchia. Qui \so>'° 1 modelli più illustri dell'arie [turca, la Moschea Verde, la moschea Bajazelte, dove questo sultano è i sepolto, e giardini da re, cortili, \seminarii, tombe, famose e venerate \Qui l'arlc sorride con accenti per-i*'"»1- con pensieri di stirpe iranica; \c'è in essa senso coluto ed\aUo cne fa <lcllc arU originali di. \ll"als'lw<ll'a lmese unn sola zione anche se i. mezzi per esprimer-\si sono divertì. Anche la disposizio-' ne della villa ha un senso. L' dispo-sta per un pendio, su colli diversi, il cipresso e l'olivo la accostano all'Occidente; la sua vita minuta' ha un senso di slabilità, quanto instabile e sovrapposta pare quella di Istanbul. Un sentimento di vecchia razza l'assiste, l'aiuta il contatto con la terra e coi mestieri necessarii. C'è una sicurezza di cose vecchie e stabilite: la gente che fa. i suoi lavori all'aperto, le donne che scendono dai paesi a questo emporio e capoluogo, la vicenda della strada, tutta di genti del luogo, le merci tutte per gente del posto, senza una sola industria per forestieri. Ma andiindo alla Moschea Verde, all'ombra di un'altra piccola moschea, scorsi una toga romana, il gesto nulo d'una statua di pietra, il gesto, direi, oratorio della statua romana, e la faccia dal naso aquilino sulla lesta secca di questi antichi dominatori. « Anche qui ti ritrovo! » mi renne fatto di dire; e mi parve quella statua perorare in favore di un Giova mutilato, die un colpo di. * piccone aveva reso camuso come un 'Bacco, e che contemplava con gli oc\chi ottenebrati e terrosi il cielo. Abìbassando gU occhi sul selciato, mi ]accorsi che camminavo su frammen! ii di vecchio marmo, dove, qualche liciterà di iscrizione romana si legge\va ancora; col Q di qualche populuisipie che ha legato tante cose imi possibili. Anche qui ti ritrovo! lyPer- l a a e , o , a a n l , a , a e i e o o io re a a ri a a. di n o, e no e : eo o otei di a a no ril, sa o a che —- dissi ad un mio accompagna' lare, l'ottimo Nureddin — qui siamo in Bitinia, come la chiamò Roma ». — « Oh — mi disse Nureddin — qui si avvelenò Annibale fuggito ai Romani e tradito dal re di Bitinia Ni comede. E la Turchia non c'era ancora. E dove erano i Turchi? » — « Certo ancora lontani, ancora in viaggio verso l'Occidente, e non erano pervenuti a questa terra che fu il ponte del mondo awt-teo ». Forse il mio Nureddin si sentì ospite, di fre-^ sco arrivato nella sua terra, e mi disse premuroso : « Abbiamo un pie colo museo classico qua vicino ». Nel cortile di un seminario smes so, visitammo il museo. Sì, Roma, coi suoi Sextus, i suoi Lucius, i suoi Cairn era qui, e scene di convito su vecchie pietre, e l'assettarsi di quella vita ovunque allo stesso modo. E poi. le pietre bizantine che ripete vano le slesse scene, le stesse ambizioni, solo che i convitati erano già levati sui letti, e la colomba e la vite e i pesci appaiono nelle decorazioni, poiché è venuto il simbolismo cristiano a dare un sentimento de voto alte cose. Il sepolcro di Bajàzette aui e a è i, e r-, a; d di. r- o- o- i, la adi a n i. e aoatte a e, oil il oo hi » ve di di. n cbmi nhe eumr- Ma ecco che in una cellelta del museo, invece di trovare i frammenti di quel popolo romano che parve trasformare in simmXacrì tutte le pietra del mondo a lui noto trovai un giardiniere che, empiendosi la bocca d'aqua, la spruzzava su certi vasi di fiori, garofani e viole del pensiero. In un angola di questa cella, nè più, nè meno che oggetti da museo, un Gesiì schiodato, una Madonna dal manto azzurro, opere di arte commerciale modernissima, l'uno dolorante- eternamente, l'altra colma di grazie le mani aperte, as sistevano alla scena, cadali anch'essi, in un museo, in, quella confusio ne di favelle e di. religioni. Di dove provenivano? Come erano qui? Nel sepolcro di Bajazelte, dove il sarcofago a tetto spiovente, di mal toilette decorate, è circondato di altre tombe minori di spose e di cortigiani, e dove il turbante di quel monarca, di seta e di velo, è posalo con la tristezza finita delle stoffe an fiche, un'eco risponde a chi parla. Voi dite : « Bajazìd! ». Risponde da lutti gli angoli e dalla cupola, fre menilo come nella canna d'un organo, una voce grave che ripete la parola e il tono, portandolo tre ottave più sotto. E' come se rettificasse, in voce di basso profondo, e vi facesse sentire la vostra stessa voce divenuta spettrale. L'amico Nureddin mi disse : « Proviamo a dire una parola e intanto la moschea fremeva tutta cogliendo questo brontolio. Io cercai nella mia memoria, e dissi: a Ah! La cassa sonora ripeteva : Ah! con una voce che pareva venisse dalie viscere della terra, e avesse inghiottito quella sillaba. Non ho voluto affidarle una parola che significasse qualche cosa, tanto meno un nome che mi fosse caro. Mi sarebbe parso di darlo prigioniero là dentro. E questo ingenuo timore mi diceva di trovarmi di fronte a una storia, a una civiltà, a un passato; tutte cose da tenere in onore. Brutta è come una lunga strada a mezzacosta, che congiunge il mare e l'altojiiano. Qui passano le corriere ad autobus incredibilmente stipale di merci e di passeggeri, per i loro lunghi viaggi di otto e di dodici ore per monti e valii; i soldati conducono focosi poney mezzo arabi come se apprestassero un soccorso in prossimità d'una battaglia; le carrette a forma di culla, coperte e chiuse da tende, che percorrono 10 sterminato altopiano per giorni e giorni, sui sentieri mutevoli come 11 corso d'un torrente, passano anche di qui; le donne scalze coti l'asinelio e la creatura legata dietro le spalle, sono preoccupate di camminare, di faticare, di coprirsi col velo la bocca, di fumare la sigaretta. Sulia strada c'è il bazar, coperto, una galleria a forma di croce; dove è scoperto, il cielo fa da soffitto, ed è un bellissimo vedere; perchè ognuno vi sta come a casa sua, nel suo padiglione, come in un teatro. Levando gli occhi si scorge il salice, il cipresso, il sicomoro, la glicine, una cupola, ed è una curiosa impressione di interno e di esterno insieme, come te alberi e cupola fossero dipinti su uno scenario celeste. Come una scena di teatro dell'opera, insomma. Bei mestieri dell'uomo, falli sotto gli occhi di tulli, e quasi che le industrie meccaniche non fossero nsleadcsdpscdpnladdllemteptptircctrTtblsdfrr■mfvuescrecnscddtdfsdpvndpvdprlipUttsèmsdmvammRlnmreuqvaoemcsmmtnmtepèpsaa nate. Uno 'dipinge di viola ,e 'di rosso certe infinite serie di pianelle di egno; una compagnia di calzolai allinea sul marciapiede le ciabatte di cui sono calzali i vecchi turchi, con la punta ricurva in alto, {M'uso persiano, perchè siano più facili da piegare accosciandosi; una compagnia di tappezzieri, che ha per in segna una piccola coperta applicala a un bastone come uno stendardo, sta trapungendo su una coperta imbottita un bellissimo pavone. Bolle una immensa caldaia di atte, e già si coagula; 'da un vaso a un altro cola denso il miele. L'odore di queste cose, misto a quello dei cuoj, delle vernici, della cannel la, del zénzero, dell'incenso, a mile droghe sconosciute, e con il familiare odore della lana e del coone, fanno una sinfonia equivoca e squisita. Non dimenticherò, nel reparto degli alimenti, una donna che tiene un suo banco di zampetti di pecora. Qui si aggirano quasi soltanto donne, portano giù il latte e il miele, fanno le compere pel marito che passa la sua giornata al caffè; e il berrettino pei figlioli, ora che è d'obbligo, uno di quei berrettini da marinaio, con la visiera nera, che ragazzi e ragazze portano in Turchia, tulli uguali, e concia scritta: T. C. Repubblica Turca. Scambiano queste cose, atte volle, coi loro veli ricamati a fiori e frutti strani, d'argento e azzurri, verdi e d'argento, argento e viola; fiori e frutti somigliano vagamente a figure di donne, alcune con le braccia raccolte, altre che si tengono per mano; ed è, questo equivoco, una forma di pudore. Sono qwsti i loro veli festivi d'un tempo. Ora non usano più. Li comperano i forestieri e gli anliquarii. CORRADO ALVARO. rampcovdridedintrogstaddnpAsledsdmnqmslifrsdpmnsnlicinspdRtmdplalasnln

Persone citate: Bacco, Nureddin, Turchi