Il Santo delle canzoni

Il Santo delle canzoni Il Santo delle canzoni ROMA, giugno. Sono voluto ritornare, dopo molti an ni, a vedere la festa lateranense e mjpsono ritrovato in una Roma che noli era più noma, fra un popolo che noti era piii il popolo romano e con canzoni elio non erano certo canzoni romanesche. Ma in fondo anche la festa di San Giovanni non era più la festa di San Giovanni, così come ne avevamo veduto gli ultimi riflessi negli anni della giovinezza e come avevamo imparato a conosuerne le tradizioni gloriose nei sanciti di Gioachino Eelli o nelle lilogralle colorate del Thomas. Già il luogo era profoiidnmcnte trasformalo. Mezzo secolo fa, la città abitata Univa a S. Maria Maggiore. Dopo la Basilica di Papa Liberio, l'unica via Merulana, con la sua doppia bla di oimi gibbosi, si apriva tra le muraglie degii orti conventuali e delle ville parizie. Oli Aldobraudini, i Caprara, l Caetani, i Massimo, gli Altieri, alternavano i loro parchi sontuosi con le vigne rustiche e le villette discrete dei Cardinali. E intorno alla Basilica Lateranense e fumi della porla di San Giovanni si stendevano i grandi prati incolti, dove qualche osteria campestre ostentava i suoi pergolati e le sue altane inghirlandale di viti e borite d'oleandri. Tutto quel quartiere era lontanissimo e deserto, pieno di rovine e di eggende. Era stato in quell'angolo pieno d'ombra che Nerone — il medioevo è pieno di favole neronianc — immaginatosi d'essere incinto aveva partorito una rana, d'onde il titolo del palazzo sontuoso. Eia su quel crocevia che una statua di C.ibele aveva crealo la leggenda della papessa Giovanna. 11 Venerabile Bedtl — che non era mai stalo a Moina — aveva letto su (niella tal porta di bronzo le sette lettere profetiche e misteriose e il patrizio Giovanni aveva veduto in sogno cader la neve, in pieno agosto, su queir estremo limile dell' Esquilino dove sarebbe sorta per virtù di ciuci miracolo leggendario la grande Basilica di S. Maria Maggiore. 11 luogo pauroso c- deserto creava la leggenda: Sagana e Canidin. le due streghe romane, si davano convegno, là dove le tre U'cirds scozzesi accoglievano il pellegrino di Farres, venuto a Moina per purgarsi del regicidio. Perche rc.r Machet.um era venuto in pellegrinaggio a San Giovanni, come un limile penitente largitore di grandi elemosine, cosi come ì'emparor ò la barbe flcurie, il grande Garlomagnò vi ora venuto da conquistatore coi suoi paladini ospite di quel Papa Leone che faceva comporre in suo onore un grande triclinio in cui il mosaico augurale reca ancora l'iscrizione votiva: alleati Pctre dona vilam leoni et victoriam Regi Caroli dona ». Guglielmo Shakespeare si trova unilo con la « Chunson de Poland », e Gioachino Belli porge a Virgilio che in quid luogo, dove Mecenate aveva i suoi giardini e il suo auditorium, si recava in compagnia di Ora zio e di Ovidio, su quei malfamati crolli esquilint, che per la munificenza del suo animo, si potevano oramai aiutare impunemente. Sane licct Esauiliis ha lutare salubrtbus. Si: l'Esquillno, bonificato, può essere oramai centro di vita. Anche troppo Gazzarre di un tempo che fu Anche troppo, già che a poco u poco le ville sono stato distrutte, gli orli e le vigne trasformate in quartieri eleganti. Dove Riccardo Cuor di Leone fer niò il suo cavallo rifiutandosi di olire passare la porta che doveva condurlo dentro Poma. C'è oggi un chiomato grafo. Dove Gioachino Marat sostò i ricevere l'omaggio di quelli che sperava governare come sudditi, è sorta una gelateria popolare. Tutti i prati che un giorno si stendevano lungo la Via Appia nova, sono trasformati in quartieri popolari e il Cardinal Con salvi ritroverebbe la sua villetta lonta na, fra un o teatro di posa » e una staziono di autobus. Naturalménte, tutto ciò lin radicalmente trasformalo la l'< sta di San Giovanni. Un giorno, qudi do il quartiere era selvaggio e deserto e i piali offrivano il loro tappeto di nepitelle sotio lo scintillare degli astri il popolo vi si recava in comitiva a tra: scorrervi la notte. Le osterie erano in vase, ma una gran parte di festaioli portavano con sé i tegami dove avevano cotto le lumache con molto zenzero e mollo pomodoro e le cartate di porchetta arrosto. Ognuno recava anche un lume a petrolio, che posato sull'er ha illuminava con la sua breve luce rotonda ii banchetto improvvisato. Smangiava molto e si beveva moltissi ino. Dall'alto delie mura aurellane svedova la grande conca dell'Agro di scendere lino all'orizzonte marino, e qua e là tutta quella conca era costellata di luci, perchè I festini agresti si sten devano un po' da per tutto e non Univano the all'alba. Che trillare di rondini, allora, e che sfolgorio di luci rosee e dorate sui grandi santi barocchi benedicenti dall'alto della Basilica Laterana, e sulla croce dell'obelisco alessandrino e sui mosaici carolingi di Papa Leone. Era un' orgia fantastica, avan zantc-si lino al deserto laziale, che radunava ad un medesimo banchetto tutta quanta la plebe di Moina. Non diro che fosse mollo bella, né molto igie nica. ne molto morale: era ciucilo che allora erano un po' unte le feste popò lari, chiassose e violente, rumorose e battagliere. Il vicino ospedale di San Giovanni aveva un gran da fare a ricucire le li.'iiie che i coltelli dei rissai li aprivano in grande abbodanza, e il campanello che annunciava l'agonia d un accoltellato era largamente ricoper to dal frastuono della folla che gozzo vigliava sulla piazza e lungo le vie chi conducevano alla cattedrale di tutte U genti cristiane, la chiesa water et caput eli quanti si piegano sotto la benedizione del Pontefice romano. Debbo confessare che lo non rimpiango eccessivamente questo o color locale d'altri tempi », come non rimpiango il Carnevalele corse dei barberi, le ciociare di piazza di Spagna e ir. generale tutto il pi docchiumc; pittorico eccessivamente esaltato ma di ussai scarsa bellezza. jQuelle feste e quelle gazzarre poteva-lno essere curiose cento unni fa, come'lo erano il «lago, a piazza Navona, le giostre dei Tori e I fuochetti al Corea.iPotevano esser curiose e anche glustiu-cate quando il popolo doveva e poteva divertirsi a certe date fisse dell'anno,! prendendosi — e non sempre garbata- mente - la rivincita di una troppo uln. ga astinenza. Ma volerle mantenere invita oggi è un assurdo, prima perchè la città non è più quella di una volta come non ò più quella di una volta ila plebe che la abita; poi perchè lo spi-hrito delle, nuove generazioni è fonda- mentalmente e fortunatamente diverso. La nasata tifila canzone jCosi che non «ni sono meravigliato:affatto ni ho sospirato sulle memorie! d'aliri tompl quando ho constatato chejla festa di San Giovanni era tutt'altral cosa da quella della mia infanzia e|della mia giovinezza. Lo osterie erano si, ancora affollate, ma i reticolati e ì metropolitani vietavano l'invasione dei corso delle canzoni. Una volta, quando la festa di San Giovanni infuriava con tutta la gloria della sua tradizione demoniaca e pagana, le canzoni non esistevano. Tutto al più qualche comitiva di mandolinisti — li « sminfaroli p come li chiamavano i romani — traversavano la piazza suonando qualche « pezzetto » di moda o qualche canterino improvvisava qualcuno di quegli stornelli che erano la sola manifestazione musicale del popolo romano. Ma quando la festa tradizionale cominciò i declinare, tanto per infonderle una Vita llttizia si crearono dei « Comitati organizzatori » i quali credettero che sarebbe stato possibile trasformare San Giovanni in Piedigrotta. E allora s'indissero concorsi, si nominarono Commissioni, si disse al popolo romano — che non aveva mal cantato — tu devi cantare come un pescatore di Sunta Lucia. E 11 risultato? Ahimè, non osiai prati oramai trasformali in giardini llo-iriti. La folla si aggirava ancora por le vie e per le piazze, ma verso le undici i era già molto diradata e a mezzanotte quasi lutti erano ritornati a letto. I 11- danzali compravano ancora per le loro1 « maschiette » il garofano rosso, la pan- nocchia di spigonardo e il lungo liorei d'aglio che scaccia il malocchio delle streghe, ma lo streghe non c'erano più e — quel che più importa — non c'era- no più i melistoflli da strapazzo che davano fastidio alle ragazze e facevano nascere il finimondo. Niente più risse e per ciò niente più coltellate : non credo che si debba rimpiangere questa! usanza di un passato recente! Ma fra tante cose vecchie passate nel-1 l'oblio, una cosa nuova c'era : il con- te il buon volere dei musicisti e l'alme-igazione dei giudici, non si riuscì altro che ad avere qualche romanza da «a- lotto a cui un poeta improvvisato sep- pe trovare dei versi eccessivamente li-'breschi. Anzi la moda prose talmente!il sopravvento che per evitare che ricanterini romani si trasformassero In tanti ministrels di Conv Island e il no-Istro romantico mandolino nel « banjo ,1dei coloured acnUemcn quest'anno nel|bando del concorso si dovette mettere una clausola con la quale si escludeva- nò inesorabilmente tutti i jazz i tannos c tutte le melodie transoceaniche ma- gari con accompagnamento di chitarre havaianc. (E il risultato? Il risultato ò quello che si può immaginare: poesie popolari etici il. popolo non ha mai sognato e cantiche egli non ha cantato mai. E se ne volete uria prova, eccoveno una: La scena: notte limpida d'ottobre do quele notte cariche de febbre Un panorami sono la serena: n'Impero morto 0 un regno potentissimo 1111 fiume leggendario l'incatena... La scena: un'lsoletta In mozzo al mare arivoMlia da qualunque bore. Se seme solo er ritiimo de l'onna. Vicino a "via capanna 'na giacca slesa e un abito de donna. La scena: una vallata sur tramonto un cielo appassionato d'amaranto, nell'aria un senso strano che t'accora un montanaro aspetta malinconico ma er sole scegno e lei ncn spunta ancora Ed eccovene un'altra: Sul fiuuio d'I'ncanlo che porta ar mare lo speranze belle sianone ce se specchiano le stelle l'acqua sospira tale qualo a me... LI sonni dorati uniti Insieme a le speranze care pia la rurente l'ha pollati ar mare solo 11 Itorl resteno con me... Passato che non ritorna mezzo all'Isola .' Togliete quii irne lettera raddop-o qualche idiosincrazia vernaco- >d avrete — in lincila lelterariu n i,T n,,n,..,ri-, , ,,,, rìJ.ulV™ 1 : E si potrebbe continuare. Ma elio lm-porla? Togliete qualche lettera raddop-piata o lare ed pseudo letteraria - una mediocre imi- tazionc di un qualunque lardai de l'in-fante o di una qualunque Chànson sans paroles di trenta unni fa. Poesia libre-sca, poesia « crepuscolare » ina non poe-sia del popolo che certe cose — per for-tuna sua e nostra — non ha mai pen-saio e tanto meno espresso nel suo du-ro dialetto cosi pieno di carattere e di forza. Ora da quanto si può dedurre allalettura delle poesie premiate e cantate da canterini scritturati da editori mu- Sleali e messi in costumi di fantasia sii cnrri.più o meno carnevaleschi, si può venire a onesta conclusione- che In fu. venire a questa cuiiLiusiune. cue la ie> sta di San Giovanni e oramai l'espres- sione artificiale di una società che haaltre cose a cui pensare ed altri spassi per divertirsi, ma che al pari del la-go di piazza Navona. della corsa del barberi dei moccoloni della < canata . ,\.Ilo snesflinln ni CnL™ ,' , t ,, delie sassaipieal colosseo, e di tutte le feste tradizionali che furono la do- lizia dei nostri nonni, appartiene ora-inai a un passato che nessun Comitato di questo mondo potrà furo risorgere inai filli. E per conto mio non me ne lamento. DIEGO ANGELI. «

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