Avventura con quattro ragazze maori

Avventura con quattro ragazze maori Giro del mondo: sosta a Tahiti Avventura con quattro ragazze maori (DAL, NOSTRO INVIATO SPECIALE) Panecte, inverno '931 Jacob, ifiovinollo olandese e scrivano a bordo di. vii vapore die potrebbe benissimo essere la Villo de Verdun, è il nostro nuovo compagno. Miope, biondo, di taglia minuta, ma tuttavia grassottcìlv, con. un'aria di impiegato di. banca, m'ha, spiegato clic, dopo aver vendalo per sci. o sette anni dietro uno sportello di Compagnia di navigazione, a. Rotterdam, vii numero strabocchevole di biglietti per lutti, i porli della terra, s'è sentilo addosso un tal prurito di andare a vedere com'erano falli, che la prima nave che l'ha accettato come scrivano s'è affretlato a lasciar le mezze maniche e la poltrona girevole per buttarsi all'avventura. Era stanco di viaggiare sui diagrammi orari delle ferrovie e sugli atlanti, di geografia, stanchissimo di combinare gli itinerari più. straordinari è non aver altro conforto che gli album di, fotografìe delle Compagnie turistiche. E' dunque quel che si chiama un personaggio, anzi il protagonista del dramma dell'evasione. Solo, lui non 10 sa. E questo è il bello. Ha per inseparabile amico un elettricista, che fa parte del personale navigante del suo stesso vapore : parigino, questi, si chiama Roger ed è lungo, magro e con occhi vispi ed acuti quanto l'altro è piccolo, grasso e occhialuto. Solo, sono biondi lutti e due, e ambedue sortono dalla piccola borghesia, e ora dividono l'esistenza del popolo marinaro. Ne sembrano oltremodo soddisfatti, e la vita del castello di prua non ha più per loro segreto alcuno. L'ultima cosa borghese cui sono rimasti attaccati è la gran smania di leggere, e ne consegue una caccia accanila alla carta stampata che li ha spinti sin nella mia cabina in cerca di selvaggina. Appuntamento Questa mattina ch'ero appunto risalito a bordo per qualche tempo e davanti alle cartelle bianche andavo rimuginando se non fosse poi vero quel che Pierre Loti scriveva sin da1878; se cioè veramente la fine dTahiti, dal punto di vista dei costumi, del color locale e della magìa indigena, non coincidesse con la morte della regina Pomarè, ecco che Jacob bussa timidamente alla porta della mia cabina. Entralo che fu, e restituito che m'ebbe l'ultimo libro che m'aveva preso in prestito, non trovava pia la via dell'uscio, e si capiva che aveva qualcosa da dire, dnatura particolare. — Be', — lo incoraggio — fuor11 rospo, signor Jacob. E lui mi racconta come questa sera lui e Boger avessero appuntamento con certe ragazze maori, tre ragazze di famiglia, e non le solite « filles de la plage », ma, trovandosi ad essere in due contro tre, grande fosse il loro imbarazzo. Allora avevano pensalo che forse, ecc., ecc. Tale il prologo. Alle otto, che già la notte è arrivala, alla chetichellaci. troviamo sul primo ponte, BogerJacob ed io, ad aspettar l'arrivo dtre ragazze maori. E tutto per amor del mestiere. Quando arrivano, e scendono da un'automobile sulla banchina, e Jacob e Roger, abbigliati a nozze, sbuttano già per la passerella, abbiamo appena il tempo di correre all'inseguimento. Ci sono quattro ragazze— Abbiamo portato un'amica — spiega Ruahiné, che è la più disinvolta —; è venula da Vahiria apposta per vedere il grande vapore dFrancia: Manua tuiroo i to FaraniAllora abbiamo pensato di farla venire con noi. Si chiama Jeannette. — Gol, — dice Jacob — Got, ce n'è sempre una di più! Poi comincia a piovere. Comincia a piovere, è inesatto, suggerisce l'idea di una gradazione. Invece accade questo: s'apre il, cielo e viene giù una cascala d'acqua. Un oceano dnubi, cavalca sopra l'isola, e le stellscompaiono. E tulio questo in un attimo. Bisogna cercar riparo dentro l'automobile, e correre difilato acinematografo. Le presentazioni si fanno de7itro la macchina. Ruahiné è una mezzosangue tahiliccna, il die vuol dirche la sua pelle è d'un giallo doratoorientale, ma quando Jacob imprudentemente insinua u Inilo? », chsignifica cinese in lingua maori, succede il finimondo, e Ruahiné vuoscendere dalla macchina, e solo la prospettiva di guastarsi le scarpettdi raso nelle pozzanghere la tiene riluttante al suo posto. L'insulto è stato grave, il più grave die si possa fare a una maori di sangue mistoa una « demi ». L'altra metà si devsempre credere, per il galateo e pela buona pace, opera di un biancoRuahiné parla Ire lingue, l'inglesil francese e il maori, c si guadagna la vita come impiegala alla, posta. Accanto a. Ruahiné siede Elisabethdie tulli chiamano Kakaò, scherzosomaggio ad una sua particolare inclinazione. « La limonata non mpiace », spiega Kakaò. E va beneNon piace, neppure a noi. Poi c'Mariti, e questa viene da Bora-Borac. sarebbe la più selvaggia di littlse non ci fosse Jcannette, che è venuta a piedi dui. distretto di Vahiriadove c'è il gran lago, a cinquecentmetri d'altezza sul 'mari', c una grande pace, e solo Ire bianchi che badano a cerio piantagioni. — Sono una rem selvaggia — mdice Jeannette —, una selvaggia dell'interno. Intanto è vestila di seta rossa, h delle calze di filo e due. piedi, piccoli piccoli, dentro a delle scalpine scollate, di pelle lucida. Da tutte e quattro, poi, sprigiona vii buon, odore di moiioi, che sarebbe l'olio di. sandalo con cui si ungono i capelli, e di. acqua di colonia non proprio a buon mercato. Al cinematografo, un capannone di legno enorme, con delle file di panche a perdila, d'occhio, arriviamo che lo spettacolo è già cominciato, e a stento una. « maschera. » del luogo ci trova, un posticino da sedere, fugando a via di urli e di grosse minacce una banda di ragazzini maori, di quelli entrali con la scoppola. Tutto il mondo è paese. Al cinematografo Ma questo è un paese curioso. Lo spettacolo si compone di tre films: due « comiche », cioè, e un film, d'avventure del Far West. Le didascalie sono in inglese, perchè si tratta di roba venuta da San Francisco, ma e fenomeno abbastanza curioso questo di un cinematografo coloniale francese dove il pubblico s'abbandona ad ulta voce a faticose sillabazioni britanniche. Quando l'azione si fa più intricata, allora, da una specie di pulpito in legno, che sporge come una plancia di comando dalla galleria, una grossa voce maori grida dentro un megafono alcune frettolose delucidazioni... E tutti ridono. Ai francesi non rimane che attaccarsi alla grammatica inglese, o magari al metodo Linguaphone. Ma Ruahiné capisce l'inglese, alla mia destra, ed anche Jeannette alla mia sinistra vedo che riesce a sbrogliarsela abbastanza bene. Quando poi la scena è particolarmente di suo gusto, fa schioccare la lingua e mormora: « Nice! ». Per una selvaggia, non c'è mate. Qui dentro, al riparo della pioggia che suona la carica di Waterloo sopra il tetto di lamiera, ci saran forse duemila persone. Negli intervalli, quando s'accende la luce, in mezzo alle file colorate degli spettatori nasce la macchia chiara di un viso bianco. Tutto lo spettacolo è sottolineato da una vecchia pianola die ha per tutto programma la marcia dei « Cacciatori a, cavallo », quella dei « Cacciatori a piedi » e « Seine-etOise ». C'è anche un valzer che dev'essere cugino germano del « Danubio blu ». Quando Tom Mix, nel film del Far West, tenendo in bilico sull'arcione della sella messicana, del suo celebre cavallo Tony una biondissima ragazza semisvenuta, fugge a rotta di collo giù dalle scarpale delle Rockies Mountalns, e una banda di ispano-americani, re dell'abigeato, lo insegue a qualche lunghezza, ecco la marcia dei « Cacciatori a cavallo ». Quando Tom Mix bacia la biondissima ragazza, che vuol dire che il film è arrivato all'ultimo quadro, è la volta del valzer danubiano. Tra una marcia e una « Seine-etOisc », un'orchestra di chitarre avaiane esegue le ultime canzonette del Pacifico, quelle che Tahiti manda ad Honolulu ed Honolulu rispedisce a tutto il mondo restante attraverso Nuova York. Allora tutto il pubblico canta ad na voce, e il rumore della pioggia compare, e a, noi. non rimane denro l'anima, di quelle parole dolcisime che un versetto solo: « O l'aiti eie, i te Vai-uri-ran ». Ecco Tahiti, alle acque multicolori. Così ci spiea Ruahiné! Ma dove senti, le risate più forti elle folgori, più forti dell'acquazone, e intuisci, nel buio la gente caer dalle panche e torcersi le budela per il ridere, giù carponi per tera, e sconosciuti abbracciarsi che embra, la partita per il campionato taliano di foot-ball, è nella seconda arte del programma, quando i vechi comici di Mach. Scnnet si spiacicano sui visi le torte di gesso, si parati rivoltellate nel sfderc, e l'uomo che fugge a bordo di. una Ford arriva alla mèta con soltanto il voante in mimo, il. resto della machina avendolo seminato lungo la trada. Tirarà Ford!, « Finito Ford!», si urla, con il. fragore della risacca sula cintura di corallo, nelle notti di empeste. Tirarà! — Vorresti, andare nel paese dei bianchi? — domandiamo a Jeannette quando la folla s'accalca alle uscite, gli occhi della mia compagna sono ancora pieni delle visioni di Hollywood: case a trenta piani, ascensoi che levano il fiato e traffico inernale della metropoli. — No — dice Jeannette — la vita è troppo difficile laggiù. I bianchi i picchiano sempre. Cerchiamo una « sei cilindri » E ora, dove si va? Mentre le quatro ragazze tengono conciliabolo, soto la tettoia del cinematografo, e il rumore secco degli sportelli chiusi dà il segnale d'avvio alle automobili che arrivano accosto il marciapiedi, e buona norma starsene in disparte. Sono tulle e quattro terribilmente eccitale, parlano, ridono, si dònno sulla voce, discutono. Tutte e quattro vestite di seta, con le braccia nude, i capelli sciolti sulle spalle e adornali di fiori. Poi Ruahiné esce dal gruppo, si fa innanzi, ed. annunzia: — Paso Hotel! Bisogna andare da Levinson. Andiamo. E allora, sotto la pioggia, comincia la più curiosa caccia all'automobile della nostra vita. Mentre noi ce ne stavamo qui a discutere, le automobili pubbliche sono partite in tutte le direzioni. E di strada in strada, di vicolo in vicolo, di garage in garage Bualiiné conduce la battuta. C'è una Citroen ferma all'angolo di una via, il meccanico sotto la tela cerala, vegliato dalla lampadina del quadrante che gli illumina il viso di sotto in su. Ma interviene Maria, quella di Bora-Bora, e dice di no. La Citroen non le piace. E' una « sei cilindri » quel che ci vuole. Questa parola « sei cilindri », in quest'ora notturna, in questo paese sconosciuto, sotto la pioggia violenta che umilia sin le superbe chiome delle palme, ai margini della strada, ripetuta dalle quattro ragazze con una ostinazione implacabile c un accento religioso, acquista un significalo imprevisto. Sire che la « sei cilindri » si trova. Una lunga macchina grigia che riposa sotto la tettoia di un garage deserto, ed è Maria ancora una volta che si mette al volante, mentre il meccanico si tira tranquillamente da un ato. — Posso guidare io? — mi chiede con un tremilo nella voce. — Veramente mi. lasciate guidare? — E bisogna dirle di. sì. Il cambio dei figli Due soste, dentro il paese. Nella casa di Buahinè, la prima. « Venite con me, signore ». Una. casetta di legno in tutto eguale alle molle che abbiamo descritte. Una veranda che gira intorno a quattro stanze, poi un giardino, e, in fondo, una. tettoia con un lavatoio. Ma, di notte non sì vede niente. Traversiamo due stallie dove c'è gente che dorme, e si rivoltola nell'ombra, allungala su delle stuoie. Poi, Buahinè accende una lampada a gas compresso. E' la sua camera infine. C'è un letto-divano. Un armadio a specchio. Un'infinità di fotografie inchiodale sulla parete : tulli gli amori di Buahinè. Predomina il genere marinaresco. « Mi darete la vostra fotografia, signore ». Ancora, c'è un grammofono a. cassetta, aperto e sbadigliante; sul disco impolveralo un bicchiere riempito a metà: Cognac. La bottiglia è sul caminetto, in disparte. Ad un attaccapanni sono appesi dieci o dodici vestilini di cotonina, e uno di pagliuzze dorate. Ad un chiodo, una chitarra con un gran fiocco. Buahinè la prende. Poi è per spegnere la luce, quando una vocina la chiama; uRuahinél ». Per terra, su di una stuoia, una bambinetta nuda, coperta da una zanzariera di garza, ci guarda, risvegliata e con occhi enormi e tranquilli. « ÌVo, — dice Ruahiné — non è mia figlia. E' di una mia amica. Ma io l'ho adottata. Io ho un bambino e abbiamo fatto a cambio. E' nel distretto di Aluana, ogni tanto lo vado a trovare. E' quasi, bianco », aggiunge poi con orgoglio. Qualche tempo dopo è Kakaò che scende dall'automobile, sempre nelle strade della città indigena. « E' la sua casa? », domandiamo. Nemmeno, e una casa di amici. Kakaò e andata a chiedere in prestito la fisarmonica. E' l'una dopo la mezzanotte. (Ma cos'è dunque questa razza che si. presta i bambini come le fisarmoniche in tutta semplicità, dove, in ogni casa si può entrare éd uscire dall'alba al cuor della notte, come in una bottega?). La più accorata canzono Ora l'automobile scivola dentro la notte, lungo la strada che gira intorno all'isola, lungo la riva del mare. La pioggia è cessala, ma branchi di nuvole nere corrono velocissime oltre le cime degli alberi; tratto tratto un'onda scura e lucida arriva sino a lambire i pneumatici della macchina, ma senza rumore. Siamo usciti dal paese. E Buahinè pizzica la chitarra, con le sue mani lunghe e sottili, che terminano con delle unghiette laccate di rosso. Pizzica la chitarra senza guardare le corde, appoggiata allo schienale del sedile imbottito: otto persone di tante diverse contrade che corrono lungo una strada, dentro la notte, e i parafanghi urtando contro le siepi e le felci ne fanno cadere le gocce di piova, e fanno frusciare le foglie, e risvegliano curiosi odori di erbe che solo la pioggia era riuscita ad addormentare. Kakaò cerca anche lei un accordo sulla tastiera delta fisarmonica, ma poi Jeannette, come presa da un'ispirazione, le toglie di mano lo strumento, e subito dalle pieghe della fisarmonica nasce un motivo largo e rauco, improvviso come le bandierine di seta che scaturiscono dalle pieghe dei ventagli dei prestigiatori. E cantano. Cantano le quattro ragazze, con voci sottili, esili, pure, e poi incrinate subitamente come cristalli percossi; mentre il meccanico, che si era assopito, accompagna quel canto con un lagno infinito, che pare il gemilo di un dormiente, « Rarahi! Rarahì! », c lue non apre gli occhi neppure, e sempre si regge il volto con una mano, ma tutl'insieme ne nasce la più triste e accorata e stravagante canzone, le voci e gli accenti della chitarra, della fisarmonica, se le beve il vento della velocità, e dileguano nella notte come sassi lanciati nell'acqua. Un'altra automobile, che c'incrocia, parimenti reca a bordo un'orchestru vagante. Allora: «la ora uà!», si grida a mo' di saluto, e « la ora na! » ci si risponde. Un'ondata di musica, come quando si gira la manopola della radio, e poi subito si richiude perchè non abbiamo voglia dì sentire. Poi di nuovo la solitudine. Ora la strada dentro cui la macchina corre docilmente ha lasciato le rive del mare. I fari risvegliano case, giardini e boscaglia difforme Sin die si tpgnbmnPvBcrsrtsmteuvBmltndrEstuse

Persone citate: Boger, Bora-borac, Jacob ? Got, Levinson, Pierre Loti, Pomarè, Sire, Tom Mix, Verdun

Luoghi citati: Hollywood, Honolulu, Nuova York, Rotterdam, San Francisco