Fernando da Lisbona, il Santo di Padova

Fernando da Lisbona, il Santo di Padova VIAGGIO IIV PORTOGAI/I<0 Fernando da Lisbona, il Santo di Padova (r> A. Tv NOSTRO I IV V I A. 1* O) a ù l . i e , e a i , , o a si a a, e a o e ri a ai n i e » lsi sa e » a o i. LISBONA, maggio. Una volta i santi, cli'crano uomini, facevano muovere le montagne. Oggi sono gli uomini che si muovono pei sunti. Diversità ili temiti. Cosi è che il poeta Alonso Lopcs Yicira, « o poeta scriveva il Diario de Noticias — quo soubc ouvir o mar porluguès e traduzilo nos seus versos defìnilivos », incaricalo da quel giornale si è creato reporter di Sant'Antonio per le celebrazioni che a Padova come a Lisbona, nel ricordo della editleantc vita del santo lusitano e italiano, nel culto della sua gloria luminosa, quest'anno affratellano Italia e Portogallo. Sua mèta Padova, anzi la pia Arcella. Ma, come avvertiva il Diario, « fol a Coita bra, irà a Marrocos, a Sicilia, a. Assis a Forlì, a Paduu, seguindo a rota do Santo, respirando, passo a passo, a atmosfera da sua cultura, da sua tentando, da sua nostalgia, da sua apariedo ». Collega in giornalismo, se non In poesia, d'Afonso Lopcs Vieira, me ne son venuto pellegrino in Portogallo a cercarvi la leggenda del grande 7'afiiiiulurgo e soprattutto a rivivere l'ambiente dov'egli nacque; dove al piccolo cantore della Sé forse già apparve il fulgore del suo destino, dove la coscienza del figlio del cavaliere di Re Alfonso si maturò in attesa dell'alta missione prima ancora che, barattate a Coimbra la mantelletta nera e la tunica bianca con il saio bigio, e lasciata la ricca abbazia di Santa Cruz per il povero eremo di Olivaes, l'agostiniano Fernando diventasse il francescano Antonio. ~ " La leggenda Ilo detto la leggenda. Che cosa resta Infatti qui, sull'erta del colle lisbonese dove, fra la Sé Patriarcal, Sdo Vicenle de Fora e la sponda del Tago, pia s'infittiscono le case e i vicoli d'Alfama e degli altri quartieri popolari — che cosa resta su -questo colle sacro alla Chiesa di storicamente certo per l'agiografia àntoniana? Nulla. Qualche nome tramandato di secolo in secolo con appassionata pietà; qualche antica pietra che il popolo venera ma che lascia dubbioso chi sa la fallacia di ciò che vagamente affiora dal buio del tempo; qualche tradizione accettala con quella pienezza di fede che ancora una volta conferma il bisogno, che tutti gli uomini, dal mendicante al re, hanno di credere; qualche rito che poi dal tempio dilagando nella strada, è divenuto canto, danza, rappresentazione, e ciò che ha perduto di solennità ha. acquistato di popolaresche gentilezze. Perchè se una diversità esiste nei rulli che ugualmente .vivi portoghesi e italiani hanno per il Santo dai primi detto da Lisbona e dai. secondi da Padova, questa consiste in una ingenuità più larga di cui in Portogallo si veste la venerazione. Fuochi notturni, salve di moschetteric, bizzarre e pittoresche cerimonia propiziatrici di buone prossime nozze. Ed è gridando il nome di Sant'Antonio che i marmocchi cenciosi li rincorrono per via chiedendo l'elemosina. E' l'immagine sua che i ceramisti ripetono a migliaia di copie sugli, smalti degli azulejos perchè anche la catapecchia pia misera possa adornarsi delle sante sembianze. Ed è ancora Sant'Antonio che figurò per lunghi, anni nei ruoli, dell'esercito portoghese, percependo il suo regolare stipendio, facendo la sua regolare carriera, prjina semplice soldato poi capitano e infine generale, tanto che lo stesso maresciallo Junot, dinante l'occupazione francese, chiuse gli occhi da buon politico sul fallo economico e dispose perchè ali assegni continuassero ad essere versati a questo suo eccezionale ma un po' vaqn collega che ad ogni nuova campagna, in virtù di specialissimi meriti, veniva, insignito di decorazioni nuove — come attesta la statua di legno del Santo ch'è al Museo d'Artiglieria di Lisbona. Singolari contaminazioni di sacro e di profano, candore talora Quasi barbaro che dice come in questo daustinpod'upittorbuvispiestrfati fenageprciMledilidechdesclacivadaveil qucaprchpoquimi e ntedchchga chIlgagasoocPmcdbfipmsctegndndpssciBGvafdteFscSvdcdcgclima'.matllantico la saggezza della Chiesa di.rRoma debba pur consentire a qualche,colorita fantasia. Ma se una realtà.poetica sussiste immutata e immuta-\bile, più'patetica d'ogni tradizione, più vera d'ogni altra verità ch,e gli uomini possano, indagando, scoprire, essa è in questa luminosità di cielo, cosi profonda, immacolata e pura che a volle non «ai se ti opprima di vertigine o ti colmi di uno struggimento agli orizzonti nostri sconosciuto; è in questa luce di oro, in quest'azzurro di cielo e di acque, in questa trasparenza indicibile d'aria, intorno a tutte le cose create, in questa meravigliosa natura nella quale il pìccolo Fernando aperse gli orchi alla vita e nella quale — certo — Imparò a conoscere Dìo. Avevo percorso tutta Alfama, di calcada in esradinha, per viuzze chiuse fra muri lebbrosi, difendendomi come uotceo dai blmhl imploranti una monchi, pru'XcnU'menlt girando al largo dalle donne scalze che sedule su gli usci ravviavano a energici colpi di petine le chiome arruffate dei loro rampolli. Ma, non ostante il luridume, piùìvd'una volta m'aveva arrestato la gioia' pittorica, fra quel groviglio di strade ortuose, di cupe strettole, di portici bui, di sculette viscide, d'un improvviso raggio ili sole che colpendo in pieno ì panni stesi da finestra a finestra, mossi dalla brezza meridiana, li faceva simili a sventolanti e variopinti pavesi di liete flottiglie. Poi, pur fermandomi di quando in quando dinanzi agli azulejos incastrati come gemme nelle muraglie verdastre a rappresentare coi colori del Tago e del cielo la Vergine, Sant'Antonio e San Marcello, me n'ero salilo a Sdo Vicenle de Fora arieagtante, nel disegno di Filippo Terzi, la chiesa del Gesù di lioniu, avevo visitato le tristi ■ tombe dei Braganza e, nel convento, la. cella che la tradizione indica come quella del novizio Fernando; e adesso ridiscendevo verso la Sé, un po' triste nella sua grigia facciata turrita. Rifacevo cioè il cammino che certo Antonio aveva percorso, tornalo già francescano da Olivaes a Lisbona per imbarcarsi verso il Marocco dove sperava trovare il martirio. Certo ; perchè, quantunque nulla lo confermi, egli dovette recarsi a rivedere il convento della sua prima giovinezza, a salutare ali antichi maestri. Il giorno declinava. Con la luce che a poco a poco si spegneva nel tramonto, quell'angolo della vecchia Lisbona si immalinconiva. Greve e dolce in tutti i paesi, l'ora del vespero faceva dolenti e cauti t rari passanti. In alto una tenerezza infinita, su dal ritaglio dei tetti; In basso le ombre che già s'ad densavano. Per non cedere a quella che l portoghesi chiamano saudade e ch'è un sentimento che sta fra nostal già e desiderio andavo con la mente a ciò ch'ero venuto a cercare. Ed an che questo mi pareva vano. La storia? Il documento? Balza più viva la figura di un uomo dalla realtà dei fatti accertati, o non è più vera nella leg genda quando la fantasia l'ha foggiata a sua guisa? Cosa m'importa se la persona ch'io amo non è quella che i miei occhi innamorati vedono? Basta ch'io creda; meglio: ch'io possa credere Pallido, esile, seraflio, col giglio in mano o col Bimbo Divino fra le braccia, ecco Sant'Antonio per tutti i fedeli. Perchè dir loro ch'egli invece fu basso, tarchiato, olivastro di pelle, già fin da giovine corpulento per l'idropisia di cui a trenlascl anni doveva morire — come del resto con vaghissimi accenni a tali caratteri fisici qualche antica pittura qui a Lisbona attesta? Che ne sappiamo delle sue origini? Nulla. Neppure il nome di Fernando è sicuro. La «Leggenda assidua» di Tommaso da Pavia, prima fonte di notizie antoniane, tace anche i nomi dei suoi genitori, si limita a dirci che possedevano casa adeguata al loro stato, presso la Sé, la Cattedrale; ed è soltanto a metà del Cinquecento che il cronista lisbonese Marco afferma che il padre si chiamava Martino dei Bulhóes e discendeva direttamente da Goffredo di Buglione, il quale viceversa mori senza prole Ma perchè non accettare con la • Leggenda Benignifa-i » che questo ipotetico Martino fosse del cavalieri d'Alfonso II, figlio del truce Re Sancio sterminator d'Infedeli, e che più volte raccontasse al piccolo Fernando, mostrandogli la sua gran spada dall'impugnatura a guisa di croce, le imprese compiute all'assedio di Silves, là nell'Algarve bruciato dal vento d'Africa, che i Mori ancor difendevano dalle brame dei Re di Portucalia? La casa natale ttnpdtlzltAnatstpoLcnsscpfLa sua casa. Sorgeva a pochi passi dalla Cattedrale, sulla discesa ripida che oggi chiamasi Largo da Sé. Alla a sc.hola cantoru.m » del tempio il ragazzetto decenne si recava ogni giorno con gli altri monelli del borgo, che fin dai primi anni il destino lo '.mesclnava col popolo. Strappata ai sai.raceni da poco più di mezzo secolo e,Lisbona non era. ancora capitale. I Re à.risiedevano n Coimbra, e di là parti -\vano per le spedizioni nel Sud quanù do le flotte dei Crociati di Frisia e dii n n i i i e , a i — e e o Danimarca dirette in Terra Santa ap parivaiio nell'estuario a cercarvi vive ri, 'acqua, riposo. La vita a Lisbona si svolgeva semplice, quasi umile, vi ta di pesca e di piccolo traffico suTago. Dalla Se coi siloi compagnicerto Fernando spesso si spingeva fin sul celle di Sdo Viccnte dove sorgeva da poco il convento fondato da Alfonso Enrico, primo re di Portogalloe da sua moglie Mafalda, di SavoiaE di lassù il panorama è. Immenso sulla cillà distesa nel basso, sull'estuario azzurro che pare empirsi di cielo, sulla riva opposta verdissima. In questo convento del canonici, di Sant'Agostino il ragazzo sarebbe entrato sei anndopo, novizio. Due anni di dimora a Sdo Vicenle; poi la partenza per San ae satacqtinSmue lvreveil mevisiatinfisupapoal une gavaa altilrol'arafudenazazipiessoAnalpra Cruz di Coimbra. per esser più quieo, più solo con Dio; poi il passaggio ell'Ordine francescano, l'eremo di Olia venticinque anni la partenza er il Marocco con la delusa speranza el martirio, il tentato ritorno in paria, la bufera che spinge la nave sule coste di Sicilia, l'Italia, la rivelaione durante il famoso « Capitolo dele Stuoie » ad Assisi, l'inizio della via gloriosa. Questo è quanto si sa di ntonio in Portogallo. Lo seguiremo a Coimbra non appea lasceremo Lisbona, dove ancora ci ttendono i giardini tropicali di Cinra e le lande fiorite di Cascaes, Soteremo fra i roseti del chiostro di San. a Cruz, saliremo sul colle di Olivaes, resso il Penedo da Maditac&o. Per ra ecco la chiesa di Sant'Antonio, sul argo da Sé, che chiude i resti della asa dalla tradizione assegnata a Ferando, e che il terremoto atterrà squasando Lisbcna. Piccola chiesa, che si narra esser tala ricostruita, subito dopo il. catalisma del 1755. col denaro raccolto dai imbi, che vollero restituire l'altare l loro Santo. Una lapide presso la orla ricorda come Re Giovanni lì, sul nir del Quattrocento, lasciasse al suo uccessore Manuel I di erigere la chiea sull'avanzo della casa di Antonio; un'altra lapide accenna al miracolo per cui il terremoto rispettò la camera dove nacque Fernando. Si esce dalla hiesa, si fanno pochi passi lunao Uigeianco destro, t'entra in una porticina, | tei scendono dieci scalini che menano Sa un corridoietto-. par d'essere in una pcripta, ed è la stanza natale del San- \ l'o, angusta come una cella, bassa di volta, sul piano antico della città. All'ultimo barlume mertdlàno due muratori lavoravano. Davano gli ulimi tocchi ai restauri che devono esser finiti fra pochi giorni. A colpi di calpello scrostavano una pietra nericia, per farla apparire fresca di taglio. Ho chiesto il perchè. Un d'essi s'è streto nelle spalle e ha risposto : « E' l'architetto che vuole cosi ». 7 muri intorno eran stati rivestiti di marmi verdini, ed era già pronta la base per posarvi una lastra di altare. In faccia a questo, un rettangolo di azuleos squillanti gettava un po' di luce nell'ambiente, ma faceva vagamente pensare a un gabinetto da bagno. Gli azulejos vogliono la chiara luminosità del giorno: non lo sa l'architetto? Sul marino si ' intravvedeva un'iscrizione. Ho acceso un fiammifero e ho letto: a Nascitor hac parva ut tradunt Antonius aede Quem coeli nobis abstulit alma domus ». Ut tradunt: culto si, ma cattolica prudenza. Faceva freddo e umido in questo luogo pio. Risalii i dieci scalini. Umiltà e gloria Fuori il tramonto incendiava il cielo. Con le luci già accese passavano i tram scampanellando, passavano come saette le automobili. La città rombava, apprestandosi all'intensa vita notturna, la vera vita di Lisbona. E poiché incerto m'era il cammino e tutte le strade, nella penombra, mi parevano uguali, a un tratto — senza saper come — mi trovai su un breve piazzale fiorito, adorno di azulejos, che sembrava un balcone aperto sopra il Tago. Qualche donnetta, qualche bimbo, un soldato. L'occidente fiammeggiava in un trionfo di nuvole d'oro che gravavano sull'Atlantico lontano. Una lama di fuoco era l'estuario, vasto come un lago, e una striscia violacea appariva, in faccia l'altra sponda. « Quem coen nobis abstulit alma domus »... E pensavo alle sette cupole del Santo di Padova quando, dalla pianura, sfavillano nel raggio radente del sole: riudlvo il tuonare degli organi, il coro dei fedeli schierati nel tempio immenso; rivedevo marmi, pitture, altari, i bassorilievi del Campagna, del Sansovino, di Tullio e di Antonio Lombardo, narranti i miracoli; l'opulenza, il tasto, in cielo, si, l'alma domus; ma degna degli uomini gllen'hanno alzata una in terra, sul suolo di Roma. Laggiù la gloria; qui l'umiltà. La fine, laoaiù. della vita; qui soltanto l'inizio. Destino anche dei santi. Ma troverò a Co<rnbra la più umana poesia di Antonio? MARZIANO BERNARDI. scndsmingMezssfivrmtqmdfvcsbcpvema.-varddtdaccn4