Gli orti del popolo romano trasformati in un parco grandioso

Gli orti del popolo romano trasformati in un parco grandioso Gli orti del popolo romano trasformati in un parco grandioso ROMA, maggio. Il governatorato del principe tìontompagni Ludovici rimarrà, nella storia di lumia come duello della rinascita dei giardini e delle romane. La qiuii cosa — del resto — ò perfettamoiie tradizionale, visto che i due Pontéfici della sua famiglia, Gregorio XIII e Gregorio XV, furopo grandi creatori di fonti e (fi parchi. Ecl è anche Lene che si sia provveduto finalmente a sostituire le vecchie fontanelle di ghisa, tanto caie alle varia Animinist.ruy.ioni che si sono susseguit-1 al Campidoglio dopo il 1870, con altre ili marmo, di bronzo o di travertino secondo la béla tradizione lontana. In quanto poi ai giardini e ai parchi non vi e chi non veda la necessita di provvedere alle balorde distruzioni per le quali umia, che poteva aver il vanto di essere In più ricca citta del mondo di ville magnifiche, le aveva vedute cadere, una dietro l'altra sotto il piccone demolitore di molte opere d'arte insostituibili e di molte visioni di bellezza che i nostri occhi non rivedranno mai più. Bisogna dunque applaudire senza rcfti'iiuutiu quesiti nuova rinascita di giardini che provvederli col tempo a tendere alla città un po' di quel verde, di quegli alberi e di quei Mori che la speculazione le aveva tolto. Oggi e venuta la volu de! parco intorno al Monte Testacelo, utilizzandosi cosi quanto di prati e di terreni inco'lti era anco™ rimasto intorno al singolare gruppo della città antica, prati e terreni incoiti che di anno in anno venivano minacciati dalla costruzione di nuovi e brulli editici popolari. I.u quel cosa era non solamente conno l'esteica, ma anche conno il diritto' del popolo romano a cui quella zona era stata lasciala in uso per i suoi giuochi e per i suoi divertimenti. Origini misteriose Singolare gruppo — tao dello pu rianmo del Testacelo '— e potrei aggiùngere "'misteri òso. li' noto come quella specie di collinetta erbosa, in cima ala ciuale è piantata una grande croce di legno, sia stata formatti da limiinereypli frammenti di anfore accumulatisi a poco a poco sulla riva del llune. Come queU'aggloineraineiilo sia avvenuto è difllcile dire. Una tar- la leggenda medioevale lo nobilita acendolo derivare dai cocci delle olle n cui le vario Provincie dull'lmpero mandavano a Roma i loro tributi. Alri vogliono vedere iti esso i irammenti dei vasi nei quali si conservavano le derrate del vicino Emporium. del quale parere è aneli: il Reiffes- clieid, mentre il Nardini accelta l'opirnone die il colie fosse tonnato con prodotti mal riusciti e perciò in tram i dalla Corporazione dei Vasai che a punto in ime] luogo aveva le sue oficine. E finalmente il l'ieoroni, con maggior inventiva elle verità, crede f.iic sia. stato formalo dal cumulo di covine d'antichi colombari. Comunque 1 civile esisteva già al IV secolo n può W che ai tempo di Teodorico già 'osse sorto. In ogni caso e qualunque sia stuta a sua origine, i piati che si stendemmo intorno uJJe sue pendici ti aveva in uso pubblico il popolo romano. per il pascolo sia per i giuochi solenni che vi si tenevano ogni anno e Per questo uso il Senato pagava un ioiino il'anno ai monaci di S. Maria Aveiiiìna, che ne vantavano il posses. so. Uso civico, come si vede, stabilito assai nettamente e non mai abbandonato dal popolo che ha continuato ipur sempre a traverso i secoli e fino al nostri giorni a prediligere quei luoghi, ■ircoscritti dal Tevere, dalle mura aureliane e dalle pendici* arborate del'Aventino. Prati di pascolo, dunque, nei vari! mesi dell'anno e arena apera ad ogni sorta di tornei nei mesi iel Carnevale e in certe occasioni speciali, tanto che fin dal secolo Xlll il colle fu detto Mom ila Palio, (jueslt giuochi assai rozzi, dei resto se si" conrontano con quelli dello altre città d'Italia, erano detti Ludi macinìi e avevano luogo regolarmente l'ultima domenica di carnevale prima delle Ceneri. Nella loro origine si ricollegavano con la leggenda dei vasi tribuari mandati u Homd dai popoli vinti, anto che fra le condizioni di pace iinposte dal Senato romano alle varie borgate sottomesse era quella di mandare un certo numero di iocatorcs per e feste del Tostacelo. Esiste ancora, n una sala del Campidoglio, una curiosa iscrizione metrica del 1300, nella quale ricordando la vittoria riportala dalle soldatesche romane sulla città di Tosc.aneilla ribellatasi all'autorità ponTilteia, numera le condizioni imposte ti vinti tra le quali oltre a mandare « noma le campane della chiesa e le mpostc delle porte si obbligavano di fornire ogni anno otto giovani fra i più robusti per lo giostre del Testacelo. Simili condizioni furono imposte ai Comuni di Veilleiri, di Tivoli, di Corneto, di Terracina e di Piperno kc bene queste città di tanto in tanto no chiedessero e ne ottenessero l'esenzione. Ma questi iocatorcs erano dì eccezione, che la masra'or parte venivano Boriati dal 13. rioni della città, eiascurio dei quali doveva scegliere fra o migliori famiglie del quartiere, otto giovani ohe, vestiti coi colori del loro gonfalone, gareggiasero nella giostra sia con il valore personale, sia con lo splendore delle vesti, sia con Iti bellezza ilei cavalli. Unitamente a questi giostratori, ogni rione doveva fornire un toro: e tutta questo man dria era esposta solennemente il sabato che precedeva la festa. T,a qua le festa aveva una solennità senza pari. Verso il mezzogiorno della donienlua, il corteo del Senatore, seguito da uno stuolo di cavalieri e di valletti sfarzosamente vestiti, scendeva dal Campidoglio, al suono della grande campana della torre. Giunto al prati del Testacelo, il Senatore prendeva posto nella tribuna speciele, tutta parafa di broccatello rosso, mentre i famuli tiravano la Auip sostenuta da sostegni da marmo che 11lattavano il campo d'azione. Pietro In fune si affollava il popolo. Presi ordini dal Senatore, il ve.-sillifcro di noma avanzava in mozzo al campo e, piantandovi il gonfalone del Comune, dava il seguale del giuochi. Questi cominciavano sempre con la processione dei cavalieri e dei giuoea-ion, i quali percorrevano il «irò delia pista. Dopo di che principiava i.n giostro dei tori riferitala, al cavalieri, giostra spesso sanguinosa, e seguivano lineile delle carrozze ri*erbatu ai ìocatores dei rioni. Giochi di gentiluomini e di popolani Alle prime prendevano parte i giovani delle più illustri famiglie di Roma, i quali portavano i colori della loro dama e sullo scudo mòtti a lei alludenti. 11 Muratori riporta una curiosa descrizione di una simile giostra, che — per decreto pontificio non potandosi a Poma duellare — teneva luogo ai signori romani dei tornei combattuti nelle altre città d'Italia. Vi presero parte gli Orsini, i Colonna, i Savelli, i Vico, gli Astalli, | Capocci, i Caffarelli, gli Altieri, 1 Papureschi, i Mancini, ecc., ecc. Fra le gentildonne che vi assistevano e per le quali combattevano i cavalieri, si notavano in prima linea Jaropa de Vico. Savolla Orsini e una dama di Casa Colonna. 1 motti dipinti sullo scudo dicevano: Sono linea ver T.arinìa. Sono Sriiiino di Lucrezia ramanti. Sono nolo come Orazio. Ma questa volta il llero combattimento fini tragicamente, che ben dieiotto nobili gioviui .adderò ìrall'.ii dalle corna dei tori e furono seppelliti con funerali solenni a S. Giovanni in Lacerano e a Santa Maria Maggiore. Nè meno cruenti erano i giuochi k dzercnnbbvlPlaspteloctasrsrrtolrsAblPVuGgrmdaliabzasnsflal'tncgtmfnm(ìplarblfEcMuurvtdvltoitglvdvrpieqnvmcltoCqvcrssiiivvvpvprmlzdgMcailcrnstusetdrduvspgcuvlgdlssrraQraamqntpvdsftbqsvfpum'tsadmsstprd del popolo, Questo si affollava in mezzo alla pista impugnando la spada e aspettando che dall'alto del monte rumassero tredici carri — die erano chiamati carrozzi — riccamente adorni di damaschi e di festoni e tutti pieni ili malale-lti e di vitelli che i combattenti dovevano conquistare combattendo fra loro e cercando di schivare l'impeto dei carri i quali rotoando dall'alito del monte' Testacelo Piombavano come valanghe sulla fof a dei combattenti. L'abilità di quo sti consisteva uell'iiripadronirsi della preda senza essere travolti e di conestarla ai rivali che pugnavano al oro fianco. La giornata, poi Univa con tre cotte di cavalli, una riservaa a quelli che oggi si direbbero puri sanane, la seconda" per cavalli d'ogni razza, e la. terza per giumente. LO spazio da pe.icorrersi partiva dal muro del Monte Test àccio Duo a una. torricella ai piedi del Monte Aventino, orricella sulla quale sventolava il paio che veniva dato al cavaliere vittorioso. Pi questo giostre, olitre le descrizioni di Giovanni Caballino e di Adamo Usk, si hanno quelle della celebre miniatura del Clovio riproclucente a solennissima. festa data nel 1555 da Paolo IJ1 e dell'affresco omonimo di Villa Sacchetti ai Parioli. Le giostre del Testacelo rimasero in uso per almeno quatJro secoli; ma già Gregorio-Sili, le aveva riforniate', togliendo loro molla della loro popolarità. D'allia parie il Carnevale cominciava a prendere forme nuove e diveniva più cittadino. Per qualche anno ancora —. conte accade in simii casi e come abbiamo visto anche ai giorni nostri per le corse del barberi, i niocooletti e il getto dei mtizzeflacci — si cercò di galvanizzarle artificialmente, ma fu invano, e verso il 1ti.->0, Urbano Vili lo abolì (iellniiivaniente. Vino e carciofi Ma con questa abolizione, il Tetaccio libri perse, la. sua popolarità, lià vérsp la metà del secolo deciiuotavo, gli osii romani avevano preso 'abitudine di scavare liei monte cere loro grolle artificiali per mantenervi fresco il vino, favorite dalla composizione stessa del colle, quelle grotte avevano la proprietà di una emperatura' costante che durante i me.-i di osiate poteva dirsi veramente redda. Qualche amatore di buon vino, avendo scoperto quei depositi, cominciò a recarvisi alla spicciolata, ìli osli. intuendo il vantaggio che potevi) derivar loro da. quella clientea' inaspettata, cominciarono ad ornare le loro grotte con piante o con alberelli, poi vi pjaiitarouo qualche oro offrendo ai frequentatori carcioll e fave fresche della propria « vigna ». E la. moda fu subito creata. Al principio del secolo scorso le grotte di Monte Testacelo avevano una fama universale ed erano frequentale da una quantità di buongustai che durante lo domeniche di ottobre divenivano folla. Tulle Je carrettelle che riornavano (faille pjiiér'ifc suburbane e da lineile ilei Castelli Romàni, facevano l'ultima sosta di pranuoaiica ale osterie del Testacelo. Le « servieni » ìji casacchino di velluto, con gli orecchi adorni di cioceaje » d'oro e l cilindro di « rainosché » sulle nere recce ove era infilato lo « spadino » d guisa di spillone, scendevano dai lori; egni, e mentre i cocchieri «rimettevano » i cavalli e davano loro una. doppia porzióne di avenu, si formavano le coppie e s'iniziava il salta rèTlo, mentre intorno venivano mi provvisati gli «stornelli» eie «turati elle », alcune dello quali — erano quelle dette «a. dispetto» — Univa no con risse furibonde, a cut prende vano parto uomini è' donne. Gli no mini col coltello e le-donne fra loro con gli « spatlinr»,""trasformati pei 'occasiono In linguali. Poi, a lite finita, i feriti veuivnno trasportati agli ospedali iiiù vicini — quello delta Consolazione ai piedi del Palatino e quello di Santo Spirita, di là dal Te vere, sótto il Vaticano — e la festa continuava, mentre, 'quasi a cementare I fattacci accaduti, la voce dello stornellatore ammoniva con pagana serenità: « Alla Bellona e poi viene la morte e c'incorona! Le ultime ottobrate Le ottobrate del Testacelo, rimasero in grande onore durante tutto l'ulti ino periodo della Póma papale. Dopo il 1870 ebbero ancora qualche .unno di voga, per quella, curiosità che i mio vi venuti misero a conoscere tutte le veccble feste romane; poi, a poco a poco, le tendenze e le abitudini delle vario regioni italiane presero il so pravvenfo e a poco a poco i costumi romani si trasformarono e insensibilmente, Roma, divenne il crogiuolo della nuova italianità. E naturalmente fra le antiche tradizioni che scomparvero dalla consuetudine, ci fu tra le prime la'sosta obbligatoria nello osterie sotterranee dèi Monto Testacelo. Ragioni archeologiche e ragioni edilizio contribuirono anche a questo abbandono. Si negò il permesso agli osti di usufruire (Tel nèuinchmprscTcitòmlaumcizprinrasvabcnbpleInsesvocdpfeslanblfpCveehinPd,ftsqgSdspCv(dgszSebntdBr^ls3lav[r—sccdscdPgLtcddRpqlrCIsli perii es*u agii osu in usiuiuirc (lei colle artificiale come deposito dei qi Iro vini, e i prati intorno coiniiuiard- 1prat no a popolarsi di casamenti mostrilo si che formarono ben presto un quartiere popolare di una bruttezza, e di una tristezza senza pari, dove la miseria degli abitanti invecchiava gli edifici prima ancora clic fossero finiti. K i prati del'Tostacelo, insidiati dall'invasione delle nuove case, si rimpicciolivano di anno in anno, perdendo tutte lo loro caratteristiche di un tempo. Quel tanto che il Comune volle conservare e non offerse alla speculazione edilizia, fu adibito alle, più strane funzioni. Vi fu una prigione militare, e una rimessa di vecchi omnibus fuori di servizio; vi fu un grande deposito di materiali provenienti dalle varie demolizioni urbane, dove tra inferriate rugginoso e scalini logori di pietra, si vedevano magnifici stellimi barocchi c architravi di marmi preziosi, e busti e bossorilicvi, mòlli del quali avevano bua storia, che oggi sarebbe preziosa conservare nel u Museo di Roma ». Naturalmente in questo inurbamento della regione, le grotte furono chiuse, gli alberi abbattuti, gli orti devastati. Qualche pittore cercava (incora di far rivivere il paesaggio che il Pinelli aveva amato e illustrato, ma l'ultimo a evocarne la grazia antica fu il Colemaini, in un acquarello dipinto una quarantina d'anni fa, acquarello che non saprei oggi dire dove potesse ritrovarsi. Ma il Morite Testacelo e 1 prati «del popolo romano» sembravano oramai destinati a una morte definitiva — ci fu anche chi propose di splanare al suolo il col,e e di fabbricare al suo posto un altro quartiere, che sarebbe stato anche più brutto di quello già cominciato! — quando il principe Boncompagni pen sò di salvare quanto ancora rimane va di verde e di alberato e di tras formare quei terreni — che pure ap partenevano al popolo di Roma — in un nuovo parco che il popolo di Roma avrebbe accolto nei giorni festivi. ' E' una buona opera di cui bisogna tener contò. Se' i molti sindaci di ogni sfumatura politica, | quali per tanti anni non seppero proteggere i ricordi, le tradizioni e le bellezze di Poma, avessero fatto la metà di quanto sta facondo questo taciturno e operoso discendente di Gregorio XIII, quante rovine di meno si avrebbero a deplorare e qua! nuovo incanto ne sarebbe derivato all'immortale bellezza della città.! DIEGO ANGELI. dzrrsZSvinkvnUggsqnccclalcvezcltemVebcdmMmcst