L'avvenire del Giardino italiano

L'avvenire del Giardino italiano L'avvenire del Giardino italiano e o a e a a o FIRENZE, maggio, [Questa grande Mostra retrospettiva del Giardino italiano allestita in Pa-1lazzo Vecchio, della quale l'altro gior-ia a a a ! e e i a o e é a o , a a i a ì a . o e l a a a l l i e ? r n i i e e i , r a . o . a a a l i , 10 abbiamo qui accennato i caratteri farà sentire un suo reale effetto sui prossimi aspetti dei nostri giardini? In altTe parole, sarà essa destinata a rimanere un bellissimo, un grandioso documento culturale, un accuratissimo censimento di quanto l'arte giardiniera produsse in Italia dalla metà del secolo I avanti Cristo alla fine del Settecento, oppure da queste sale dell'antica rocca e reggia fiorentina la rassegna storica erudita si innesterà sulla vita restituendo agli architetti 11 gusto di un'architettura tutta esterna, fatta di spazi, di luci, di colori e sposa alla natura, e ai proprietari di castelli e ville il desiderio delle silenziose scalee marmoree, delle fontane garrule tra le fiorite aiole, delle nobili statue biancheggianti in mezzo al verde dei cipressi c degli allori, del folti pergolati simmetrici, delle ritmiche pause di radure chiuse in una limpida geometria di forme? In altre parole ancora, prevarrà con un giardino ridivenuto classico in un futuro più o meno imminente il senso della ragionata volontà dell'uomo sulla finzione (vedremo il perchè di questa parola) delle libertà naturali, ovvero quel giardino «inglese» che Jean Jacques Rousseau nella Nouvelle ìlcloise salutava come un segno dell'auspicato ritorno alla natura, continuerà a dominare senza contrasto, e a dirci che malgrado tutto questa nostra età è ancora la più legittima discendente della grande èra romantica? Queste all'incdrca le domande che, inaugurando coi loro discorsi la Mostra di Palazzo Vecchio, sia il Ministro dell'Educazione Nazionale, sia Ugo Ojetti, promotore e organizzatore dell'Esposizione, si sono posti: S. E Giuliano lasciandole nell'incertezza del loro interrogativo, Ugo Ojetti In vece deducendo dagli esempi del Nord-America, dell'Inghilterra, della Germania, della Riviera francese dove il giardino all'italiana torna di moda, l'annunzio di un Ravvicinamento, anche da noi, ai modelli antichi. Intanto è notevole — ed è del resto logico — che siano proprio gli architetti nuovi, tanto razionalisti quanto neoclassici, a dividere, sia pure sulla carta, aiole e parterres con terrazze e scalinate, a cercar sapienti prospettive murarie per il terreno digradante a!.M piazzali £ a studiavei ln ?apporto con facciate di ville e palazzi, se non proprio la sistemazione di solenni anfiteatri coronali di nicchie e di sculture, o di emicicli a portici, o di « teatri d'acqua», o di «■ grotte », almeno il collocamento esatto di tuia modesta vasca o di un paio di simmetriche fontane. Un concorso interessante Prima che la Mostra venisse inaugurata, nel Salone dei Duecento di Palazzo Vecchio erano stati esposti al pubblico trentadue progetti partecipanti ai due concorsi per un giardino pubblico e per uno privato, indetti In occasione della Mostra medesima. La giuria presieduta da Ugo Ojetti e composta dagli architetti Chevalley, Cerpi, Crosa, Lusini, Muzio, Piccinato assegnava il premio per il giardino privato all'architetto Michelucci, più lire cinquecento a Mario Chiari della. Scuola d'architettura di Firenze, a divideva quello per il giardino pubblico fra l'architetto milanese Reggiori e due laureandi della Scuola d'architettura al Politecnico di Milano, gli allievi G. Minoletti ed A. Cingra. Su cinque premiati, dunque, tre giovanissimi, che all'inizio della loro carriera pongono lo studio per il giardino su un piano non inferiore a quello per una casa da abitazione, un ponte o un opificio: ed è una buona cosa. Ma interes santi, si può dire senza eccezioni, sia per le belle creazioni sia per il palese entusiasmo al cimento nella non facile prova e la cultura dimostrata, anche tutti gli altri progetti concorrenti, dell'iug. Carlo Bruno Negri in collaborazione con Tomaso Buzzi, del napoletano Filippo Perrella, del romano Tullio Rossi, dei giovani Ivo Lambertini e Giorgio Calza-Bini, del Cassi, del Saccardi, del Malchiodi, dell'Abram, del Montuorl; e interessanti anche per le caratteristiche regionali da cui non andavano disgiunti e che riassumevano in sè, pur nella piccolezza dell'area assegnata (un rettangolo di venti metri per trenta per il giardino privato) le tipiche forme appunto regionali del tradizionale giardino all'italiana: monumentali i progetti dei giardini romani, chiari e riposati quelli del toscani, complicati e preziosi quelli dei lombardi. (Perchè gli architetti piemontesi non hanno risposto al concorso come la secolare dignità del giardino di Piemonte avrebbe voluto? Troppo li tormenta la questione di via Roma, e ancora l'arrovellata discussione, fra conferenze e articoli di giornali, sullo stile di questa benedetta strada? E' un peccato). Anzi, per la migliore intelligenza del lettore — specie di quel lettore che proprietario, beato lui, di un giardino e . abbia in animo un ìinnovamento — di che cosa possa riuscire la concezione moderna di un giardino all'italiana riportiamo qui dalla rivista Domus la vivaee descrizione fatta dall'architetto Gherardo Bosio del progetti del Miche lucci, del Negri e del Buzzi. « Michelucci dispone la villetta in fondo al giardino, chiuso sulla strada da un muro colorito di rampicanti elio ne assicura l'intimità. Sull'asse della chiara facciata, in fondo ad una conca di aiuole racchiudenti il riposo d'un prato, è la vasca circoridata da una pergola: ai lati il viale d'accesso, le serro e il pomario; nel fondo, sulla strada, boschetti e recinti; sui muri, tteillages e rampicanti; conifere e siepi si alternano con i prati: ai lati della casa l'orto e la pergola d'uva. Un insieme nitido e completo dove son raccolti con equilibrio e con maestria tutti gli incanti e tutte le risorse che il modesto spazio consentiva. Negri e Buzzi pongono la villa sulla strada e vi appoggiano il patio, fresco e immaginoso di raffinati ,dettagli, che s'apre sul giardino con [le ampie arcate che ne raccolgono lavvista in tanti quadri. Nel fondo un ninfeo ad archi di bosso o di cipresso intorno a una fontana che zampilla fra due statue: una pergola gira ai lati e racchiude la calma d'un prato ove son dogli arbusti e quailche bordura fiorita. Nel piccolo spazio assegnato dal concorso, ancora ridotto dal polio, son ricavati nel giardino con sapienza, l'orto e il pollaio, il bucatalo <->d anche una piscina: piante in vasi, nicchie e vo liere e balaustrate in gran numero, lo decorano e l'arricchiscono ». A parte gli accenni utilitari, 11 distico di Baucle laire potrebbe sintetizzare la descri zionc: « La, tout n'est nu'ordre et beante, — Luxe, calme et volupté ». Classicismo e romanticismo A questo pittoresco quadretto di un moderno giardinetto all'italiana (ma anche antico, in fondo, se si osservano i tre deliziosi modellini esposti qui nel Salone dei Cinquecento, del giardino toscano del Trecento, dei giardini fiorentini del Quattro e del Cinquecento, tre invenzioni aggraziatissime dell'architetto Enrico Lusini), di un giardino cioè nel quale l'ideatore impiega il ma. feriale naturale — terreno, piante, erbe, acque, fiori — come veri e propri passivi elementi di costruzione per pervenire ad un risultato architettonico cioè ad un'armonia essenzialmente geometrica; è opportuno — sempre per il più chiaro intendimento del profano — contrapporre la rappresentazione del giardino inglese, cioè di quel giardino imitato dalla natura con cui s'iniziò nella seconda metri del Settecento, dopo le nuove leggi stilistiche date da William Kant, la fase romantica dell'arte giardiniera: fase che, come chiunque può scorgere da qualsiasi moderno giardino pubblico o privato, tuttora dura. Chi meglio dell'indimenticabile Luigi Dami, lo studioso che coma nessun altro in Italia trattò del giardirfo da storico, da critico e da poeta insieme, comprese che « in realtà il giardino inglese fu una pura creazione artistica come lo erano stati l'italiano e il francese », e ne definì i precisi caratteri? « Gli artifici, cioè 1 mezzi d'arte impiegati — scriveva il povero Dami — non furono (nel Giardino inglese) meno sottili e raffinati che nel vecchio giardino del continente, solo che 1 motivi con cui si attuava la composizione si destinsero da quelli riscontrabili nel paesaggio naturale; senza però, e ci se ne teneva ben lontani, impiegarli tal quali. Furono proscritte le linee rette, ed impiegate solo le curve. 1 viali serpeggiarono irregolarmente. Eguali curve irregolari assunsero i corsi d'acqua. La quale fu lasciata apparire nefle sue forme naturali di rivo, di laghetto, di stagno, con proibizioni assolute di vasche, fontane, bacini. La terra., nei pezzi dove doveva rimanere piatita e nuda, fu trattata a prato, e non più a spiazzo ghiaiato e magari mosaicato. Gii alberi furon lasciati crescere come volevano. I passaggi tra i dislivelli di terreno rimasero un semplice pendio erbato e alberato senza terrazze e muraglioni di retta; e si scese e si sali per vialetti rustici, non più per scale e gradinate. L'apparenza era dunque di libertà assoluta e quasi casuale. Ma in realtà nulla fu lasciato al caso e tutto fu sottoposto a nuove leggi d'arte. Il terreno fu scelto ac curatamente, e non tutti si confacevano al bisogno. Le curve furon calcolate scrupolosamente nel loro svolgersi e snodarsi; l'apparizione, il corso, lo stagnare, la disparizione delle acque furono astutamente calcolati secondo 11 maggiore effetto. Fu graduato il verde diverso delle piante, il loro maggiore o minore folto. Si tenne conto d'ogni più piccolo effetto di luce, di chiaroscuro, di prospettiva. Si modificò a volt* anche la struttura del terreno, ove ce ne fosse utilità. Si compo.se insomma ora come prima il giardino, con eguale dispotismo del nostro spirito su la natura ingenua ». Ciò che si vede ancor oggi nella normalità dei giardini. Il giardino come pittura Giardino italiano e giardino in_ se, gìa.rdino classico e giardino ro 'mantice: due realtà artistiche oppo. l?' sto, dunque, due diversi modi di con- cepire un ordine spirituale che tutta via sostanzia le due differenti espressioni, due stili, insomma, di una medesima rappresentazione che risponde a un bisogno esletico: come chi dicesse cattedrale romanica e cattedrale gotica, due forme dissimili dì una stessa entità. Di fronte a questi modi, a questi stili, a queste realtà antitetiche, come sentiamo noi uomini del ventesimo secolo, e come reagiamo? Ecco il punto da definire per poter predire la. rinascita o meno del giardino all'italiana, E innanzitutto la sincerità della sensazione. Sostiene Ugo Ojetti a proposito del rifiorire del giardino italiano nel Nord-America, che chi ha passato tutto il giorno nell'affanno del lavoro e del rischio, si compiace tornando alla sua casa lontana, villa o villetta, di trovarsi davanti questo spettacolo d'un giardino chiuso, lieto ,e ordinbto, questo spettacolo di mi [funata e cadenzata bellezza, e di adavarvi l'animo stanco o distratto, e di t trovarvi quasi un ideale modello del mondo e un augurio per la giornata di domani, per la sua vita avvenire. L'ipotesi è ingegnosa. Ma è appunto questo tanto di ingegnosità che ci fa sergere non pochi dubbi. Non vorremmo cioè che il neo-giardino alla italiana si risolvesse in un gioco di intelligenza, di raffinatezza culturale, in un godimento d'indole riflessa e intellettualistica, quale ad esempio la scoperta di clementi arcaicizzanti in una statua moderna o di un primitivismo ingenuo in una pittura di oggi. Gli è che noi, uomini post-romantici, non possiamo più scindere la rappresentazione della natura — o , anche di un frammento di essa — n dalla nuova concezione che appunto a sulla fine del Settecento si formò delo l]a pittura paesistica. Tanto la vita, la l o o . , o r o l o ò , a e a a l — o 1 u realtà, l'arte indissolubilmente si compenetrano. Ora si può dire che tino a quando dura il giardino all'italiana, il paesaggio è dal pittore considerato come un'architettura, anzi, come un complemento architettonico del quadro. (Da Mantegna al Tiepolo gli esempi si moltiplicano). E la stessa visione paesistica di un Salvator Rosa è concepita architettonicamente. Prorompe il Romanticismo, e soltanto allora il « paese », cioè la natura, comincia a vivere come realtà a sè stante, e. come vera espressione psicologica. E' appunto in questo periodo — ed il trapasso è logicissimo — che il giardino italiano cede il campo al giardino inglese. Oggi, insomma, noi al giardino, come alla pittura di paesaggio, chiediamo ancora l'incanto naturale, la dolce finzione della natura, l'oblio della presenza dell'uomo e della sua raziocinante volontà. Che anche questa finzione sia opera d'arte, non importa : l'essenziale è che quella rosa in fiore, quell'uccelletto posato su un ramo, ci rapiscano un istante a noi stessi. L'incanto sussiste — ed è un incanto d'indole estetica più che sentimentale — nel giardino italiano autentico del Cinque o del Seicento: ma in virtù allora di una diversa armonia, simile a quella del quadro di un Carpaccio o di un Botticellì, che noi ammiriamo ma che non sapremmo, e forse non vorremmo, rifare. E a rifare oggi il giardino italiano, pur stilizzandolo secondo un intento di modernità, si correrebbe il rischio dì compiere opera di sola intelligenza. Da questa Mostra di Palazzo Vecchio si potrà quindi muovere per una interpretazione, non per una imitazione. MARZIANO BERNARDI.

Luoghi citati: Firenze, Germania, Inghilterra, Italia, Milano, Piemonte