Tra gli uliveti di Chiusànico

Tra gli uliveti di Chiusànico Tra gli uliveti di Chiusànico o o e i r e i i a e n a e " e e l a o ri li a 1 i u a a s n ce a va i i o, ma ci cie rire tno la ea, le ai te no ni,a* m co na no il erde, are OHIUSANICO, aprile, coI tre aggruppamenti di case s'iner- loplcnno alla fronie del prominente spe- gurone, si scaglionano diagonalmente 'n■all'erta; e i due più In basso, per ada-|rogiarsl un poco, approfittano di qual-! veche naturale terrazza, e il terzo, di-j alstaccato più su, pare aggrapparsi di balza in balza; e tutti si vedono emergere non più che coi tetti e con un campanile (lui folto degli uliveti, che qua e di là, rli sotto e di sopra, vestono intero il monte. — Sono due anni che gli olivi van-, no male, — ini dice la mia guida, un agricoltore del luogo, mentre montiamo per la sassosa mulattiera, che serpeggia su, attraverso il bosco. Ma quest'anno promettono bene, gli ribatto; e ripensando come m'hanno informate: che è costume inveterato dei coltivatori di olivi lamentare sistematicamente l'annata grama, ogni anno un disastro. — Promettono! Sempre, l'olivo promette bene; ma alla raccolta, è tutt'altro; e quando poi si tirano 1 conti, il guadagno non paga le spese. Mi enumera le spese; e mi spiega il gran daffare di mantenere i muretti delle fasce, rislsteniarli e ripararli, he non dirocchino: — si chiamano lasco le terrazze costruite al pendio, per ininterrotta successione, come gì gantesca gradinata, si che la coltivazione trovi spazio e si sviluppi in questa serie di sovrapposti ripiani; e ciascuno di essi è contenuto, come si conviene, e sostenuto da un muretto di pietra a secco. - Noi abbiamo In più questo lavoro rispetto agli altri contadini, — insiste la mia guida: — Lei non imagina quanto: ogni pioggia porla qualche crollo di muro e frane. Ma ancora, meno male se piove: l'olivo vuole pur bere, per frutiare abbondevole. II guajo è invece di queste annate aseiut te; e l'olivo soffre. Tempi difficili: si lavora, si Merita; e non si viene a capo di nulla. Coltivatore di olivi o di qualunque altra cosa, l'avete mal trovalo, in alcuna plagu, del mondo, il contadino che non si lagni, che non accusi la mala stagiono, la terra avara, il rac colto troppo magro?... Certo però il reddito dell'olivo è diminuito, in qué sti anni, in più grave misura; e sì spiega perciò la tendenza, sempre più diffusa, in questa Riviera di Ponente, sempre più accentuata, di abbattere i vecchi uliveti, per sostituire coltivazioni meglio redditizie: alberi da frutto, e peschi in ispeeie; o fiori, soprattutto dalla Valle Argentina in giù, ver. so occidente. Cosi, gli uliveti sono già ridotti di oltre un quarto, si calcola e forse di un terzo; e in luogo di es si, crescono per le fasce pomeil e pescheti; e crescono le coltivazioni floreali, garofani e mimose, violatocene e violette, rose e margherite Vantaggiosa speculazione, non è dubbio; ma che dà un senso di ramma rico, di pena, per quel tradizionale attaccamento, per l'antichissima vene razione che si ha per l'olivo, noi, gen te mediterranea, per questo nostro albero consacrato nel millenni, fino dalle prime memorie e perpetuamen te, nel mito pagano e nella leggenda biblica e nella fede, celebrato dai poe ti, vigoroso e casto fratello della vite decorativo rosi pittorescamente del paesaggio, di ombra leggera e mos sa, ariosa, e cosi bello nelle svariate forme del fusto tormentato e scabro, nell'espansione ridondante della ra ma,' nel fogliame che trasmuta colo re al vento, di lucido verde e grigio d'argento, e nel benefico frutto, dalla cui aspra amaritudine si spreme la placida dolcezza dell'olio: il buon olio che dona sapore e profumo impa reggiani!! alla vivanda, egualmente per la mensa ricca e per la più pove ra, che alimenta la fiamma alla lam pada, nel presepio e sulla tavola del lo studioso e sugli altari, che contiene virtù medicali, che prende essenza divina nel crisma di quattro sacramenti. I benemeriti Olivetani Ma qua, in Valle di Oneglia, que sta nuova strage degli olivi si arresi per ora alla parte bassa e al fondo della valle: gli olivi qua, come ac cennavo, vestono ancora per esteso il monte. E questo particolarmente n è tutto coperto, questo sperone di Chiusànico, che si stacca dalla so prastante giogaia, la quale dilunga da Monte Torre, o Pizzo di Evigno, a Pizzo Montin, al Passo di San Giacomo e a Monte Aroso: la giògaja che chiude da greco questa Volle di Oneglia, valle dell'Impero, e contro cui, dall'altro versante, si attestano la valle dell'Evigno. o di Diano Marina, e quella del Menila, o di Andora. Lo sperone, protendendosi cosi attraverso la Valle rli Oneglia. si nomina Costa di Chiusànico, appunto; e lo tre frazioni di cui il paese di Chiusàni- bsugdtudavsuvegpladSusupucelàppsnescpaaEdambpdntrqtdcelppllmccddlalvtlCmph co si compone, Villa, Gerlnl e Castel lo> si spargono al declivio, In quella guisa che indicavo, Villa e Gerini più 'n basso, Castello in alto. E lo sperone Indi scoscende diritto su Chiusa vecchia, sottostante, raccolta in riva all'Impero, di là da cui spinge 11 sob- . à e o o a l e , o a a n e m ea ae o c l di o a a oe ei, a ia. aa re i- borgo di Borgoraito, e vigilata dalla sua Madonna dell'Uliveto, olla cui sagra, che si celebra solenne agli otto di Settembre, il popolo conviene da tutta la valle, in folla. Dirimpetto, dall'opposto versante, spuntano tra il verde le poche case di Olivastri, e più su la sua chiesetta di San Giuseppe. zld'oqucae vecchia, per la mulattiera sassosa, si giunge In venti minuti di salita alla prima frazione di Chiusànico, a Villa: si giunge su un pianoro aprico, davanti alla chiesa parrocchiale ili Santo Stefano. Quale ora appare, è una modesta e linda chiesuola, col suo campanile a lato, senza spiccati pregi di architeltura, mostrando anzi una vieta, banale architettura otto¬ centesca: quale l'hanno infatti ridotta drestauri, e si può dire la ricostru ione, dal 1827. Da questa banda, a inistra, si prolunga la canonica; di là, a destra, un po' distaccata, una piccola e rozza costruzione, una casupola a un piano, di pietre appena squadrate, rivela un'età assai più veneranda, forse parecchi secoli; e ad essa s'appoggiano, dietro, altre costruzioni, ma recenti, un seguilo di casette bianche, fin dove il monte riprende a salire, Il parroco, don Paolo Roggio, mi accoglie con schietta cordialità, mi accompagna a visitare la sua chiesa di dezitivcamneanmPer 11 bosco degli olivi, da Chiusa-lflnpafutescnovi}]v.icocrapbmdsuslinprdrsptlcE sùbito mi ricorda che. a malgrado Pdell'aspetto, questa vanta di esistere malmeno dal 1277, quando la si trovaIrmentovala per la prima volta in pub blirj atti. E apparteneva allora, come poi per secoli, a un cenobio di Benedettini, i benemeriti cui si deve la rinascita, nel Medio Evo, di queste contrade, il rinnovamento dell'agricoltura, il rifiorire economico, insieme con elevazione morale della popolazione: quei Benedettini che furono importatori, in questa Riviera, della cultura dell'olivo; sicché si vorrebbe, qua localmente, con una di quelle arbitrarie etimologie che accredita la voce popolare, che da tanto derivasse loro l'appellativo, anche, di Olivetani. E qua presso, certa località si chiama ancora la Fascia dell'Eremita. E quella casupola che si palesa cosi vetusta, si chiama ancora la Casa dei Frati; ed era certamente una delle costruzioni del convento: dal Duecento, magari, o dal Trecento. E precisamente in una delle tre stanzette. In cui sj divide l'interno, e adibite adesso a legnaia e a deposito di materiali, in una di quelle, lui. don Roggio, insieme con l'avvocato Lodovico Semeria Vassallo, ritrovavano, la sera del 12 Aprile dell'anno passato, la pietra tombale dei Colombo di Chiusànico, con lo stemma che la famiglia assunse nel Cinquecento, con la data — MDLXXXIUI. ticpsGvlndtrcLo stemma della colomba Poiché qua, nella chiesa, era la eappella sepolcrale della famiglia Colori) ho. La chiesa comprendeva allora tre navate ; e la cappella, con la tomba e l'altare, si apriva in fondo alla navata di sinistra, di fianco all'altare maggio re. Nei restauri, o meglio nella ricostruzione del 1827, le tre navate furono riunite in questa sola, che oggi costituisce la chiesa; e le pareti di fondo furono spostate, per aumentare l'edificio in profondità; e la cappella andò demolita, la tomba abolita; e l'altare venne trasportato al principio della chiesa, collocato contro la parete di destra, sùbito di fianco all'ingresso. Don Roggio me ne fa ammirare il pregevole lavoro, manifestamente secentesco, 11 marmo della predella, la decorazione del dossale, a Intarsio di policromi marmi, e i lavorati marmi dei gradini, sopra la mensa. Alle estremità eli questi si raccordano le basi di due colonne di legno dorato, scanalate, che si elevano, sormontate da capitelli compòsiti, a reggere un frontone, similmente di legno scolturato e dorato, e che con la sommità tocca alla volta stessa della chiesa. E tra le due colon ne, sopra l'altare, e fino al frontone, s'inquadra una grandiosa tela, in cui è figurata la Madonna in cielo, col Bimbo In braccio, e religiosi e laici che pregano e L'adorano. Nello spazio della doppia cornice inferiore del frontone, si legge la scritta: Alma via regia paca 1650; e poi: Bestauratum 1889. E dal due lati. In corrispondenza del capitelli delle colonne, si scorge, ripetuto, lo stemma del Colombo: lo scudo ovale, con campo rosso granata; e una banda d'oro attraverso, che si ripiega ad angolo, col vertice in alto; e nella porzione inferiore la colomba bianca che porta In becco 11 ramoscello di olivo; s nella por dsgcddsagmd one superiore, due stelle marinare, oro. Tale, dai ripristini dell'Ottocento, uesto altare dei Colombo: la cui asata qua, di Chiusànico, insieme, di Gazzelli. s'era estinta non più d■ctzella più spessii imbrattatura, ricohob i qualche decennio prima, sul finire ! mel Settecento. Mn li cimelio più pre-l^oso, comecché ritenuto più significa- dvo, don Roggio me lo indica, riae-!danto ora all'altare, la lastra di mnr-idcopri già 'a tomba, e che «apeva come e dove fosse ! sperduta, forse con l'altroM■mo che essuno ndata materiale di demolizione; e ritrovata1nalmente, che non é un anno, dopo azienti e laboriose ricerche, scavata uori nella vecchia Casa dei Frati, dal erriccio in cui eri affondata e nacosta, sotto cataste di legname. Chio sulla lastra, ch'é deposta sul paimento, rivivo un po cella commoione dei due quando la ritrovarono. ome mi narravano; e all'incerta luce repuscolare — che cadeva la sera, — ppena ebbero scrostato il marmo ero, scolpito in bassorilievo, lo stemma della colomba, l'identico slemma ell'aitar;;, lo stemma del Colombo. E ul frammento della cornice, dello jlesso marmo, che già aveva chiuso!n giro la lastra, quando copriva l'a-lperlura della tombi, sul frammento jicuperato contemporaneamente, poco jdiscosto, si intravvedevano le lettere Iromane di quel millesimo, assai po- sterlore, di quasi un secolo, alla sco-'perta dell'America; e cfoè non con-1ravvenendo alla circostanza essenzia-je, che la nobiltà dei Colombo, con icorrispondenti fregi araldici, s'innovò, iP potè ostentarsi da discendenti, co-imunque, e collaterali, unicamente inronseguenza e per effetto della immor-ale gesta di Cristoforo; essendo essinvece, per innanzi, plebei, gente mec-canlea, e talun d'ossi fors'anche di peggio; cosi che di lui stesso, dello scopritore delle Amartene, il vescovoGlustinianl, sdegnoso di perifrastici veli, registrava nudo e crudo libus ortus parentibus... ». Mirabili coincidenze «i-Ma come non rilevare la straordi- naria coincidenza, che questo stemma di Chiusànico, sull'altare e sulla pie-tra tombile di questi Colombo, cor-risponde perfettamente a quei versi che si leggono sulla casa colombianadi Cogoloto? • Con ireneroso ardir dall'Arca all'onde Ubbidiente il voi Colomba prende. Corre, s'aggira, terra scuopie, e fronde D'olivo in segno al graji Noè ne rendo. L'Imita in ciò Colombo, nò s'asconde, E da sua patria 11 mar solcando fende: Terreno al fin scoprendo diede fondo, Offerendo all'Ispano un nuovu inondo ». Versi bruttini anzichenò. Ma mirate strano groviglio di coincidenze. A Cogoleto, in quel di Savona,» esiste una casa che già si volle, e la fama ne dura, riconoscere per quella, proprio, dove Cristoforo Colombo avrebbe visto la luce; che verosimilmente però appartenne a suoi parenti. Quando il tiglio di Cristoforo e di Beatrice Enriquez de Arana, don Fernando, viaggiava in Italia, venne a Cuyureo, com'egli stesso racconta, nel secondo calinolo delle sue Hislorie della vita a dei fatti dell'Ammiraglio Don Cristoforo Colombo; e sostò espressamente per incontrare questi che « ... si diceva ch'erano alquanto suoi parenti... », del padre suo. Ora, nel corso di restauri di detta casa, nel 1872, sulla facciala ricomparvero, già nascosti sotto più strati di pittura, i succitati versi, che si attribuiscono ragionevolmente a un discendente di quelli stes si Colombo di Cogoleto, don Antonio che li avrebbe dettati verso la metà del Seicento, e fatti iscrivere così sulla sua casa. 11 più curioso si è che là, sulla facciata della casa di Cogoleto, quei versi sono accostati a uno stemma, dipinto ugualmente sullo stesso muro, ma con cui non hanno riferimento di sorta: un qualunque emblema araldico, dove spiccano una torre e un grifone. Ed ecco Invece che il riferimento, e quale non schiederebbe più esatito, si ritrova quinello stemma di questi Colombo dChiusànico, sul loro altare, sulla pietra della loro tomba. Ma notiamo ancora: e quei versi e questo stemma corrispondono, gli une l'altro, in modo impressionante, a certe fantasiose divagazioni sul nome di Colombo, sulle profetiche e trascen denti significazioni che si sarebbero contenute in esso, su una sua erme neurica religiosa, di cui si complace il detto figlio naturale di Cristoforodon Fernando, uomo di molta dottrina e pietà, bibliofilo appassionatlssimo, raccoglitore e ordinatore dquella celebre biblioteca Fcrnandinapoi Colombina, che si ammira a Siviglia: egli dunque, ancora nelle suHislorie, così architetta: • ... mi mossi a credere che, sì comla maggior parte delle suo cose » (sue , del padre, di Cristoforo Colombo) ■furono operate per alcun misterio, così quel che tocca alla varietà di cotal nome e cognome non avvenne sen za misterio... Perciocché, se abbiamo riguardo al comun cognome de' suoi b e ! maggiori, diremo che veramente fu -l^ombo, in quanto portò la grazia - delI° Spirito Santo a quel Nuovo mon-!d° che egli scopri, mostrando, secon-id0 che nel battesimo di San Giovan e Battista lo Spirito Santo in figura di e ! Colomba mostrò, qual era il figliuolo oM»etJo di Dio. che ivi non si conosce- ■va: e perciocché sopra le acque deli Oceano medesimamente porto, come ia colomba di Noè, l'olivo e l'oglio del battesimo per la unione e pace che quelle genti con la Chiesa dovevano avere; poiché erano rinchiuse nell'arca delle tenebre e confusione... ». Chi mi scioglie il nodo di tutte tali colncidenzer Due autografi di Colombo ? Don Roggio mi distrae dalle mie affaticate elucubrazioni su questa pietra sepolcrale all'insegna della colomba; e mi guida verso il coro, a mostrarmi due quadri, dai lati dell'ai tare maggiore, che la tradizione loca a1^ o a l . e — o a E o jie vuole portati dalla Spagna, dal Co o! lombo. Non mi paiono opere eccellen- a-ltl; ma pure abbastanza interessanti; e o jprobabilmente si, di scuola spagnola, o j Di qua, è una vasta composizione, are Izigogoiata e torbida e stupefacente o- come il quaresimale d'un predicatore o-'del Seicento: attorno al fronzuto aln-1 bero della Vita, si raccolgono Gesù a-j Cristo, la Madonna, la Mone, un An i-gelo, il Diavolo, e un peccatore, in ò, i • icche vesti, questo, di gentiluomo — o-icostume spagnolo del secolo decimonlsettimo, — e che si abbandona livido r-'e attonito, e pare sul punto de! tra-; nori copaLoal chpodisCenole nole;grcamnodi grborisspragiscsqposocenosoBcasod.aLdevade! dnpapmIlsinreilolasi'passo; e Gesù Cristo suona una cam-izc-jpana appesa ai rami; e la Madonna! vdi ]Inginocchiata prega; e ìa Motte, nudo*e o scheletro, brandisce nelle mani d'os-urno!sa una scure, e si appresta a vibrarlaj^i ! contro il tronco dell'albero, cui, dal 1 pi-lraltro lato, il Diavolo squassa minaciSciosamente, dando strappate con una |corda che si lega Intorno al tronco; e l'Angelo veglia all'agonia del peci- c.atore, visibilmente accingendosi a a contende) e l'anima al Diavolo. Di e-jcontro. dall'opposta parete, è un'Imr-imacolata, circonfusa da una raggerà si jd'oro. na! — Dicono sia la Madonna del Pi- de de o. e: ». te ona ne o, virò il rigoa a ote e », rela sti ati oles o età ulhe gono làr, — mi riferisce Don Roggio: — Lei la conosce? Debbo confessare la mia Ignoranza: ignoro, o almeno non i iesco a ricordare, come venga rappresentata la pur famosa Madonna del Pilàr. Poi, passiamo iti sagrestia. Tra 1 vecchi mobili, che odorano il chiuso e l'incenso, altri quadri, di minori proporzioni, anche di minor pregio. E don Roggio mi indica un'altra Madonna, questa con una veste ampia come un guardinfante, rossa scarlatta, gallonata e frangiata d'oro: — Altri afferma che la Madonna del Pilàr sarebbe questa... E nella mia modesta chiesa non c'è proprio più niente da vedere. Forse, qualche quadro ancora, e anche quello che sarebbe venuto ai Colombo, o alla parrocchia, dalla Spagna, secondo mi hanno raccontato, restò abbandonato nella qua vicina Casa del Frati, fino al secolo scorso, tra le legna da ar dure, le fascine, il materiale e le cianfrusaglie fuori uso. Poi, sarebbe sparito, andato perduto, o magari trafugato. — C'erano anche carte? libri? re gistri? — Chissà. Ho sentito parlare qualhe volta di due lettere autografe di Cristoforo Colombo, che i vecchi avrebbero vedute... MARIO BASSI olaaddzblltavlfpstIdscnddcnrmlvlmVedv