Salire ed epigrammi del Risorgimento

Salire ed epigrammi del Risorgimento Salire ed epigrammi del Risorgimento i o d o i i . l e , A o e ù l a l l o a o : i luaioaa ue o emri ali fooi, i, ri ui- Lo spirito scettico e mordace è uno dei caratteri più noti del cittadino napoletano: la sua facile tendenza alla satira, all'ironia, alla tenzone dialettica sono, insieme, uno degli aspetti più tipici e più deteriori della vita partenopea. Il marchese di Caccinone E' intorno al 1830 che l'attenzione del pubblico partenopeo comincia ad essere attirata da Raffaele Petra, marchese di Caccavone, discendente di una grande famiglia di magistrati meridionali i cui ulteriori rampolli ancora oggi, a un secolo di distanza, occupano altissimi posti nella magistratura italiana. Dopo la rivoluzione del 1821 il principe di Canosa, ritornando sulle disposizioni di clemenza e di tolleranza portate da Ferdinando dalla Sicilia, tra le altre repressioni ordinò grandi bruciamenti di libri sovversivi in via Medina. In questo autodafé, mirabile a dirsi, fu dato alle fiamme persino il catechismo prescritto dal clero nelle scuole, perchè tra gli altri doveri imposti a) buon cristiano enumerava quello di difendere la Patrial Ora il concetto di Patria era inadeguabile al concetto di monarchia assoluta. Ci sìa concessa qui una digressione per narrare che il popolino napoletano dopo il 1860 dava al soldati dell'esercito nazionale il nomignolo di patrioti: i monelli, appunto, li apostrofavano neh! patrio! Questo dimostri come per un popolo estremamente ignorante fosse difficile assimilare il concetto di Patria. Dopo un perìodo di profonda depressione i primi segni di risveglio degli ambienti intellettuali che dovevano cooperare all'unità, furon dati dal giornalismo letterario. V'era a quel tempi un caffè prospiciente al Molo ove sì recavano a passeggiare i buoni partenopei. Sì chiamava, appunto, Caffè del Molo e lo frequentavano un gruppo di gentiluomini tra i quali erano il marchese di Caccavone, Michele D'Urso, Domenico Andreotti, Vincenzo De Ritis, Giuseppe MariniSerra. Questi giovani, dotati di buona cultura, seguivano oltre il movimento letterario del nord, anche la passione del tempo che era tutta spesa pel melodramma: erano i tempi di Rossini e della migliore gloria del Teatro San Carlo; dotati tutti di buon gusto ed estimatori della critica barettiana fondarono un giornale letterario che apparve nel luglio del 1829 e s'intitolò il Caffè del Molo. Questo giornale non ebbe un grande valore letterario, però lo spirito col quale era composto ci illumina molto bene sullo stato d'animo di quegli anni: sulle sue colonne si criticavano senza indulgenza le sta gioni sancarliane, vi si recensivano 'aspramente le novità letterarie, vi s^ 'conducevano vìvaci campagne contro la smania e la logorrea letteraria di cui erano affetti 1 giovani d'allora Verso la metà del secolo fu pubblicata in Isvizzera, a palesi fini legittimisti, una Storia della letteratura del Reame delle due Sicilie dovuta a quel don Pietro di UUoa che fu ministro di Francesco II nell'esilio romano. In questo centone, però, insieme a molte utili notizie vi sì trova una buona de finizione del movimento promosso dal Caffè del Molo. « Questo giornale, scriveva J'Ulloa, fu salutato come Indizio d'un risveglio. La conoscenza della sua redazione è utile perchè essa rivela i motivi pel quali 1 collaboratori, che erano quasi tutti dei poeti, sprecarono la loro vita in quella acre e inesorabile polemica. Il gior naie dovette la sua origine all'abitudine che avevano parecchie persone di spirito di radunarsi in un caffè ove si esercitava rudemente la critica, senza riguardo per alcuno. Esse era no indignate di vedere una giovinezza, capace di pochissime cose, assu- e el me™ de,Ue Preteso senza limiti U ; prender la smania di scrivere per tae edi le a-, a;! rao a e, oci ln o, o a n a to è e e o he oil irl oi ie di lo o; ». di a zo e ra ra me co ela ni. e ere no e el a e re ie ra e o- lento... ». In altri termini, 11 fervore delle ani me compresso dalla reazione borbo nica, tentava di appagarsi in campo letterario. Infatti, le polemiche coi giornali letterari di Milano erano vivacissime, la difesa di Napoli contro i suoi denigratori era fatta con garbo ed energia. Critico teatrale del Caffè del Molo era Raffaele Petra il quale ben presto si ritirò dall'agone giornalistico per coltivare il piacere più acre e dilettantesco dell'epigramma. Nutrito di soda cultura, egli compose i suoi brevi carnii in italiano, di stinguendosi per una certa crudezza di stile, precisione di satira ed efficacia di verso che lo Tendono veramente notevole. Ecco che cosa egli diceva di un tal Vitello, morto il di seguente alle sue nozze: Il buon Vitello ù sceso antro l'avello - A la dimane delle nozze sue. - Era l'unico modo onde un vitello • Non divenisse un bue. Di un tal Martirio scrisse: Afartlrio è buio, e sfido l'uom più scaltro A penetrar, da que' suol sguardi buU Se sia toccata una di sgrazia a lui O una buona ventura a qualcun altro. E al barone Rotschild, che nel primo cinquantennio dell'Otto cento ebbe una banca a Napoli: Quell'accolta di tristi Che borsaiuol direi più che borsisti Urla furente a Rotschild: Vuoi divorarci tutti in un boccone? Freddo risponde a lor l'ebreo barone: Me lo vieta la mia religione. Era come un dar loro del maiale. "I migliori epigrammi Ma il marchese di Caccavone fu eccellente soprattutto nell'epigramma in vernacolo. DI lui, oltre un poemetto in sesta rima, non rimangono che una cinquantina tra epigrammi e aneddoti, quasi tutti di tradizione orale. Quelli napoletani sono i più bolli artisticamente e quelli che meglio rivelano la personalità di questo vero Marziale partenopeo; in casa del suoi discendenti abbiamo visto un suo ritratto: alto, magro, pallido, con uno sguardo dì cupa Ironia, egli è una strana miscela di rettitudine e di scetticismo, di bonarietà e di malinconia; 1 suoi migliori epigrammi sono terribilmente scurrili, ma colpiscono a fondo i vizi e le peggiori passioni umane. A uno sciocco vanaglorioso egli disse: Ciccio dice ca l'uommene so' rrare, L'uommene comme a isse, E ca si tosse rre, farria ietta Tutte li f.... a mmare. E V dico: Ciccio mio, comme farrisse, Tu ea nun saie nata? Di quelli... pericolosi ne sceglieremo uno solo, e capisca chi ha intuito per queste cose o che ha una certa conoscenza dei detti napoletani; si tratta d'un bigotto: Rusarte, avummarie dice a tult'ore. Pure «coppa a 'u zi peppe (zio peppe è il nomignolo d'un... recipiente.) '011 Marcantonio: Chello de coppa manna a lu Signore, Chello de sotto nfaccia a lu dvunVPtsglbnStgsfIvrrqa(arPsrtTn e l , è a - o i o l l e e a e i e o n ù l a , i o . n o a aa e : o , oi e i o o me, V u oio i ue l ru u dcmmonlo. Questa terribile quartina avrebbe potuto firmarla Marziale.. . . Raffaele Petra, che ebbe un altissimo ufficio nell'amministrazione delle finanze, "aveva un figliolo, il duca dli Vastogirardi, che fu Questore e poi Prefetto del Regno: questi avendo tentato poveramente invero, di imitare lo spirito paterno si senti colpire dal seguente epigramma del duca di Maddaloni: Le tue frottole credi argute 0 buone. Perchè figliuolo sci al Caccavone: Lo spirito nome fì.decommesso:\ Smetti Nicola mio, tu sei un f... I lettori mi perdonino, ma solo gli epigrammi della decadenza alessandrina sono zuccherati; quelli che hanno efficacia artistica sono piuttosto' crudi. Il Marchese morì in tardissima età : avendo già ricevuto i sacramenti, un'ora prima di entrare in agonia mormorò: / lumi ormai son spenti. Lo scia» quitto (la bicchierata) è finito. Salute ai rimanenti. Guagliù, levate '0 brllel (Ragazzi, togliete i bicchieri). Il duca di Maddaloni A Napoli ha forse maggior fama un altro epigrammista che viveva ancora ai primi anni del secolo: Francesco Proto, duca di Maddaloni. La sua consistenza artistica fu però molto Inferiore a quella del Petra, benché egli, a differenza del Marchese, fosse animato da grandi ambizioni letterarie. Drammaturgo fecondissimo, egli fu di quella larghissima schiera di napoletani che nella seconda metà del secolo scorso si dettero al teatro come ad una moda; schiera dalla quale a stento si salva Achille Torelli coi suol Mariti. Tuttavia il nome di Proto drammaturgo è legato in qualche modo al ricordo dei posteri pel fatto che in un suo lavoro debutto la piccola Tina Di Lorenzo sul palcoscenico del Teatro dei Fiorentini. Il Maddaloni ebbe, tra l'altro, anche grandi ed infelicissime ambizioni politiche: dopo avere per due terzi della vita professato idee liberali ed aver subito anche le persecuzioni del vecchio regime, compiuta l'Unità della patria, sentì nascere in sè delle nostalgie borboniche, e come borbonico sedette in Parlamento. V'è tra le rarità bibliografiche un piccolo volumetto in trentaduesimo nel quale Salvatore Di Giacomo alla morte del Duca, nel 1904, raccolse due centinaia di epigrammi. Questo volumetto, pubblicato dal Pierro, quando questo editore aveva ancora una notevole attività, era ornato da qualche Illustrazione dì Pietro Scoppetta e di Edoardo Dalbono. Per dir meglio, accanto a un ritratto del Duca e ad alcune deliziose miniature dovute allo Scop.petta, di Dalbono non v'è che la testata degli epigrammi: un bel busto di donna dal plastico volto sorridente e piacevole del quale una mano è alzata a fare le cornai Povero Ducal Bisogna sapere che nella città ove ha avuto i natali quel Nicola Valletta autore di una classica Cicalata sul fascir no detto iettatura, egli aveva appunto fama di jettatore. Ora il terribile pittore, amico e protettore dei gatti randagi, aveva avuto tanta -paura del' fascino postumo del Duca da mettergli un paio di corna innanzi agli epigrammi. Forse il migliore strale di Maddaloni fu quello scagliato contro il figli* di Caccavone ; molti dei suol carmi sono inaciditi dalla partigianeria politica 0 sono limitati alla trovata umoristica. Ne citiamo uno contro Paolo Emilio Imbriani, a proposito di una epigrafe, che ha valore documentario:! Bravi napoletani. Del noto epigrafaio Paolo Emilio Imbriani, Che facea nel Parnasso il calzolaio. Queste chiacchiere sono che in sè nulla han di buono: Dettone la sua boria irrefrenabile. In questo novo stile lapidario non già ma lapidatile. Michele D'Urso e Michele Jugarriga Un'altra rarità bibliografica è una Raccolta di epigrammi dovuta a un. anonimo, pubblicata da Francesco Casella nel 1894 in trecento esemplari, adorna di eleganti vignette tipografiche. Vi si trovano epigrammi di tutti i frequentatori del Caffè del Molo e dt tutti i discepoli che ebbero lungo il secolo decimonono: erano il marchese di Caccavone, il duca di Maddaloni, il barone Savarese, Michele D'Urso, Filippo Pananti, Cesare De Sterlich, Vincenzo Torelli, Martino Caflero e altri. Di costoro l'unico che possa sostenere un certo confronto col duca di Maddaloni e col marchese di Caccavone fu Michele D'Urso che compose straU acuminati, benché spesso avvelenati di rancore ipolitico. Era questo D'Urso uno di quei napoletani che trascorsero la giovinezza a cospirare per la libertà e l'unità e si ritrovarono nella vecchiaia, a Risorgimento compiuto, borbonici e reazionari. Fu lui che compose il famoso epigramma contro Ferdinando di Borbone: Fosti quarto, fosti terzo. Or l'intitoli primiero; E se seguita lo scherzo. Diverrai proprio uno zero. E contro il principe di Canosa, ministro di Polizia: Certo Canosa è destra, A sostener lo Stato; Però come il capestro. Sostiene l'impiccalo. La contropartita di questo spirito dilettantesco, che spesso entrava nei domimi dell'arte, era formata dalle anacreontiche di Michele Jugarriga, fiorito durante 11 regno di Ferdinando lì. Costui credeva davvero di aver creato un genere insieme lirico e didascalico:' componeva delle poesiole in due quartine di ottonari nelle quali era contenuta una massima morale, la spiegazione di un vocabolo 0 di un atto giuridico o di un oggetto 0 fenomeno raro; erano anche di argomento encomiastico. Per esemplo, nasceva Francesco duca di Calabria? ecco il nostro poeta cesareo sciogliere l'inno: Fraticeschin, tu sei piccino, E mi sembri tanto grante (sic), che Golia quel gran gigante. E' pigmeo vicino a te. Possa presto la fortuna. Farti ascendere sul trono, E fla questo il più gran dono. Che può farci il Genitor. Non trasecolate, lettori, questo è il meno! Muore immaturamente la Regina Maria Cristina e nel testamento dispone la fondazione di un ospizio per cinquanta orfane dell'epidemia colerica del 1837. Ed ecco il poeta celebrare il gesto: Testamento è un atto grande. Che fa l'uom vicino a morte. Per lo più a chiuse porte, E si deve venerar. La Regina il fece tosto. Con cinquanta suenturate, In un chiostro rinserrate. Notte e giorno a salmeggiar. Come punì- > rono i Borboni questo tetro criminale! lo nominarono presidente di Tribunale, e il poeta, grato, dette alle stampe le sue anacreontiche che apparvero in un volumino, altra rarità bibliografica. Dopo di che c'è da domandarsi perrhé i Mille non partissero alla conquista del Reame armati di polvere insetticida. ALBERTO OON8IQLIO.