La galleria Spada riaperta al pubblico

La galleria Spada riaperta al pubblico La galleria Spada riaperta al pubblico Arte, storia e leggenda ROMA, febbraio. C'è a Roma, in fondo al rione Regola e a pochi passi dal palazzo l'arnese, un edificio cinquecentesco che, costruito nel 1540 per il Cardinale Capodiferro e passato in seguito ai principi Spada, fu di recente ' acquistato dal Governo che già lo aveva in affitto come sede del Consiglio di Stato. L'architettura di questo edificio è di un lombardo: Giulio Mazzoni, scultore e architetto, di cui esistono una statua di Santa Caterina in Santa Maria del Popolo e una casa in Borgo Vecchio che già appartenne ai Crivelli. Del resto — sia detto di passaggio — molti furono gli artisti lombardi che durante i secoli del Rinascimento e della Controriforma lavorarono a Roma spesso portandovi una nota nuova e personalissima d'arte: dallo scultore Bregno che per il primo riuscì a rompere la tradizione architettonica dei monumenti funebri, al Borromini che si ha il torto di considerare come un epigone del Bernini e che fu invece un geniale innovatore da cui doveva nascere il cosi detto stile rococò del secolo declmottavo. E innovatore fu anche il Mazzoni. Per il primo, infatti, abbandonando la fredda armonia di quei tardi cinquecentisti, osò ornare le .aeriate dei suol edifici con una moltitudine di stucchi, di ghirlande, di cornucopie, di busti imperiali e di figurazioni mitologiche animando gli scompartì architettonici con una vita che ftno allora ignoravano. A mezzo il secolo decimosesto, egli aiprl la strada a quelle decorazioni di cui cento anni più tardi si doveva fare un così grande abuso ed ebbe subito imitatori geniali: Annibale Lippi che adoperò quello stesso stile per la tacciata interna della Villa Medici stìl Pincio, e Carlo Mndemo che Io sviluppò e lo ampliò cosi genialmente nel suo palazzo Matte! aLle Botteghe Oscure. Ma fu il Mazzoni che Iniziò la serie e^ la iniziò per quel palazzo Spada che. per essere in una piazzetta solitaria, di difficile accesso a traverso un vicoletto oscuro è poco frequentato dal grande turismo internazionale. E 11 grande turismo ha torto: prima di tutto perche iil palazzo dise.tmato dall'architetto lombardo, con qwei cortili cosi ricchi di elegantissimi bassorilievi cinquecenteschi è veramente degno della nostra ammirazione; poi perchè. In un passaggio posteriore vi è qniel bizzarro prospetto del Rorromini, vero tromne l'oeuil che raffigura una cralleria lunghissima e che invece non è che um piacevole incanno, contenuto neJ5o spaz'o di poco m»no che due metri. E finalmente perchè^ In quel palazzo è la Galleria Spada, che, Pur non essendo fra' quelite di primissimo ordine, contiene ancora alcuni mindri che gli amatori possono vedere con diletto. Vi è anche un'altra, cosa di serrano iteresse in quel palazzo sinpnlaie: la statua di Pompeo che la.tradiz'one vuoile fosse quella ai cui piedi sarebbe caduto Giulio Cesire, quando il pugnale dei conotturati lo raggiunse nella Curia che, al srrande suo rivale era intitolata, tradizione leggendaria, forse, ma tradizione che e. oramai secolare e che ha tutta una storia e tutta una letteratura. La statua di Pompeo E la storia, abbastanza romantica del resto, è questa. Nel 1552, scavandosi il suolo nel vicolo dei benfari per le fondamenta di una nuova casa, venne trovata una statua virile che dagli attributi onde era adorna e dal luogo ove' si trovava — l'antica Curia di Pompeo — si credette dovesse essere quella dell'illustre capitano. L'attribuzione parve così certa che in una macchia rossastra dovuta a infiltrazioni d'ossido di ferro, si volle vedere niente meno che uno schizzo di sàngue dell'assassinato fiiulio Cesare, il quale negli Idi di marzo era caduto ai piedi di quel simulacro, lanciando ti suo grido -oramai illustre nella storia e nell'arte. Ma la statua, per un caso abbastanza frequente nella topografia romana, non giaceva tutta intiera nel terreno del proprietario per il quale si facevano gli scavi, che, oltrepassandone 11 confine veniva ad essere metà sua e metà d'un vicino nel cui territorio si trovava in parte. Nessuno ded due proprietari, come si può facilmente capire, voleva cedere la sua parte, si che il' magistrato a cui si erano diretti per una soluzione, rinnovando in giudizio di Salomone decise di spezzare in due la statua dandone una parte a ciascuno dei due contendenti Fortunatamente il cardinale Ca.podiferro, a cui fu riferita la cosa, ne parlò a Giulio III allora Papa e questi, dopo aver riscattato la statua con 500 scudi, rie fece un dono al Cardinale che la trasportò nel suo palaz- A , o i e a l e o e o e i n e a u zo dove rimase sempre e dove si trova tuttora. Rimase sempre, meno un breve Intervallo nel 1793, quando le autorità repubblicane francesi la trassero dalla sua base e la trasportarono nel Colosseo, perchè servisse di accessorio a una solenne rappresentazione che i comici della Maison de Molière fatti espressamente venire dal gene.^le LéClerc, dettero ai romani in onore delle nuove, libere istituzioni. La tragedia scelta per questa rappresentazione fu La mort de Cesar, del signor di Voltaire : di modo che si ebbe un allestimento scenico tanto scrupolosamente verista da voler la stessa statua.'.'che- aveva. presenziato l'eccidio dà. .Cesare, per la Recitazione della meno romàna' 'fra le tragedie,' tutta ronzante di alessandrini e tutta incipriata di immagini settecentesche. Con tutto ciò la rappresentazione ebbe quel che si dice « un successo •, il che non deve stupire se si pensa che in quegli anni i cortei, le mascherate e le cerimonie dove gli attori apparivano in costume romano erano pili che frequenti nel recinto del Foto e del Colosseo. . II. desiderio di Napoleone Ma ecco che questa nuova notorietà, data alla presunta statua di Pompeo ebbe una inaspettata conclusione: jl principe Spada ricevuto dall'Imperatore nel febbraio del 1810, gli disse che egli possedeva il simulacro marmoreo del grande rivale di Giulio Cesale, simulacro ai piedi del quale era caduto 11 Dittatore. Non ci valeva altro per infiammare il desiderio di Napoleone: e il 33 aprile dello stesso anno scriveva da Compiégne una lettera al conte Daru suo intendente, dicendogli che voleva la statua di Pompeo, ma, siccome la somma richiesta dal saio proprietario gli sembrava troppo forte, bisognava cercare di ottenerla con una qualche riduzione. Le trattative furono subito intavolate e se' ne occupò personalmente il generale MiolliSi comandante del presidio francese a Roma e grande amatore egli stesso di cose antiche, il quale con lettera del 17 agosto, faceva sapere al Denon — direttore del Muse© Napoleonico — di essersi occupato di quanto desiderava l'Imperatore e di aver ottenuto una forte riduzione sul prezzo richiesto dallo Spada, che si sarebbe contentato di sole 60 mila lire. L'assenza da Roma del principi Spada, in quei giorni residenti a Ferrara, faceva andare per le lunghe le trattative, ne — d'altra parte — premeva ai Miollis di concluderle, avendo saputo che la statua eTa in cattive condizioni, già restaurata più volte, si che faceva temere di vederla giungere a Parigi in pezzi. Ma ecco che Napoleone s'impazienta. Il 10 ottobre, dalla sua residenza a Fontainebleau, scrive in margine a un rapporto: t 11 signor conte Denon comprerà la statua' per 60 mila franchi •, e poco tempo dopo, per ingraziarsi il proprietario, lo creava Senatore dell'Impero. Se non che, durante questo spazio di tempo IH Denon era venuto a Roma, aveva visto la statua, e aveva dato un parere nettamente sfavorevole al suo acquisto. « Debbo prevenirvi » scriveva al Daru « che questa statua non aggiungerebbe nnlla alle collezioni del Museo, che sarebbe difficilissimo trovarlo un posto, che la testa è di riporto e non si può dire se sia l'originale e che è stata battezzata con un gran nome per sbalordire gli stranieri e chiederne un prezzo più grande •. A questa osservazione del Da.ru; toisosna aggiungere le varie discussioni sórte fra gli archeologi romani più o meno concordi a trovarla opera per lo meno dubbia. La .polemica dilagò ben presto fra le invettive dei dotti che in quegli anni erano straordinariamente pugnaci e non chiedevano ■ di me-srlic* che aver materia per alimentare le loro discussioni accademiche. Comunque, la battagflia ebbe un risultato certo: che l'Imperatore rinunciò ad acquistare la statua del gran Pompeo, statua che rimase tranqull'amente nel gran salone del Palazzo Spada dove anche oggi — fra una seduta e l'altra del Consiglio di Stato — i visitatori possono vederla sotto la crnida dpi custode che non manca mal di mostrare la macchia d1 sangue, zampillata dalle piaghe di Giulio escare. Pna volta aurora, la leggenda è stata più forte «eie storia. Una collezione di un gran signore La statua di Pompeo non è però la sola curiosità onde i turisti si dirigono verso il Palazzo Spada. C'è oirgidì anche la Galleria, che fino a ieri è r'ma&ta chiusa al pubblico, ma che oramai — grazie ale «ire di Fe¬ dtvnnmrln—rrlMPdsntfevncIlriaPdedFsttQuramPndestdtprziecmpndqangstcnds•oltuncvedLlalupgsd derico Hermanrtn — si può liberamente visitare. Certo, fra !e collezioni private di Roma non è la più importante ne la più ricca di capolavori, ma pure non è tale da doversi disprezzare. Con molto amore e cori quella scienza delr.'immobigllamento che gli è propria. l'Hermanin l'ha sapientemente riordinata mettendo in valore i varii mobili — alcuni dei quali mirabili esemplari di decorazione bai-ceca. — e rendendo alle varie sale il loro splendore primitivo. Così come si vede oggi, la Galleria Spada è interessante sopra tutto per questo: che rappresenta esattamente la collezione di un gran signore del-Secolo decimosetti mo, con tutte le sue preferenze: ed ari che con tutte le suo IdiosincrasieCe da a.Uigurarsi che rimanga; così a che non venga aumentata con nuovacquisti. Perchè io credo che sia un errore fondamentale, quello che si va facendo alla Galleria Borghese, di aggiungere cioè ni nucleo primitivo nitri quadri che con quelli esistenti non hanno nulla a che fare. Vi fu un tempo in cui si arrivò per fino a introdurvi una tavola senese di Simone Martini: in qiml luogo e fra quelle Pitture! La rosa avrebbe fatto inorri dire 11 buon Cardinale Scipione che sui primi del Sficanto aveva organizzato la sua raccolta. E d'altra parte la tavola a fnndo d'oro parve cosi fuori di posto che poco dopo fu tolta e messa in un'altra Galleria. Ma io vorrei che l'esclusione di nuovi quanr.i fosse definitiva in quelUe raccolte che rappresentano tutta un'estetica. Il giorno in cui nella mediocre Galleria Spada — che pure è cosi inte ressante per il suo ordinamento e per il suo significato - svi a-ggiuneresse un auadTO fosse pure del Rottlcelli o del Pinturicchio. la collezione non ci guadagnerebbe gran che dal punto di vista estetico e ci perderebbe moltissimo da quello che vorrei dire rronistico. Fra le pitture più importanti di questa Galleria si deve notare un ritratto di Giulio III. di Gerolamo Sicciotante, un Sacrifico d'Ifigenia del Quercino, un Goìin del Caravaggio, una natura morta del genovese Cavarossi, un ritratto del Cardinale Spada ai Guido Reni, e il quadro famosissimo che Mi che"! angelo Cergnozsi — il Pittore romano ficlio di un « vaccinaro » che fiorì mi secolo XVII e fu detto Michelangelo dei Ramboeri — esegui per esaltare la gloria di Masaniello del quale era un così ardente ammiratore. Onesta grande, tela, dove sono centinaia di figurine dipinte con una sorprendente abilità, rappresenta la rivoluzione napoletana rosi come la immaginava il Cerenozzi. che a Napoli non era mai stato nè in nessun modo aveva veduto il suo eroe. I versi di Araldo Come ai vede la Galleria Spada non contiene gran che e molto probabilmente non vedrà mai affollate di pubblico le sue sale. Ma vi andranno coloro che amano l'belli! ambienti del passato e che. stimano più un quadro mediocre là dove uno spirito amante Io aveva posto nel secoli, che non un cane-lavoro fra lo stridore degli ori moderai e dei mobili futuristi, e il Palazzetto Spada, non ostante la fama che gli viene dal simulacro di Pompeo, intorno a oui continuano ad ailetrginre — dopo un secolo di polemiche c di discussioni — i versi che gli indirizza.va un giorno il • fancihiiio Aroldo • lì tu nefanda statua pur sempre viva nella pili austera forma della tua nuda mnestfl: tu che sorgesti fra lo schiamarzo del sicari mentre alla tua naso rcsnre st (rtacqué. nel sanane immerso e avvolto nella toga per morire più demo, onde ti fece altare alla prran Nemesi, refrtna del numi e declt umani. Egli moriva e tn pure, o Pompeo peristi: entrambi per te vittoriosi d'infiniti sovrani o pur fantoeet sulla scena? Ma i versi di Giorgio Bvron sono oggi! anche più dimenticati delle poemiche combattute intorno alla statua, versi, e discussioni che a tioì non interessano se non quel tanto che ci fa rivivere a traverso i secoli la vita di un bell'edificio cinquecentesco e il scorno d'un elegante cardinale dell secolo barocco. OIEOO ANGELI.