Prime constatazioni

Prime constatazioni La Tripolitania vent'anni dopo l'occupazione Prime constatazioni Mi avevano avvertito tutti: «Non riconoscerai più Tripoli. Nessuna città si è talmente trasfigurata in pochi anni ». Così sbarcai da un ottimo piroscafo nel porto fortemente ingrandito, essendomi preparato a tutte le novità e a tutte le sorprese: ma ciò che vidi durante il mio soggiorno nella città e nella zona di Tripolitania ohe potei visitare, superò la mia aspettativa e mi colmò di lieto stupore e di franca ammirazione. Tripoli si è più che raddoppiata di popolazione: dai 30.000 abitanti del 1911 è salita nel 1030 a 70.000 anime: sviluppo rapidissimo, che in Africa mediterranea forse non ha precedenti Ma Tripoli sotto il dominio Italiano non si è limitata a moltiplicarsi per due: o meglio, si è duplicata, ma creando vicino alla città vecchia, rumorosa, pittoresca, — resa più pulita ma rimasta quasi intatta nei suoi « zenghet » stretti e tortuosi e nei suoi « suk » pieni di ombra, nelle sue «' sciara » formicolanti e nelle sue candide moschee — una città nuova e molto più estesa, ben disegnata e linda, a strade larghe e diritte, con belle costruzioni e decorosi uffici pubblici in chiare architetture armonizzate con l'ambiente, una cattedrale maestosa, alberghi confortevoli, banche e negozi, teatri e ritrovi, e tutti i servizi dell'urbanistica moderna. Ora è da ricordare, per giudicare l'opera compiuta dall'Italia quaggiù, che il lungo periodo della guerra e dell'immediato dopo guerra fu per la Tripolitania, o almeno per molti lati essenziali della sua vita, peggio che una sosta, un passo indietro. Il vero inizio dello sviluppo della Colonia si ha nel 1921, col governatorato Volpi. Ciò che adunque oggi ci colpisce di meraviglia è, .si può dire, il frutto non di un ventennio, ma di un solo decennio di lavoro coerente, ben orientato ed energicamente condotto. Tripoli nuova è stata concepita con grandiosità: e questa fu saggezza politica ed amministrativa, perchè le opere imponenti intraprese fin dal 1921 per fare di Tripoli una grande città mediterranea attestarono .agli arabi la volontà inflessibile dell'Italia — anche se il possesso immediato rimaneva ridotto a pochi centri costieri, e Misurata era ancora da rìoccupare — di ripetere tutta la conquista e di colonizzare tutto il territorio che in Tripoli ha la sua capitale; e perchè la Colonia ha davanti a se un immancabile avvenire di ricchezza e di potenza, ed è pertanto buona amministrazione fare una volta scia le spese necessarie, e impostare subito le cose sulle proporzioni finali e sul ritmo definitivo Così oggi Tripoli è ricinta versoil mare da una corona di corsi va- stissimi, di impareggiabile bellez- za, che s'interrompe solo per far posto al potente Castello fondato dai Romani, rifatto da Ferdinandoil Cattolico, ed oggi virilmente restaurato da Armando Brasini — di castello sul quale vedemmo con commozione religiosa nei pomeriggio del 5 ottobre 1911, dopo il bombardamento dei forti, alzarsi per la prima volta la bandiera d'Italia. Il Lungomare della Vittoria, il Lun-gomare dei Bastioni, il Lungomare Belvedere, e specialmente il Lungo-mare Conte VoPlpi - i tre ultimi Io- struiti sul terreno guadagnato concolmate sulle acque del porto — sono veramente di una maestà romana. E' già progettato il loro prolungamento fino alle tombe dei Caramanli. Essi costituiscono una passeggiata di molti chilometri sul luminoso mare d'Africa, che non ha' e non avrà l'uguale per magnificenza su tutte le rive del Mediterraneo. Una corsa in automobile per l'oasi sulla strada asfaltata che una volta era un fiume di sabbia nel quale la vettura dell'ambagi affondava, e che eira propizia so'o alle zampe dei nostri cavalli, ci rivela altre sorprendenti novità. La città nuova s) £ sviluppata verso oriente, verso l'oasi : alcuni grandi palazzi pubblici, come i vasti uffici del Governatorato, e caserme ed edifici militari sono 6orti nell'oasi stessa, tirandosi dietro altre costruzioni europee. Cesi la città lentamente spegne e ingoia il lembo occidentale dell'oasi. Gli arabi, che sono gelosi delia loro vita privata e non amano la promiscuità, hanno venduto le loro proprie ia e se ne sono andati più lontano, Numerose casette sono vuote, in uttesa di far posto ai nuovi edifici, e parecchi giardini appaiono abbandonati, ridotti alle sole palme, coi muri abbattuti e il pozzi inerte, pronti a cadere nei tentacoli dellacittà che avanza. La mia prima visita è natura'-mente alla linea delle vecchie triii- -»V ri1.ir,/«. i Y6."1"^ w | cee che strinsero da vicino la cit-tà da mare a mare, e che nel 1914-15 furono «sostituite da un regolare muro di cinta, ragguardevole opera militare che nel 1919, quando i ribelli si spinsero fin sotto Tripoli, rese buoni servigi: Sciara-Soiat, Henni, Forte Messri, e poi il margine meridionale dell'oasi verso oveat peor la Scuola d'agricoltura, il Marabuto di Sidi Messri, l'aulica Caserma di Cavalleria e Ru-Meliana lino a Porta Gargaresc: da tre a cinque chilometri di raggio dal cuore delia città! La linea da Sciara Sciat all'antico Forte Messri attraversa l'oasi per tutta la sua larghezza; 1 segni della lunga guerriglia si sono cancelli ali; e l'oasi è ritornata press'a poco quella che era, coi suoi giardini reelusi nel muretto di terra battuta, la vegetazione foltissima traboccante, le casette misteriose acquattate nel verde, le palme altissime tese verso l'azzurro. Lo sbalordimento mi coglie allorché mi affaccio alla zona dell'antico Forte Messri. Quando durante la guerra noi giornalisti arrivavamo qui a cavallo da Henni, e poi percoriijvamo la linea dei trinceramenti per il Marabufo di Sidi Messri, Bn-Meliana, il Fortino C, fino al mare, si spalancava davanti ai nostri occhi quello che allora si chiamava « il deserto », una distesa sterminata di terra arida, vuota, biancheggiante sotto il eole, senza un segno di vita, uguale fino ai lontani profili diafani del Gebe-l. Ora io cerco,- se non « il deserto » d'allora, qualche cosa che vagamente lo ricordi, e non ritrovo più nulla: un colpo di bacchetta magica ha trasformato la scena, e l'ha capovolta. L'aridità bianca è diventata verzura, il vuoto si è riempito di strade, di filari di piante, di case, la morta eguaglianza del « deserto » si è rotta nella diversità innumerevole della vita feconda creata dal lavoro dell'uomo. Non ho veduto nella mia esistenza nulla di così straordinario, e direi di incredibile, come il cambiamento avvenuto in quella che era la landa davanti all'antico Forte Messri e al Marabuto di Sidi Messri, che i miei occhi non si saziano di vfepteqtaaClencTanterptdeqrprpcgZfcontemplare. Pare di essere in un tangolo di Piemonte, di Lombardia, dai T.ra„. i ir,ior,fl„ m,c ;nA' T> „ , * L-.o-nv,nn Udi Toscana, tanto è intenso quei!pverde, tanto sono vigorosi quegli al beri, tanto è dolce il raccoglimento di quelle casette dei coloni, dalle quali si alza (è vicina l'ora del desinare) un quieto fumo azzurrino. La sabbia si è trasformata in campo, oliveto, orto, vigna, agrumeto, frutteto: non è più il giardino solito dell'arabo nell'oasi: è la buona ter- bGtPdtSrMBra lavorata di casa nostra, che dal pgenerosamente i suol cento frutti, ! pspezzettata in piccoli poderi di po-i sch'i ettari, già fissata nelle sue for-'* me definitive di coltura e di con¬ duzione. Passa vicino la ferrovia di Tagi.ura e di Ain Zara, che c'era già nel 1912: ma non c'erano le grandi strade asfaltate che tagliano quel paradiso, ombreggiate da viali di f.xwaUptus di uno sviluppo prodigioso, alti almeno venti metri. Più avanti, dove i Turchi aveva- fn"dGi-Vdct;11" 'a loro povera Scuola di Agricol-: tura subito diroccain all'inizio del-! J In. guerra, nell'antico biancore de-ic solato del i< deserto», è sorto un al- ! r tt"0 miracolo: una vasta estensione l! verde e feracissima, in completo ren- tdimento, coltivata in modo perfetto pa foraggi, ad agrumi, a ulivi, q [s1 Lmandorli, a gelsi, a vigna, e con qua e là macchie più fonde di piante forestali. Questa tenuta che, in confronto alle precedenti, ha le di mansioni della grande proprietà, re ica un'impronta particolare che non la lascia confondere con una co _cffpsasg'mime azienda agricola: è infatti g l'Istituto sperimentale agrario del,viverne, tenuto con cura amorosa,da tecnici di gran valore, dove si provano tutte le colture che promettono di attecchire e prosperare nella Colonna. Sapete perchè quelle piccole concessioni di pochi ettari dei privati viste prima, e questa vasta tenuta dell'Istituto sperimentale di agricoltura di Sidi Messri, sono così rigogliose, fiorenti, compiute, da lasciare quasi incredulo il ritornante che siano sorte sulla stessa terra dove nel 1911 egli non vide che nudila senza vita e squallore senza fine? Perchè nelle piccole concessioni e nell'Istituto di Sidi Messri il lavoro di redenzione incominciò subito dopo la conquista, appena respinta lontano la minaccia dei turco-arabi, e poi continuò senza intermzioni. Qui — e soltanto qui — abbiamo la prova viverne e abbastanza larga del risultato che può dare in Tripolitania un quindicènnio di'opera colonizzatrice. E' la vittoria piena ed assoluta: si può proclamarlo alto e senza esitazioni. Il « deserto », la landa, la steppa, sono fecondi come la terra qs dell'oasi e si possono coltivare non a piccole, medie e grandi ni secondo i nmrlniti Z iJ= J ivES?0?1 e. 16 solo a giardino all'araba, ma all'europea, estensio- distanze dai centri abitati: la stes sa duna è facilmente fermata in un ]reticolato di sparto e consolidata, |cou acacie australiane, robinie.! 1«eucaliptus », e cosi cessa di essere: colle sue sabbie volubili una minac- i L;. .„ ..„,..• v„,.„.„,.. ' , l«a per ^coltivazioni circostanti e! diventa alla sua volta un elemento i "1 vita' » sostegno di una vegetazio ne, una piccola miniera di combustibile. Coloro che irrisero e ingiuriarono me e quanti come me affermarono la sicura capacità di questo suolo dormente da millenni a produrre facilmente e largamente e perciò a nutrire un'immigrazione italiana, g Bono ara duramente giudicati dai fatti che valgono tutte le parole del mondo. Quello sciagurato Francesco Saverio Nitti che volle vituperare anche la Libia, chiamandola «uno scatolone di sabbia», deve subire anche questa smentita rovente che la terra di Sidi Messri fecondata dalla fede e dal lavoro dei pionieri gli infligge. La terra di Sidi Messri è veramente sperimentale: è l'immagine di quello che può diventare la Trlpolitania fino al Gebel in soli quindici anni dall'inizio della colonizzazione. Con questa sola differenza possibile: che i terreni di Sidi Messri conobbero per primi la sicurezza, perchè stanno a pochi chilometri da Tripoli, e il lavoro vi fu per lunghi anni protetto direttamente dai cannoni, ma sono lungi dal rappresentare i terreni migliori della Colonia, e anzi, a detta dei tecnici, sono terre povere, inferiori ai terreni tripolitàni di medio valore. GIUSEPPE BEVIONE.

Persone citate: Armando Brasini, Francesco Saverio Nitti, Henni, Turchi