Le memorie di un sarto

Le memorie di un sarto Le memorie di un sarto PARIGI, febbraio. In unVpoca in cui butti scrivono le loro memorie, non ci sarebbe ragione perchè i Barbi dovessero fare eccezione aJJa regola. Se romanzieri e storici fondano il loro prestigio spila propria abilità nello spogliare ì .contemporanei, non è detto che andLve l'abilità nel vestirli non abbia a ootflferire un certo lustro a chi la possiede. Alla fin dei conti, spogliare li prossimo è urna semplice operamone da curioso, mentre vestirlo è marlagdpocetrcoa™ uffimo da architetto da filo-. eofo e., da moralista. Patio Poiret, dnon pretende d essere tante cose in- psaeane, ma tiene ad onore di avere ;favuta la sua parte nella stona delle cls^agiate del principio del secolo, | aessendo stato lui a dare il segnale j ^di più di una rivoluzione yestimen-! mtami, e ma pare che tanto basti per anoonoscere 1 titola della legittimità : cai hhro che Grasset, grande scopri-1 gtore di ghiottonerie editoriali, gli ba|jastampato in questi giorni sotto il ti-, Gtolo un po smaccato: En habtllant qVepoque, titolo che se non oscura ^quello di Sartor resartus, finora uniiiX) negli annali della corporazione, promette almeno una raccolta di aneddoti e di storielle curiose. - Se teniamo conto dei piccoli colpi di stato compiuti d%I Poiret nel primo quarto del XX secolo, non possiamo negare infatti a quest'uomo nn posticino nella cronaca spicciola del nostro tempo. Fu lui a decretare, nel 1903, la scomparsa dei gonnellini, che fino allora le donne portavano a numerosi esemplari sotto la gonna; fu lui a decretare la scomparsa dei fiori e delle piume di su i cappelli; fu lui ad abolire il busto; fu lui ad annunciare la fine delle chiome lunghe; fu lui ad imporre la ' gonna corta. Quale moralista potrebbe vantarsi di avere letto così .chiaro nell'anima di una generazione ? Giacche, secondo il Poiret, le ■rioriazuoni della moda non risultano già dal capriccio dei sarti, bensì da un,a profonda necessità psicologica cui nò sarti ne pubblico sono in gratto di reagire, ma ohe solo i primi Bono, in grado da' intendere. In generata il sintomo che permette meglio dS preveder prossima la fine di una moda sta nelle sue esagerazioni. iUn moralista troverebbe nella lunghezza e nel numero delle sottane un argomenti1 per interrogare i rapporti profondi fVa costume e costumi : Poiret, più modesto, si accontenta di giudicare da sarto. Le sottane si accorciarono .non tanto perchè dopo la guerra i oostt'mi avessero subito un rilassamento, quanto perchè prima della guerra la veste muliebre si era fatta di una lunghezza e di una ampiezza che non potevano andare più oltre. Il movimento di reazione era del reato .anteriore al 1914, e si sarebbe quindi compiuto, aia pure più lentamente, anche senza il cataclisma europeo. Oggft" se quel capitale indumento femminile torna ad allungarsi? ciò non avviene per una tarda rivincita del pudore^ ma semplicemente perchè sarebbe stato impossibile accorciarlo di più senza cascare nella goffaggine. In conclusione, esisterebbe una regola abbastanza facile per prevedere il futuro sul calendario della moda: basta attendersi per domani al contrario di quanto si fa oggi." Nel 1900.usavano le gonnelle a campana? Meno di dieci anni dopo entrano in linea le gonne strette! alla caviglia sino a impedire alle| donne di camminare. Ieri trionfavamo le. sottane più in su del ginocchio? Oggi Poiret predice il trionfo sqolesvtpdidlptltcsvpmrnnvEgPvcdpbltudtpneEvmrnBczcrcllsbczcppqpf ^T^lotte, che Bule_spiagge ,balneari esiste già e furoreggia quale Eigiama, accoppiando i vantaggi deli gonna lunga alle comodità dei calzoni. Una osservazione non trascurabile idei celebre sarto è quella secondo cui, contrariamente al pregiudizio, i cambiamenti della moda non servirebbero se' non sino a un ' certo punto gli interessi dell'industria. All'opposto, le rivoluzioni del vestiario femminile importano spesso per l'industria yere e sottane. giardino, quando abolì il busto, Poi iwt vide il proprio qwartier generale assediato da fabbricanti di seterie, di paissamanterie, di stecche di balena venuta in delegazione ad espor proprie cVisi. Quando abolì le r quando abolì i cappelli-1- - 'gli il danno enorme che l'industria le avrebbe sofferto e a difendere la 'per ragioni quanto più può standardizzate e in- ne causa delle migliaia di operai che correvano pericolo di restare sul lastrico. In un paese.meno civile prima o poi gli avrebbero fatta la pelle. Ma che poteva rispondere Poiret? Le rivoluzioni della moda non sono' meno fatali di quelle della- politica, j Una delle ragioni della scarsa sim-jparia inspirata al degno sartore da-!S Stati Uniti, dovi si recò varie folte a studiare le condizioni del Cercato locale della moda e a tene- re delle conferenze sulla medesima, nella tendenza di quel paese a cristallizzare il vestiario, appunto industriali, in forme . , .,, ,, _ ., „ u variatela Da un pezzo ^grandi sartorie parigine, la cui onnipoten-, za dipende invece dalle incessanti1 variazioni dei modelli, soffrivano deUa comparsa dà questo cliente ti- irannico e TOnservatore che si ostina a rifiutare i modelli nuovi per restar fedele ad vecchi. Ma sono gli inter- imediari, i rappresentanti degli im- portatori aimericani, che, mandati a Parigi a scegliere i figurini della sta- gione, non osano correre il rischio di importare fogge nuove atte sia a «piacere alle clienti, sia a disorea- nizzare la produzione nazionale. Sa- irebbe questo, insomma — chi lo a- vrebbe detto? — un nuovo episodio caratteristico della lotta fra la ci vii- —tà quantitativa e razionalizzatrice 'americana e la civiltà qualitativa e Jindividualistica del vecchio mondo, Lo sforzo fatto da un paio d'anni in qua dai sarti parigini per reagire hlla cristallizzazione dei modelli sfan- piandosi ùrun tipo di veste che abpr- re dalla semplicità e ricerca le complicazioni tende in buona parte a ermare un movimento ohe, se trionfasse, segnerebbe la fine del loro primato mondiale. Ma chi non vede, appunto, come, sia pure a costo di rimetterci un po' della varietà e dela fantasia che oggi allietano il regno della bellezza femminile, la fine di quel primato sarebbe per molti paesi del mondo una liberazione? Quel ohe il Poiret non nega è in ogni caso che le ditte di moda franesi attraversano tempi difficili, tanto più difficili in quanto che il loro ritorno ai modelli di grande costo coincide con la orisi economica, vale a dire "con un periodo in cui le fogge ^ tfche standardizzate'di du/0 f'a ^rehhero ^ proprj0 le più indicate. Per la moda fran^ese r£ltimo nomeato di vero lendore fu dl decennio precedente alla guerra- Le memorie del celebre ^ito completerebbero opportunamente U riooo repertorio dello apologie della Parigi fin de siede e comencement de siede cui appartergono le memorie di Boni de Castelane( della contessa di Gramont, di Gabriele Astruc e di molti altri. A qlleu'epooa anche un sarto, a Pari^ portava scettro e corona. Gusto- se, fra le tante macchiette del libro, quelle che l'autore traccia del Douoet e del Worth, nelle cui case fece le sue prime armi. Elegante e ari' stocratico, il gran Douoet, che faceva riverniciare e mettere al forno tutte le mattine i propri stivaletti di pelle lucida, affidò a lui la creazione del mantello che la Réjane doveva indossare al terzo atto di Zazà, capo di vestiario che attrice e autore volevano voluttuoso e drammatico, capace di elettrizzare la sala e di portare il lavoro alle stelle. Il mantello, di tulle nero su seta nera dipinta a grandi giaggioli lilla e bianchi con enormi nastri lilla e violetti, riu sci così suggestivo, che «alla sua sola vista il pubblico presentiva d'un colpo lo scioglimento patetico della com media » e che in Italia Tina di Lorenzo, altra Zazà indimenticabile, non ebbe* pace finché non potè ordi narseme uno simile. Dal Douoet si vestivano allora anche la bella Otero Emilienne d'Alencon, Liane de Pou gy e tutte le grandi etere del tempo'. Poiché era scritto che nessuna dovesse recarsi alle corse la domenica con la veste della domenica precedente, molte di quelle scervellate piombavano dal earto magari il sabato, e bisognava improvvisare. Ta¬ lora capitava di vedere i grandi pon tefici del rito imbastire in persona una veste la domenica mattina indosso alla cliente ansiosa e trepidante, per permetterle di trionfare il pomeriggio a Longohamp. Fragili nervi dell'epoca! Quando Poiret entrò da Worth era il momento dell'incoronazione di Edoardo VII. La casa fiammeggiava di mantelli di corte di velluto cremisi orlati di ermellino, che' le operaie posavano religiosamente su manichini di legno puntandone gli atra Bcichi sul pavimento per non gualcirli. I Worth fornivano da generazioni "tutte' le corti d'Europa, e il capo della ditta, allorohè voleva onorare una cliente, le mostrava con compunzione i modelli eseguiti per l'imperatrice Eugenia: crinoline dalle balze ornate di fili telegrafici con sopra rondini impagliate, vesti da ballo adorne di lumache ricamate... Il giovine Poiret si velava la faccia dal raccapriccio. Per un rivoluzionario del suo stampo, una ditta come quella non era davvero il campo di azione che ci voleva. Non appena ne ebbe i mezzi, egli aperse quindi bottega per conto proprio, nei pressi dell'Opera. Qui, i suoi trionfidatarono dalFabolizione del busto dal ripristino del turbante caro a Luisa di Stael, copricapo rivelatogli da una visita al Kensington Museum di Londra. Pei giungere alla grande celebrità, dovette tuttavia aspettare d'essersi trapiantato nella palazzina dell'avenue Victor Emmanuel III, che adornò di sontuosi tappeti, di due cerbiatte di bronzo portate da Ercolano e, purtroppo, anche di una statua di Bodhisatva giunta da Pechino, che doveva finire *l™ vZ£2 . vi L j °°* Pfrtfr?\ **°rtu?a-. Essa era giàcostata la vita a sei cinesi decapitati per averla rubata ad un tempio buddista: vendutala al Metropolitan Museum di Nuova York, il giorno stesso che toccò il suolo di Manhattan l'America entrava in guerra. La "™ 1 "f"™^ l1"™™ m ^ • P^fina * P<"?f Rivenne in breveil ritrovo preferito delle eleganti demondo intero. Un incidente che resecommercialmente molto servizio anostro memorialista fu l'audacia dimostrata nel rimettere a posto la troppo superba moglie di Enrico d , ,, Kotsohild, che Parigi non poteva soffnre- Venuto il giorno dopo pefargh £ rimostrai!» del caso, il ba ™e E,nrl?? fi,nl confessargli frizzando l'occhio di essere lie dell'accaduto perche la lite con la baronessa avrebbe permesso final mente alla Je » Gllàa Darth,* ?h *f m°.nva dalla voglia, di vestirs d'ora innanzi da lui senza correr pericolo di incontrare colei di cui er l'odiata rivale. Dietro l'amante d RotscbUd, accorsero tutte, , .' . 1 Ma il gran torto del Poiret fu d essere più poeta che non commer «ante. I suoi viaggi di propagand attraverso 1 Europa m compagnia d sei splendida mannequin» in umfor me con la sua iniziale ricamata su cappellino d incerato gh procaccia rono avventure senza numero, e mol te di esse degne di figurare in un'o peretta, ma in quanto agli affari a vrebbe potuto farli meglio restand a Parigi. Il suo fedele ammimstra tore si sfiatava invano in consigli d prudenza. Uso ormai a vivere in mez zo a dame e ad artisti, il sarto si er fatta l'anima fastosa di un Boni d Castellane. La sua grande passion consisteva nel dare feste in costum da due o trecento invitati. Ora s trattava del petit lever di Lui gi XIV ; ora della Mille e duesim notte, con fontane, velari di bisso1 cancelli dorati, specchi, acquari, nc ccili rari, frutti luminosi, ibis rosa, pappagalli e scimmie in libertà e lui, Poiret, vestito da sultano,' con lo staffile in pugno e intorno un branco di donne seminude; ora era la ricostruzione dell'Olimpo di Luigi XIV nella palazzina del Boutard a Versagli a da lui restaurata e presa in affitto dallo Stato, con Giove, Giunone, Venere, Vulcano, ecc. e i pastori d'Arcadia, dove si tracannavano novecento litri di sciampagna spillati alla botte e si barcollava fino all'alba fra piramidi di frutta esotiche, pavoni, bacinelle di gamberi cotti e ceste d'uva, mentre orchestre invisibili suonavano musica di Lulli e di Boccherini e Isadora Duncan danzava su un'aria di Bach. Fra gli invitati, van Dongen, Dunoyer de Segonzac, Cappiello, Cécile Sorel, Boni de Castellane, la principessa Murat, Henri Bataille: tutto quanto insomma, conta di meglio la società parigina del tempo. Quando non ha altro modo di distrarsi, Poiret fa il decoratore. Non contento di aver creato una casa di lavori artistici dove chiama a lavorare in libertà un gruppo di bimbe che non hanno mai studiato il disegno, affinchè dal loro vergine pennello scaturiscano creazioni almeno altrettanto originali di quelle, allora portate in trionfo, del doganiere Rousseau, eccolo collaborare all'allestimento scenico delle riviste di Rip e sin a quello deìl'Homme à la rosdel Bataille. Nella sua leggerezza petulante e sfarfalleggiante e a dispetto della sua candida vanità, quel che lo rende simpatico è un enciclopedismo effervescente, e, più ancora, la assoluta mancanza di rispetto pel denaro, qualità che, dopo aver fatto morire di crepacuore il suo fedele contabile, farebbe quasi dubitare desuo sangue francese. Fra le mille iniziative tentate e abbandonate da questo mecenate mancato, figurano le idee più balzane, i romanticismpiù sfrenati, nei quali senti subito l'influsso di Roberto di MontesquieuAndava d'autunno, in campagna tornava a casa con l'automobile carica di foglie secche che disseminava in vetrina tra stoffe di tutte le gradazioni di rosso e di giallo. Tentava di distillare profumi non più dafiori ma dalle foglie: foglie di geranio, di menta, di lentisco, profumamari, che intitolava poi a CesarBorgia. Per presentare 1 profumi ordinava vetri artistici dipinti a manoi quali costavano un occhio e si rompevano subito. Faceva tessere tappete arazzi sui disegni delle allieve della sua Scuola infantile, davanti a cu il pubblico restava con tanto di bocca aperta, ma, ahimè, di portafogli chiuso. Se si recava a Murano, era certo per farviai soffiare un lampadario ideato da lui. La fantasia, la novità costituivano, insomma, il suo microbo. Il microbo, naturalmente, a. lungo andare lo divorò. Caduto fra gli artigli delle banche che gli avevano aperto crediti e sospetto loro di megalomania, Poiret venne un brutto giorno messo alla porta della propria azienda. Gli rimase, è vero, la soddisfazione di vedere, andato via lui, l'azienda crollare come un castello di carte: giacché che poteva essere una Casa Poiret senza Poiret? Ma sono soddisfazioni che non consolano a lungo un creatore e un ambizioso. Per fortuna sua, oltre che ambizioso Paolo Poiret è anche filosofo. Ritiratosi a vivere da savio antico, in ciabatte e maniche di camicia, in una casetta rustica dell'Ue-de-France, oggi tiene un pollaio, fa da cucina, e, quand'è bel tempo, coltiva ■ l'arte della pittura. Bizzarro caso, il suo villaggio si chiama Le Gibet: La Forca. Ma a un vecchio refrattario coma lui non deve dispiacere di poter dire che in nessun luogo del mondo è stato meglio di lì. CONCETTO PETTINATO.