La famiglia Rossetti

La famiglia Rossetti La famiglia Rossetti Oggi non si crede più alle premesse scientifiche del naturalismo, e quindi ciò che sto per dire parrà doppiamente arbitrario, ma supponete per un istante che la storia della famiglia Rossetti fosse capitata sotto gli occhi di un Zola. Immaginiamo che ciclo alla Rougon-Macquart, sebbene in un piano infinitamente superiore, avrebbe potuto risultarne. Poiché molti strati sociali, molte forme di vita, molte avventure dello spirito son rappresentate nel giro di pochi lustri dalla famiglia Rossetti. E' come una scala tesa dall'aspirazione umana tra la terra e il cielo. In basso, una figura di umile boheme di villaggio, Antonio, il poeta-barbiere di Vasto, vestito di vecchi stracci ma in cilindro, col viiso butterato curvo sotto il giogo degli anni e della miseria, ma ancora animato da un lampo di quella spensiera-fezza che gli permise di vivere fino alla bella età d'ottantadue anni. Patetico e pittoresco Giobbe rusticano, che scrive alla moglie del fratello Gabriele, il_ professorone di Londra, e ai nipotini, versi propiziatori : Ne' vostri casti amplessi coniugali Bicordi a Lui, ch'Io son vecchio infelice, Qual Giobbe carco ognor di molti mali. Oppure : Miei vaghi nipotini amabilissimi Deh! dite al vostro degno Genitore Rpesso cosi: caro Papa, d'inedia Il misero zio nostro Antonio muore Sa non gli manderai la carità. In basso il pezzente Antonio, « inculto naturai cantor plebeo » ; e in cima alla scala una nerovestita beghina che fieramente, in un salotto, si leva in piedi e dice : « Il mio nome è Cristina Rossetti ». Con quanta diligenza uno Zola avrebbe seguito le (varie incarnazioni e i portentosi sviluppi di quell'afflato poetico che era come nativo nella famiglia, e, con più diligenza ancora, le non meno stupefacenti metamorfosi della non mena nativa sensualità, alterata dal trapiantamelo su suolo straniero: Antonio, Gabriele, Dante Gabriel, Christina: che gradus ad Parnassum! Un improvvisatore di villaggio, un poeta d'occasione con velleità trascendentali e misteriosofiche, un erudito artista decadente e simbolista, un'ispirata poetessa mistica. E la sana sensualità della vecchia generazione, l'espansiva affettuosità di Gabriele, italianamente buon padre di numerosa prole, che si muta in morboso ardore erotico in Dante Gabriel, e in represso sensualismo in Christina, come osservai in queste colonne tempo fa ( La Stampa, 8 gennaio 1931). E lo schietto dono di canto, espressione allegra di spontanea vita, che s'assottiglia e s'approfondisce e si grava di un senso di morte, semplice fiore di prato educato a strane forme in una serra. Miraturque novas frondes et non sua poma. Ne manca, tra i Rossetti l'uomo^ normale, William Michael, buon impiegato, critico pedestre, e storico della famiglia; infine una figura in ombra, Maria Francesca, di cui, se non ce ne dicesse abbastanza -un ritratto dove ci appare come una di quelle zitelle dallo sguardo pecorino descritte da D'Annunzio nelle Novelle della Pescara, ben poco sapremmo. Una famiglia che, in complesso, non ci apparirebbe troppo allegra, se, distolti gli occhi dai visi claustrali delle figlie e dal volto di sognatore melanconico e un po' sinistro di Dante Gabriel, non guardassimo il ritratto in miniatura di Gabriele, del 1820. Bel faccione di luna piena, incorniciato da magnifici scopettoni e da una frangia mossa, il collo nudo emergente dal falpalà di una camicia aperta fin sul petto, gli occhi bruni vellutati di pacioccone, eccolo, all'ombra d'un lauro, l'inesauribile autore di poesie d'ogni genere per proprio conto e per altrui, reso celebre appunto in quell'anno per tutta Italia dall'ode: « Sei pur bella cogli astri sul crine ». Di questo poeta Carducci lodò la « fantasia ardita e serena, l'impeto d'affetto, la facilità armonia melodia » delle « cantabili » poesie, così tipicamente «italiane» e, aggiungerei, ottocentesche. Ma se piace che il Carducci si occupasse dei versi, più mi piacerebbe se ad Antonio Baldini fosse toccato il compito di scriver la vita del poeta, ricca di sani affetti, di grottesche aberrazioni e di assai episodi umoristici. Il compito è invece toccato a un inglese, Ross D. Waller {The Rossetti Family, 1824-1854, Manchester University Press, 1932), che, però, è dotato, come tanti suoi connazionali, d'un garbato senso di humour. Ed è una gran fortuna ; immaginiamo sbadigliando che cosa avrebbe ricavato dalla vita del patriota Gabriele Rossetti uno storico come il Prof. G. M. Trevelyan ! Quella del Waller non è un'apologia, e forse non avrebbe meritato al Rossetti l'onore della tomba in Santa Croce che l'Italia risorta gli destinava : ma è un vivacissimo ritratto d'un brav'uomo travolto da avvenimenti assai più grandi di lui. Tn mancanza d'una biografia scritta da Baldini e pubblicala dalì'Italiano a cura di Leo Longanesi, questa del Waller è la migliore che potesse capitarci. Sceso a Napoli dalla natia Vasto all'età di ventun'anni, Gabriele Rossetti scrive libretti d'opera di sapo re metastasiano pel Teatro di San Carlo, e facili versi di cui basterà quest'esempio : ni tremoli fioretti Già s'orna la pendice: Deh lascia, o bella Nice, L'incomoda città. « Se m'avessero lasciato in pace », •— soleva dire da vecchio — « avrei « dato all'Italia drammi forse mi«gliori di quelli di Metastasio ». Ma chi poteva goder pace a Napoli in quegli anni di rivolgimenti politici: Re Nasone, Giuseppe Bonaparte, Murat, troni vacillanti, e la bandiera politica impazzata come una bandesuola combattuta da venti contrari. emgra« v« q« io« c« lirale;i regma(aldindapsetconpreturcondinto l'osuonoRola nifTiglistrteol'ein Doinfalyfodegidinoi e dscinlafrqugltusiCcibdfafevsepCcnlecpposscindsbursCplgsMtlcmSdqoldnpntlsmvcstaeasssBacggef a i e e e, i. Nessuna meraviglia che, dove gli uomini di stato perdevan la testa, il Rossetti non si raccapezzasse. Molto tempo dopo doveva scrivere al suo grande amico inglese Erere : « A dir« vi il vero, io non capisco affatto « queste cose. E' davvero strano che « io che non capisco niente di politi« ca, debba esser perseguitato ed esi« liato per ragioni politiche ». Naturalmente buon cittadino, amava lege;i giuste e libere istituzioni. Sotto il regno liberale di Murat diventò framassone (nel 1800) e poi Carbonaro (almeno fin dal 1812). Tornato Ferdinando nel 1815, e comportandosi dapprincipio con moderaeione, Rossetti gli dedicò versi e celebrò la sua convalescenza da una malattia. Ma presto il re mostrò la sua vera natura. I moti del 1820 l'obbligarono a concedere la costituzione. Viva Ferdinando! Il popolare poeta è travolto dall'entusiasmo generale e scrive l'ode famosa : « Sei pur bella ». Nei suoi versi è tutto il popolo napoletano che canta. Esaltato dal successo, Rossetti diventa il bardo ufficiale del la libera Napoli, compone inni, manifesti, s'impegna a fondo, è novello Tirteo. A un tratto, un triste risveglio. Ferdinando ritorna cogli Austriaci, e le condanne fioccano. Tirteo si nasconde, poi, condannato all'esilio il 10 aprile 1821, trova aiuto in un'ammiratrice straniera, Lady Dora Moore, moglie dell'ammiraglio inglese Sir Graham Moore. Camuffato da tenente di vascello inglese, il TRaAdcsuqèecflndnaMtpggslrnv Tirteo napoletano è imbarcato sul Rochfort e per prima cosa s'inchina a baciar le tavole di quella « lignea Albione», e si effonde in proteste di gratitudine per Teti e Nettuno, cioè Lady Moore e l'ammiraglio. Il suo sbarco a Malta avrebbe formato un eccellente soggetto per uno di quegli ingenui quadri dell'epoca, se è vero, come il poeta racconta, che egli trovò al suo arrivo una barca carica di donne leggiadre intonanti flebilmente le strofe di « Sei pur bella », mentre I'acclamavan le turbe col nome d'italico Tirteo. Ma, meglio dell'effimero entusiasmo d'un giorno, il poeta trovò a Malta la solida amicizia di John Hookham Frere. A Malta, il Rossetti attese per qualche tempo che fosse passata la bufera politica; ma con sua gran meraviglia si vide eccettuato dall'amnistia generale del 1822. In questa circostanza egli, per la seconda volta, det le prova di un modo di ragionare caratteristicamente paesano e meschino. Già, quando nel 1818 non aveva ottenuto la cattedra d'Eloquenza all'Università di Napoli, ne aveva dato la colpa non alla sua insufficiente preparazione^ ma agli intrighi di un certo Bianchi, ligio alla Corona, e suo fortunato concorrente. Ora chi poteva malignamente averlo fatto escludere dall'amnistia se non un poeta rivale, geloso della sua fama, Gaspare Mollo, duca di Lusciano? Più tardi, a Londra, il Rossetti diventerà nemico acerrimo di Antonio Panizzi, « il mago maggior di tutti i maghi », per la semplice ragione che l'esule di Modena era stato giudicato dagl'inglesi più degno di lui di professare l'italiano a University College. E se la mentalità complotlistica, certo paesana, ma certo, anche, riconfermata dalle pratiche massoniche e carbonare, si fosse limitata a tirare in ballo i Bianchi, i Mollo, e, vada pure!, i Panizzi, potremmo passarci sopra. Il guaio si è che il Rossetti tirò in ballo anche Dante. Ingenua vanità, mal digerite speculazioni occultistiche^ di cui, a dire il vero, il libero pensiero ottocentesco era saturo (non ne fu esente neanche Victor Hugo), mancanza di senso critico, non sapremmo a quale di questi fattori più dar la colpa della mostruosa teoria dantesca a cui il Rossetti dedicò le sue energie in Inghilterra. Esule come lui, Dante dovette, come lui, appartenere a una Carboneria, a una misteriosissima setta ghibellina, che comunicava i suoi segreti per mezzo d'un gergo : e in questo gergo eran scritte le opere di Dante! Alla disperata impresa di mostrar Dante tutto scritto col limone il Rossetti fu purtroppo incoraggiato dai suoi amici e mecenati inglesi, il Frere e il Lyell, che vi contribuirono con ipotesi originali : pel Lyell il Veltro di Dante era anagramma di Lutero, pel Frere anche Chaucer era membro della setta. Più tardi, alla stramba compagnia s'associò il Kirkup, a cui Dante, a suo dptre mnseavadgtede LilsiPrichpdutavssdaalal'saab dire, faceva l'onore di notturne apparizioni ove gli dichiarava che Beatrice « era un'idea della sua testa », e gl'impartiva simili peregrine informazioni. In breve, non c'è pazzo che non trovi un più pazzo di lui, e Rossetti s'imbattè in chi non solo bevve avidamente le sue teorie, ma pagò anche profumatamente per la loro divulgazione. Il libro del Waller segue passo per passo il Rossetti nella terra d'esilio, e non si può pretendere di riassumer qui le vicende sue e della famiglia fino alla sua morte. L'opera buona, di bravo italiano, che il Rossetti compì a Londra, non consiste già nel Co mento, nell'Amor Platonico, nella Beatrice, nello Spirito Antipapale, ma nell'assistenza che egli dette ai compagni d'esilio, poveri diavoli sperduti tra le nebbie di Londra, a guadagnarsi il pane con umili mestieri. Amiamo rappresentarcelo nel momento in cui, il 10 novembre 1842, commemorò con un discorso il primo anniversario della scuola fondata dal Mazzini per quei derelitti : bambini di dieci e dodici anni, ma anche uomini anziani, che appena ora imparavano a leggere nella lingua della patria lontana. Se l'uomo più merita per piccoli atti di spontanea bontà che non per azioni a cui non è estranea la vanagloria, anche l'autore di « Sei pur bella » ben meritò dell'Italia. MARIO PRAZ. pcsocsse