Francia e Polonia

Francia e Polonia LA CRISI DELLE ALLEANZE ORIENTALI Francia e Polonia PARIGI, dicembre. Emilio Bure, congestionato di sacro sdegno, scriveva l'altro giorno sul suo giornale: « Finita, ormai, la alleanza polacco-rumena, finita l'alleanza franco-rumena, finita l'alleanza franco-polacca! ». Ancora un po', e il patto di non aggressione HerriotDovgalevsky diventerà il muro delle lamentazioni davanti al quale i patriarchi dell'imperialismo francese verranno a lacerarsi gli abiti ed a strapparsi i capelli. Comunque, per esagerato che possa essere il loro cordoglio, sarebbe difficile non ammette ; che sullo scacchiere dell'Europa orientale qualcosa di nuovo ci sia, e che questo qualcosa non sia esattamente quello che poteva meglio quadrare con le direttive tradizionali della politica francese posteriore a Versaglia sdrSGulssdtztdvtInprcicLa Polonia, pedina centrale del si-1mstema di Berthelot, ha ripreso la prò-jppria liberta d'azione. Il ritiro di Za- cleski segno a Varsavia la fine di un aperiodo storico, press a poco come è gaccaduto a Parigi col ritiro quasi si-1 umultaneo di Berthelot. Entrambi, c'èiforse bisogno di ricordarlo? si sonolritirati per motivi di salute: ma la idiplomazia ha talora di questi por-1 tentosi contagi! La caduta di Zaieski1 fu l'effetto dei reiterati strappi fatti dalla Francia al tessuto sempre più molesto e impeditivo dell'alleanza polacca: tendenza di Briand a fondare, dopo Locarno, la sicurezza francese sull'abbandono dello statu quo incondizionato in Polonia; sostituzione della Germania alla Polonia nel godimento del seggio da questa occupato, a titolo provvisorio, è vero, nia con la speranza di mutarlo in definitivo, nel Consiglio della Lega delle Nazioni; trattative franco-russe svoltesi a Parigi durante gli ultimi mesi del regime Briand precisamente per la stipulazione di quel patto di non aggressione che, dopo essere stato relegato in soffitta da Tardieu, Herriot lia esumato e firmato il 29 novembre; ed altri strappi meno clamorosi ma non per questo meno cocenti, fra cui il contingentamento dell'importazione dei carboni polacchi, fissata a 600 mila tonnellate, ossia a meno della metà del volume del 1931, restrizione che ha duramente colpita una delle più importanti industrie del giovane Stato, e il rifiuto del prestito chiesto a Parigi da un anno in qua e più volte personalmente sollecitato da Zaleski ma sempre tenacemente avversato da Blum e dai radicali. La designazione del colonnello Beck al portafoglio degli Esteri fu il logico contraccolpo di questa serie di disinganni e il segnale .di un.nuovo orientamento, fondato non più sulla conservazione indefinita di uno stato di cose artificiale in cui la stessa Francia, che se ne era resa responsabile, aveva cessato di credere, ma sull'organizzazione realistica delle possibilità politiche offerte alla Polonia dalla sua situazione propria, indipendentemente dall'intervento francese. H motto di Beck potrebbe essere oggi: «La Polonia farà da sè ». Quest'uomo, il cui avvento al potere va considerato come una vittoria del partito di Pilsudski, ha, non a caso, una formazione culturale e politica analoga a quella del Maresciallo, cioè prevalentemente austriaca. Studente del Politecnico di Lemberg e della Scuola di Commercio di Vienna, poi col 1914 legionario, amico di Dmowski e in qualche momento fors'anche più a sinistra dei socialisti, è abbastanza naturale che le sue vedute politiche, maturate dopo la guerra durante due missioni decisive a Parigi e a Roma in qualità di addetto militare, la prima dal 1921 al 1923, finita col conflitto scoppiato tra lui e Foch, la seconda dal 1923 al 1926, coronata dalla sua nomina a capo-gabinetto di Pilsudski all'indomani del colpo di Stato, siano venute determinandosi in senso non precisamente francofilo e quindi in opposizione alle vedute di Zaleski. La politica estera della Polonia non è certamente facile da sistemare su nuove basi, e ce ne sarebbe d'avanzo per giustificare più di una oscillazione e più di un mutamento di rotta da parte di chi ne sopporta la responsabilità. Ma essa non era facile nemmeno allorchè la subordinazione incondizionata ai cenni del Quai d'Orsay obbligava la giovane Repubblica a sostenere passivamente la duplice pressione formidabile esercitantesi contro i suoi fianchi da est e da ovest ; e credo che pochi polacchi di buona fede oserebbero rimpiangere sul serio l'antico .stato di cose quando davvero fosse loro provato che esso abbia definitivamente fatto il suo tempo. La storia del regno degli JagelIoni, che i polacchi dell'Impero austro-ungarico studiavano meglio di quanto non facessero i loro condiscepoli delle scuole russe e tedesche, insegna con eloquenza più che sufficiente a guardarsi dal fare la parte del vaso di creta tra vasi di ferro. Se la Polonia ha una certezza di durare, questa certezza dipende dalla sua capacità a trovare una base positiva e razionale di accordo coi due grandi stati che la limitano, e non già nel raccomandare le proprie sorti a quelle della politica di uno Stato lontano che degli interessi dell'alleata non si è mai occupato se non come di un coefficiente utile ai pioprii. L'avvento di Beck implica dunque, astrazion fatta dalle modalità particolari e probabilmente variabili della politica estera che egli si accinge a svolgere, la garenzia generica di un indirizzo forse più modesto ma con tutta probabilità più sano di quello impostole dal suo predecessore. Senza volere accordar troppo credito al proposito di cui lo si accusa a Parigi di meditare la cessione del Corridoio alla Germania contro l'abbandono delle aspirazioni di questa sull'Alta Slesia, baratto che non rappresenterebbe forse per la Polonia una grande perdita, quando si potes- se darle un accesso al mare dal late della Lituania, e in cui chi perderebbe di più sarebbero forse gli Schneider, finanziatori del porto di Gdynia — ma questo non sarebbe un gran male — sembra abbastanza logico che lo sforzo del nuovo ministro si esplichi nella direzione di un sincero riavvicinamento alla Russia, dalla quale nulla separa il suo paese tranne il timore della III Internazionale, nonché di una ripresa di contatto con l'Ungheria, vecchio alleato dei patrioti austro-polacchi, e, attraverso l'Ungheria, con gli stati che si trovano al di là della Piccola Intesa. In sostanza, considerata nelle sue linee generali, la politica che sembra prevalere a Varsavia non può rivestire un carattere avventuroso e preoccupante se non agli occhi della Fran- eqpnvglcdpgcpgtmnia tende a sostituire una composizione realistica degli interessi locali, che permetta alla Polonia di guardare al proprio avvenire senza l'assillo della paura di nuove catastrofinazionali. icia, che suol contemplare gli aweni 1menti europei sotto un angolo tropjp0 specioso: in realtà sarebbe diffi cile negarle il merito di rispondere a intenzioni pacifiche e ad un pro gramma « costruttivo », per usare 1 una qualifica oggi in onore a Pariigi, come quella che allo stato di squillibrio permarnente escogitato da Cléimenceau per assicurarsi in ogni caso 1 nn alleato alle spalle della Germa 1 rnnccppin punto più delicato deiia politicai di approcci inaugurata dal colonnel-,lo Beck sta nella possibilità o meno; di trovare una base di accordo con la Romania, la politica di questo pae- se essendo finora mantenuta in dire-, zione antirussa dal problema della |Bessarabia e ,in direzione antimagia- : ra dal problema della Transilvania., Parve, settimane addietro, dopo il j viaggio di Beck a Bucarest, che an-i che da questo lato un mutamento di direttive non fosse da escludere Ma il ritorno in scena di Titulescu ha pel momento paralizzata l'evoluzione in quel senso. La Romania non ha firmato il patto con la Russia, che era stato preparato a Varsavia, e il suo nuovo ministro degli Esteri, do po aver veduto Herriot e lungamen- ! te negoziato con lui, ha finito col proclamare in un comunicato di senso alquanto ambiguo che « gli impegni esistenti tra Francia e Romania restano immutabili » nonostante la conclusione del patto franco-russo. H colpo di freno risulta abbastanza logico, almeno nell'apparenza. Senoncbè, il governo di Mosca non sembra esserne rimasto soverchiamente itivpresiohàto, é il 9 novembre l'ambasciatore Dovgalevsky ha semplicemente scritto ad Herriot. affinchè Io ripetesse al bollente Achille di igli Rus?ia1.1fcia Ma\Romania quattro mesi di tempo —Iesattamente fino al 29 marzo — per e e o o o i , e . a e n e i , e i a i a l a a - firmare il patto contro di cui oggi, è insorta. La frase ha quasi il sapore !di un ultimatum. Ma il linguaggio' di Mosca a Parigi è ormai quello di chi si giudica padrone della situazione e non sente più bisogno di fare i salamelecchi a nessuno. Lo si è visto, del resto, anche dall'intervista che Litvinoff ha data al Petit Parisien. Privata del gendarme polacco, che può fare la Francia per neutralizzare la Russia nel suo sforzo di asse stamento diplomatico sul fronte eu ropeo? Tenerla a bada con l'osten tazione dei proprii sentimenti paci-fini /-» 1 ' «-v*+ -*v*>+- r» f4t n •vniml n m nviì An w> fici e l'offerta di agevolazioni commerciali e finanziarie, dissimulare sotto raddoppiati sorrisi il colpo ricevuto a Varsavia e intensificare dietro le quinte l'attività della Piccola Intesa. Per quest'ultimo verso, la riunione militare di Belgrado non potrebbe essere più edificante. In quanto al patto franco-russo, viceversa, l'opposizione parlamentare francese non ha forse tutti i torti nel proclamarsene inconsolabile. Se esso significa qualche cosa, all'infuo- ri di una delle solite finte di cui é fertile la fantasia dei diplomatici, questo qualche cosa si riduce verosimilmente a un successo di Mosca: un primo .passo nella politica di dissociazione del blocco di Berthelot preparata con lunga e silenziosa pazien;a dal successore di Cicerin. Resterebbe da esaminare perchè la Francia, la cui politica estera non pecca di certo per eccesso di ingenuità, si sia risolta ad abbandonare una delle posizioni che sembravano starle più a cuore sullo scacchiere politico dell' Europa orientale. La diagnosi, grosso modo, non è difficile. Il mutamento di tattica del Quai d'Orsay data dal giorno che le sinistre, auspice Briand, perdettero fede nel riawicinamento gratuito alla Germania e ripresero a vagheggiare la resurrezione del rullo compressore di buona memoria. Dopo aver tentato invano, coi suoi governi di destra, di staccare la Germania dalla Russia, la Francia si è voluta provare, coi suoi governi di sinistra, a staccare la Russia dalla Germania. In sostanza la sua politi- ca e meno mutata di quanto par- rebbe, dato che lo scopo cui ob- bedisce e sempre il medesimo: di- struggere il trattato di Rapallo. Se- nonché, è poi vero che la distruzio-ne del trattato di Rapallo sia meglio praticabile mediante la nuova for-mula che non mediante l'antica? fi' quello di cui sembra lecito du- bitare; e ne fanno dubitare, per l'ap- punto, lo spirito dell'accordo russo- polacco e la nuova politica del ga- binetto di Varsavia, che non hanno punte palesi nè occulte contro nes- suno e che nessun elemento conten- gono atto, ad assecondare manovre oblique di' terzi ma rispondono, come ho detto, unicamente al sincero proposito di creare nell'oriente di Europa le condizioni indispensabili alla pacifica convivenza di tutti, quali che possano essere in proposi- to le idee e i propositi della Piccola Intesa. CONCETTO PETTINATO,