La fine di un incubo

La fine di un incubo La fine di un incubo NEW YORK, novembre. L'Amministrazione repubblicana è andata. La Nazione, sollevata da un peso enorme, sembra respirare più liberamente. Nella desolazione di questi ultimi anni è penetrato un raggio di speranza, un nuovo spirito di fattività, e d'intraprendenza compenetra le masse. Bisogna avere assistito alle manifestazioni di gioia, aver visto rischiararsi i volti e la tensione nervosa sciogliersi in sospiri di sollievo all'annunzio della vittoria di Roosevelt, per comprendere a quali limiti di tolleranza fosse giunto questo popolo. Guai se Hoover fosse stato riconfermato alla Presidenza. Il paese sarebbe piombato nella più nera disperazione a cui avrebbe fatto seguito un caos di movimenti disordinati che avrebbero resa la situazione irreparabile. Il partito repubblicano, dopo dodici anni di dominio nefasto, è stato rovesciato da una potente sollevazione dell'opinione pubblica che non poteva più tollerarne l'insipienza, la mancanza di comprensione e di direttiva. Da quando la banda dell'Ohio di Gamaliele Harding calò su Washington mettendo a sacco le risorse nazionali, attraverso la nullaggine di Coolidge, silenzioso e... vuoto, si giunse alla presidenza Hoover, il quale non fu per quattro anni che l'espressione del « big business ». Per la loro origine e la loro posizione sociale i componenti del governo di « milionarii », con i suoi Mellon, Stimson, Doak, Ogden Mills ed altri, erano i meno indicati a comprende re le sofferenze e interpretare la vo. lontà di un popolo durante uno dei più travagliati periodi della storia americana. Con la loro boria e la loro sufficienza presuntuosa non ebbero coscienza, fino al momento in cui l'uragano stava per scoppiare, delle sofferenze che il popolo sopportava. Fino a poco tempo addietro essi negavano perfino l'esistenza di una crisi. A sentir loro non c'era nul la di nuovo negli Stati Uniti: tutto procedeva normalmente come per il passato. La depressione era solo una quistione di psicologia. Per dodici anni essi hanno fatto sfoggio di quell'orgoglio insensato che porta al di' sastro e di quello spirito altezzoso che precede la caduta. Erano convinti, e lo asserivano arrogantemente, ch'essi erano il solo partito adatto a governare. S'erano trincerati in un potere che ritenevano non dovesse mai cadere. Si credevano indispensabili alla prosperità, al benessere, all'esistenza stessa della nazione americana. Negli ultimi discorsi della sua campagna Hoover annunziava, come un antico profeta ebraico, che l'avvento del partito democratico avrebbe significato per la Nazione rovina, irreparabile, distruzione, confusione e miserie infinite. In tono più tragico, con voce più tonante, i repubblicani, assillati dallo spettro della sconfitta si sono provati a terrorizzare gli elettori con le stesse visioni apocalittiche che hanno servito loro tanto bene nelle campagne precedenti dalla Guerra Civile in poi. Solo il partito repubblicano poteva assicurare la prosperità al paese: fuori di esso non c'era che desolazione, pianto e stridor di denti. Nell'incoscienza criminosa del gigantesco crollo che si produceva loro attorno, i repubblicani promisero quattro anni fa che sotto la loro benevole guida il paese avrebbe goduto di una prosperità economica su di un livello mai prima raggiunto. E, questo, prima che una delle più lunghe e desolanti calamità finanziarie, industriali e agricole si abbattesse sul paese. I frutti amari dell'inganno durato quattro anni sono maturati. 1 repubblicani sono stati rovesciati dalla furia dell'indignazione popolare. La loro disfatta schiacciante è la retribuzione meritata di un cumulo di errori talmente incomprensibili da rasentare il crimine. Il senso di giustizia che si annida nell'animo delle masse è stato soddisfatto. Non si era mai visto una cosa simile. Dalle montagne di Allegheny alla costa del Pacifico, il Governatore Roosevelt ha guadagnato, in un movimento travolgente, tutti gli Stati. Sono le regioni in cui da varii anni ribolle la rivolta degli agricoltori e dove pendeva la minaccia, che s'è avverata, della disintegrazione del partito repubblicano. Solo sei Stati meno agricoli della costa atlantica sono rimasti fedeli a Hoover. Gli agricoltori dall'Ohio al West sono passati quasi all'unanimità al candidato democratico dandogli una vittoria senza precedenti. Non solo la Presidenza ma anche il Senato e il Congresso sono stati conquistati dai democratici. Per dare un'idea della grandiosità della vittoria basta notare che nella Camera dei deputati i democratici hanno una maggioranza di circa 150 membri, quando quella dei repubblicani s'è sempre aggirata intorno ai 100. Ma s'ingannerebbe chi credesse che la vittoria democratica rappresenti un rivolgimento stabile della coscienza americana verso una politica più liberale e meno reazionaria di quella attuata per dodici anni dal partito finora al potere. Essa deve considerarsi piuttosto come la manifestazione più clamorosa dell'enorme disagio che tormenta il popolo americana. H paese ha agito anche questa volta come in gnriisfntdssnafqlddcUsnpdtsulcCvsanvdGligpmefsdttutt'i casi in cui s'è trovato nelle spi- j* di una deBressione. ecosamica. Es- so s'è rivoltato contro il partito al potere in una maniera più energica delle precedenti per il fatto che la depressione attuale è stata la più grave e la più lunga di tutte. Il voto non è tanto un voto contro il partito repubblicano o personalmente contro il Presidente Hoover come un voto in favore di un cambiamento qualsiasi. Molte persone hanno votato in favore di Roosevelt nella persuasione che il democratico sia più del partito avversario ricco di personalità di prim'ordine. Ma non bisogna nascondersi essere i problemi che Roosevelt e la prossima Amministrazione democratica debbono affrontare assai complessi e di tuttaltro che facile soluzione. In primo luogo questi sono connessi con tutta la situazione mondiale e la prova dell'abilità e della larghezza di ve. dute di Roosevelt starà nella sua capacità o meno d'indurre gli Stati Uniti ad uscire dal gretto egoismo e dal provincialismo arcaico e negativo in cui si sono rinchiusi dopo la partecipazione alla guerra mon¬ diale, quasi come in una reazione per essere stati ingannati e trascinati in un conflitto di cui le conclusioni politiche sono state del tutto contrarie ai loro sentimenti e ai loro ideali. Il Presidente i.oosevelt si troverà sulle braccia il problema dei « farmers » che ha turbato per due decadi il quieto vivere del partito repubblicano sconquassandolo, alla fine, nelle presenti elezioni. Ammenoché non gli arrida un miglior successo dei suoi predecessori nel risolverli, tutta la forza di recente acquistata dal suo partito si dissolverà con la stessa raoidità con cui s'è raccolta. I « farmers », staccandosi dalla parte cui li legava una tenace tradizione che risaliva' alla guerra di secessione, hanno inteso, col loro voto, di dare al partito democratico una chance di far bene e non altro. Ma se di qui a quattr'anni essi si troveranno ancora nell'abisso di miseria in cui giacciono attualmente, l'elezione presidenziale di quell'epoca rappresenterà un nuovo terremoto politico di proporzioni maggiori dell'attuale e segnerà, forse, il principio di gravi agitazioni in cui sarà sommersa la politica tradizionale dei due partiti che finora ha portato avanti questo paese. I due partiti sono già da tempo ritenuti insufficienti, ma per la mentalità lenta e restìa ai cambiamenti del popolo americano, la formazione di un terzo partito non .è nè facile, nè di rapida attuazione. Per quanti tentativi siano stati fatti esso è tuttora allo stato di nebulosa. Il che dev'essere visto come un pericolo. Nel caso di disfacimento, o di paralisi completa dei due partiti tradizionali, il paese si troverà senza guida e senza un'organizzazione forte che prenda le redini della vita della nazione. In ogni modo, bisogna salutare la vittoria di Roosevelt come un sintomo di risveglio della coscienza pubblica verso i problemi politici ed economici d'interesse supremo e l'inizio di una nuova politica che tragga il paese dal caos in cui è precipitato. AMERIGO RUGGIERO.

Luoghi citati: New York, Ohio, Stati Uniti, Washington