Vernon Lee

Vernon Lee Vernon Lee Nuova attenzione è ora rivolta al Settecento in Italia, il simpatico e notissimo libro di Vernon Lee. Tuttora piacciono quei gustosi saggi sull'Arcadia, su Metastasio e l'opera in musica, sulla commedia dell'arte, su Goldoni e Gozzi, quelle pittoresche digressioni su gli ambienti musicali, cesarei o accademici, pubblici o privati, di Roma, di Parigi, di Napoli, di Vienna, su i costumi, i retroscena, i romanzetti, gli scandali, i pettegolezzi della gente da teatro; tuttora interessano quei ritratti che spiccano fra i quadretti di genere, alcune idee sottili, le osservazioni argute; ancora conquide la bravura della narrazione, animata da un calore, che, sovente lirico, riverbera il più sìncero entusiasmo. Con siffatte materie e qualità II Settecento in Italia, pensato verso il 1875, pubblicato a Londra cinque anni dopo e subito tra' tto in italiano (ed. Dumolard, ora ristampato dal Ricciardi, a Napoli), fu simpaticamente salutato dai colti, largamente favorito da quelle categorie di lettori che più della cultura di prima mano e fine a se stessa amano i racconti e i romanzi dai quali traspaia un che di storico 0 di filosof i o di scientifico. Fra i primi recensori italiani fu il Nencioni. Egli lodò assai il libro per 10 stile animato e colorito onde erano stati vivificati, risuscitati, diceva, tempi e personaggi spariti ; per la efficace « ricostruzione della vita artistica di quel mondo musicale italiano >, avvenuta « con l'aiuto dell'erudizione e della immaginazione ». Non indugiò a esaminare quanta e quale parte la cultura e la fantasia avessero avuta nella composizione. Ma non si trattenne dal muover rimprovero per l'omissione, nella tibliografia, dei nomi di Settembrini, del De Sanctis, del Carducci e d'altri storici italiani, 1 quali pur avevano trattato del Settecento, e non da « compilatori », come troppo sommariamente aveva giudicato «il signor» Vernon Lee; che era poi lo pseudonimo della signorina Violet Paget, nata in Nor^ mandianel 1856 e allora del tutto sconosciuta. L'elemento della immaginazione, che il Nencioni scorse nel giovanile libro, e che l'autrice stessa non aveva tentato di occultare, viene ora ripreso, per più attuali considerazioni, da alcuni critici della letteratura, come quello per il quale II Settecento in Italia sarebbe da ricordare fra i primi contributi al genere delle biografie romanzate. Trattando nella Stampa dei ritratti in miniatura di Strachey, Mario Praz notava la loro derivazione dai saggi di « biografia come arte » della Vernon Lee e dal Pater e dallo Schwob ; nel Pegaso rendeva omaggio alla scrittrice inglese per « quel suo alacre spirito di studiosa ventenne » e la proclamava un « classico della biografia romanzata ». Arrigo Caiumi distingue, nella Cultura, l'arte di lei da quella di Strachey, in quanto runa « schizza figure con lucidissimo stile, ma il suo interesse si concentra intieramente su di esse; gli uomini le servono a documentare una tesi, un panorama»; e l'altro compone, « mette a fuoco in un modo determinato ciascuna delle sue biografie, le impernia tutte sopra un dato rapporto ». Considerata l'opera della Vernon Lee indipendentemente dal carattere della biografia romanzata, Luigi Russo, nel suo Metastasio, non sembra stimarne alto 11 valore critico ; pur riconosce felice l'evocazione di qualche persona e di qualche ambiente. Luigi Natali volentieri ricorre alla Vernon Lee, specialmente per le notizie dell'opera seria o comica necessarie al suo Settecento. Per questa parte, la musicale, che pur merita una nuova attenzione, è bene avvertire i profani che U Settecento in Italia non è un libro di consultazione. Possa o no essere classificato biografia romanzata, (se puri a un tal genere non si richieda una scrupolosa esattezza documentaria) certo difetta nei dati, nelle fonti, nella determinazione dei concetti, nelle conoscenze, nel metodo. Le pagine migliori sono le generiche. Inoltre è arretrato molto più di quanto appaia per là sua età. L'autrice stessa sarebbe stupita di saperlo consideralo oggi come un attendibile capitolo di storia della musica o di storia della cultura musicale. E' un'eccellente opera intuitiva, in cui l'intuito è qualche volta vera intuizione. Vernon Lee ha dichiarato di aver '« udito pochissima musica, letto pochissimo ». Le conoscenze musicali : alcune miscellanee di pezzi d'opera italiani, i più favoriti nel '700. Continuò « a compitare » quei pochi pezzi per settimane, mesi e anni, frase per frase, e li intese con quell'amore che crede d'aver toccato le profondità ed esaurito l'intero. Le sue conoscenze storiche si desumono dalle citazioni. Innanzi tutto Burney, del quale i diarii le servirono da itinerario in Italia, e il quarto volume della History le fu massima guida storica. Ancora, l'Hawkins, l'Arteaga. Qualche trattatista del canto, qualche viaggiatore e osservatore. Tutti libri, questi, pubblicati nel 700. Chiuse la porta in faccia agli studn dell'Ottocento, così come volle limitare le sue conoscenze musicali a Mozart. D'axcordo che la storiografia europea del 1875-80 non le fornisse dati e stampe molto più numerose e idee e tesi molto più fondate di quelle che aveva sotto gli occhi. Pertanto la rinuncia a qualsiasi accertamento postsettecentesco fa intendere che poco le importavano i fatti storici e i dati culturali. Ella cercava (e qui ricorre l'osservazione del Calumi sulla parte letteraria) l'ambiente nell'ambiente stesso. I musicisti e le loro opere valevano ai suoi occhi in quanto appartenessero a quell'ambiente. Un'indagine nuovada diversa illuminazione d'una figura, e tutta la prospettiva e la icomposiziong potexan.Q testarp.fi ir¬tl rimediabilmente scompigliate. Peggio, uria triste delusione. No. Ella era una giovinetta innamorata della musica, e saggia. Nella soffitta, castello illusorio, laboratorio delle sue immaginazioni, dove soleva rifugiarsi per giuocare e, per vestire « tutta quella brava gente defunta, così come le bambine vestono le bambole e le fanno ballare », non doveva penetrare ciò che disincanta e rattrista. Le sue letture settecentesche bastavano al suo mondo fantastico. E con le sole cognizioni acquistate fra i quindici e i vent'anni, improvvisò, agile, fresco, disinvolto, affettuoso, il libro che tanto piacque. Le inesattezze vi erano numerose. Non si vuol noverarle. Basterà accennarne qualcuna, quale indizio della stesura frettolosa, avventata: Nel Cinquecento lo stile polifonico romano, quello di Palestrita, improntò tutte le composizioni, anche le profane (pag. 97) ; il teatro comico ebbe soltanto intermezzi fin verso la metà del secolo (pag. 100 e 102) ; Galuppi e Piccinni scrissero nello stesso stile il melodramma e l'opera comica (pag. 102) ; il moderno melodramma è uscito dalla fusione della vecchia opera seria colla vecchia opera buffa (pag. 104) ; verso il 1660 l'opera era un teatro di burattini, la melodia debole, malferma, il recita¬ tivo goffo, mal modulato (pag. 151) ; Alessandro Scarlatti era il più pertinace interprete delle parole (pag. 151) ; alta fine del secolo, « l'opera buffa dettò legge alla seria e la musica classica tragica fu sepolta per sempre» (pag. 155). E tali e altre inesattezze, nel saggio sulla « vita musicale », forniscono la riprova della troppa scarsezza delle letture musicali e storiche. Le antiche miscellanee dei pezzi favoriti non possono offrire, infatti, un quadro esatto dello svolgimento dell arte. D'altra parte l'attenta consultazione di qualche altro settecentista, almeno del Napoli Signorelli, avrebbe evitato più d'una svista. E altre ce n'e, accanto a tesi non dimostrate e insostenibili, nel capitolo sull'opera. Riguardando il libro per la ristami pa del 1906, Vernon Lee ebbe la sensazione delle « inesattezze » sue e del cammino compiuto dalla storiografia. Aveva letto intanto lo Scarlatti di J, E. Dent e il volume del Parry sull'Evoluzione della musica. Questi i libri che ella nomina. Aveva forse proseguito gli studi? Non sappiamo. Si potrebbe dire: non sembra. La prefazione del 1906 è in parte la ingenua e franca confessione della prima origine del libro, in parte una dichiarazione di principii, un'esortazione agli storici venturi. Ciò che si dice una presa di posizione. Ora il Settecento italiano le sembrava assai meno interessante; l'Italia dal 1720 al '96 noiosa, piatta. Piatto il Panni, quanto il Goldoni; il linguaggio di Metastasio un'accozzaglia di magniloquenza e di meschinerie. Intorno alla musica scrisse qualche nuova pagina d'ambiente, e toccò un poco delle relazioni della musica strumentale italiana con quella tedesca. Fece qualche nome, a caso. Dimenticò i due italiani, che almeno per certe trascrizioni e per certi motti celebri, Vivaldi e Sammartini, sono sempre stati celebrati, anche nei più comuni discorsi. Su gli italiani concludeva amaramente : « Lo vedo ora. I mici cari italiani del Settecento sono rappresentati nella nostra vita musicale da un certo numero di tedeschi, Hàndel e Gluck, Haydn e Mozart, e devono contentarsi di sopravvivere e di farsi amare, cosi, per procura ». Dichiarava anche, con un motteggio, il suo antiwagnerianesimo ; giuocando sulle parole e sul concetto di «melodia continua», diceva che neir'Anello del Nibelungo c'è invece « l'assenza continuata della melodia ». E, suggerendo direttive ai futuri storici, ammoniva di non badare tanto alla forma quanto allo stile; ella stessa, «meditando», si era accorta che l'una era indipendente dall'altro! Esemplificava, e incorreva in altre inesattezze: Gluck si distingue da Jommelli e da Traetta solo nella forma, cioè nella struttura dell'opera, non nello stile!Queste pagine del 1906 non rappresentavano, come si vede, un progresso sulle concezioni e conoscenze del 1880. L'autrice non insistette. Con chiara autocritica consentì la ristampa integrale. Non ritoccò il libro, per non esser tentata di demolirlo. Neppur ora vi ha aggiunto chiose o note, che sarebbero state altrettante errata corrige. Ha fatto bene, mi pare. Resti, qual'è, uno fra i più bei libri italiani sul Settecento, accanto ai meglio informati e ai più dotti. Se mai un'aggiunta fosse da desiderare, essa è la descrizione minuziosa delle vive impressioni che ella derivò con la sua fervida sensibilità dall'amoroso ricantamento delle antiche musiche. Leggeremmo pagine ardenti e sottili quanto quelle dcll'Heinse, forse. Ricorda la dama inglese i palpiti di quelle ore e la gioia delle nostre cantilene? Vorrei chiederglielo, una volta che capiti a Firenze e mi sia dato di riverirla nella sua villa a S. Gervasio. A. DELLA CORTE