La regina delle pareti

La regina delle pareti DOVE L'ALPINISMO E* S F* O R T La regina delle pareti —fOcil nostro inviato). RIFUGIO COLDAI, ottobre, Non molto, ma a qualcosa servonoi vecchi testi. Ieri ho riletto quantodue insigni alpinisti d'altri tempscrissero della parete nord-occiden tale del Monte Civetta: « Quella visione apparsaci d'improvviso, in quemomento certamente favorita da affascinanti effetti di luce, rimuse quasi insuperata nei nostri ricordi di vita alpina. L'abbiamo esaminata in tutte le sue parti e per il suo effetto scenico mantiene ancora il primato fra le sorelle dolomitiche ». L'Iìùbclbuon conoscitore delle Alpi Occidentali dove salì i maggiori colossi, afferma che la muraglia della Civetta supera pure le più. grandi pareti del-le montagne svizzere anche se sonocombinazioni di ghiaccio e di granitoArchitettura sovrumana ■ Noi ci passammo sotto ch'era mezzogiorno passalo, e il sole la batteva in pieno. Le sue rocce non avevano quell'aspetto incandescente come quando, d'estate, vi si rovescia'no sopra torrenti di luce e di calorema erano tuttavia rossastre, e le numerose chiazze e bordure di neve fresca che s'erano posate sulle sue strette cornici facevano pensare al manto di porpora d'un re, orlato d'ermellino, messo Ut a ricoprire il monte. Ma questo insorge tuttavia nudo dal suo versante che piomba a picco, per una larghezza di sette chilometri, sui ghiaioni innevati della VaCivetta. E' uno- rupe di grandiosità impressionante, che ha una struttura meravigliosa di armonia a di bellezza, che scaglia nel cielo la pazzu verticalità della sua precipite muraglia, formata da guglie, punte, spalti turriti, bastioni merlati legati da una continuità serrata e senza respiro. Fantasticamente arabescata dall'acqua, dal gelo, dalla folgoreincisa da profonde voragini oscure impenetrabili; irrompente nell'alto con la cresta frastagliata di aguzze dentature e di pinnacoli fier— davvero questa parete è il monumento d'una architettura sovrumana. Lasciato alla spalle il periodo danteguerra, sulle orme dì Dulfer per logica evoluzione l'arrampicamento si orientava sempre più verso le conquiste ritenute impossibiliQuasi tutte le montagne dolomitiche hanno un versante dove le difficoltà sono concentrate al massimSono gli appicchi che piombano sughiaioni da altezze vertiginose, glappicchi pei quali sembra pazzescimmaginare che l'uomo possa risalire senza precipitare. Un velo tragco li circondava; qualche itinerariite sfiorava i confini (come, qui iCivetta, le varie * vie » di Dimopadre, di Cozzi, di Stewart, dBaupt) senza arrischiarsi a violarne il mistero. O meglio, non era laudacia che mancava agli arrampcatori di quel tempo (anche Preussanche Dibona vennero oin sotto studiare la possibilità di «fare» lparete centrale): piuttosto l'adattamento psicologico, che coi progressdella tecnica assicurativu consentdi passare nei tratti ove, veramentel'uomo sfiora di istante in istaniedi mossa in mossa, l'eventualità iehla fatale caduta. S'imposero i « problemi * dellgrandi pareti. Sulle calcaree, gli arrampica e sassoni prendevano si trattava di paret' to. Questa della Cìv< punto di attacco fino alla vetta, supera i 1200 metri. Su per la lineverticale che congiunge i due punestremi, sale direttamente la c viSolleder ». La grande impresa di Solleder— Venne qui dopo aver vbito lFurchetta in Val Gardena, su per lparete Nord che aveva ributtato tanti, Dulfer compieso. Un primo tentativo poco manca finisca tragicamente: la pioggia e le scariche dsassi fanno retrocedere la cordataun cui componente, ferito, è messfuori combattimento. Tre giorni dopo — è il 6 agosto 1925 — Sollder e Lettenbauer partono alle quatro dal rifugio Coldài; alle cinque mezzo si legano, e salgono dirittissimi alla vetta centrale raggiungendone proprio nel mezzo l'esteso pròfilo, dopo un bivacco e quindici ordi consecutiva arrampicata, d'incesante ed estrema difficoltà. Io stavo ad ascoltare il raccontdei miei compagni. V'è fra essi qudcuna che ha pur ripetuto questa impresa, e certo ne hanno riportatimpressioni indimerlicabili. Traspare dai loro discorsi una sorta d'ogoglio, che non è sintomo dì meschna vanità soddisfatta, ma intimespressione d'una potenza ch'eshanno saputo creare entro di srealizzandola poscia, quasi miraclesamente, in un'azione che agli ochi comuni ha veramente del sovru mano. C'eravamo messi a sedere su umosso. Il sole d'ottobre ci scaldavle schiene, e non ci faceva sentirla brezza dei 2000 mefri. / nosisguardi non si staccavano dalla vCina muraglia, e cercavano <l'intepretarne il mistero, sillabando, nlinguaggio ermetico della roccia, prodigiosa via d'accesso. Sì sale squello zoccolo alla base della paretsi gira dietro la ione gialla. Là comincia a trovar l'acqua. Convielevarsi le pedule per non bagnarlSu per una fessura... Se è à\ffic\leCi vogliono due chiodi per ussicrarsi. E così per tutto il primo giono, e poi l'indomani. Domandai quante cordate han[inora effettuato questo percorro, w— Ventuno, di cui sei italiane. | — E tutte hanno passato la not]le sotlo la vetta? ] — Che noi sappiamo, due soltan ho hanno evitalo il bivacco, grazie alla celerilà della loro rampicata, La cordata di 'l'issi, la cordata di Giuseppe Dimài. (( La gioia della roccia » Neanche cinquanta uomini, e una giovane donna di raro coraggio, hanno trascorso su queste rupi le ore certamente più belle della loro vita. Qualcuno, ripensandoci, ancora freme e s'esalta. Non sanno spiegarsi, ma io indovino dal sùbito luechichìo delle pupille, dall'infrenato \ rossore che gli sale alla fronte, co i e o i i o o n i i a , a me il ricordo risvegli in essi l'eco d'un'armonia arcana, ch'essi soli intendono. Questo inconfondibile, finora inespresso, magico sentimento, certo è il « piacere della roccia », la « gioia della eroda i>, l'ebbrezza selvaggia e divina dell'arrampicata. Sparsi per valli e pianure, intenti ai quotidiani travagli, chi allo studio e chi al tornio, i forti che seppero su questo terribile banco di prova vincere l'attrazione del vuoto e la vertigine della stanchezza, certo ripensano alla gloriosa fatica. Ma qualcuno non risponde all'appello. Lungo e tragico è l'elenco dei percorritori della Civetta, che su altri monti, procedendo a rigustare la stessa gioia, invece trovarono nemica la sorte che li abbattè. Emile Sollcder, primo fra tutti, colui che indicò la strada, e l'aperse col suo impareggiato ardimento: caduto alla Meije! Leo Rittler: caduto alla Grandes Jorasses! Toni Schmidt: caduto al Gros Wiesbachhorn! Hormunn: caduto al Kangcinc'mga! Karcl Brcndcl: caduto alla Fleischbankspitzc! E freni Desimon: caduto alla Madre dei Camosci! L'ora s'era fatta tarda; il disco rosso del sole stava per scomparire dietro la calotta ghiacciata della Marmolada; dovevamo affrettarci al rifugio. La neve, già indurita, scricchiolava sotto i nostri passi. La gioventù italiana alla riscossa Un camerata riprese a parlare: — Curioso ritorno! Qui dove l'uomo seppe incidere, a caratteri imperituri, la prima pagina dell'i estremamente difficile » su lunghi percorsi (ed era, purtroppo, uno straniero, a conferma d'un primato che pareva dovesse per sempre rimanere negalo agli Italiani), sei anni dopo un giovane prodotto dell'arrampicamento nazionale otteneva un risultato che non è azzardato definire ancor più grandioso e perfetto di quello del Sollcder. Guarda la « via Còmici»! Altri puntini neri, altri geroglifi- lrpaqlanudqmvpnqletppndmtsdisV'IqCgsmnlcmccflottcossqsaqTrdpMpiCmeCodbMagnddaici, striaiure e linee strane sulla mu -ìraglia — l'alfabeto delle rocce! — i:segnavano il nuovo itinerario che c'porla un nome italiano, italiano, itaMiàno; eh'' afferma in faccia allo stra,\niero, non più dominante nelle mashìsime imprese sulle nostre Dolomiti,] d ; il valore della nuova generazione, j e \ sorta dal travaglio della guerra e re- \ Ta i a ficoltà») non a pane per gì'Italiani<tts'era lasciato sfuggire qualche tracotante Bavarese. Ma l'irriducìbile Piàz infrange, nel 192S, questa umiliante limitazione, • c sceda i 450 metri della parete Nord a'del « suo » CatinacCio, proseguendo a'.^iritto dal punto dove lo stesso Sol-^er, due anni avanti, era stato co-\strctto a piegare a sinistra. Percor- so ridotto, ma comunque degno di i appartenere alla categoria d'onore, ,\Ma già la gioventù italiana, operante Eo ee arditamente su tutto il cerchio delle Alpi — Aostani e Torinesi a Occidente, Veneti di tutte le province vecchie e nuove sulle pallide Dolomiti —, avanzava creando da sè e per sé i proprii principi-i e i proprii valori, liberandosi dall'insegnamento tradizionale di ciò che si deve e si può ci osare in montagna. Al principio d'a sAzione dell'alpinismo classico con giti I de — che si può dire espresso dalla o]formula d'un celebre pioniere: «mi l-1 montagna ci sono non solo cose che m-j?ton si possono fare ma anche :ose oiche non si devono fare*, principio ario, ci è, o- tuttora adorato e difeso in alcuni ce nacoli anche nostrani — l'alpinismo moderno oppone l'unità dei valori a tletìci e delle virtù eroiche, osa, vin ce, crea dei simboli di meravigliosa potenza. Qui nelle Dolomiti, senza trattare di quanto fu ottenuto su ai- c-, tri gruppi montuosi, la gioventù ve u-lneta parte al contrattacco, e in breve '! • . _ id . . 1 - • Ti 1 ■ . isi porta all'altezza dei risultati rag n-giunti dai celebrati assi stranieri. a, ei ri i-\ r-\ el è la gioia di sentirsi tanto forte ed a abile quanto chi ci ha preceduti per uìqucsta via; è l'orgoglio di sventolare e;\in faccia allo straniero il nome d'un L'essenza sportiva dell'arrampicamento Si, è la corsa al superamento; si e e. monte — segnacolo dì vittoria che abbia accento e volto italiano. Chi incora rimane freddo e ostile al co '!\speito delle nostre ansie e delle no u-istre fatiche, e tenta d'irriderci chiar-ìmandoci aridi ginnasti e il nostro movimento definisce, in senso dispre- o\giativo, come «sportivo », dimostra [chiaramente di rimanere talmente {chiuso nelle formule d'un tradkiona- ' ìsmo tanto sorpassato, da non vale re neppure la pena d'una reazione. L'accesa perorazione è accompagnata da cenni di consenso dagli ascoltatori. Oramai comprendo come qui si è potuto addivenire, grazie ala generale conoscenza ed applicazione della « scoila delle difficoltà », a una specie di graduatoria non solo delle scalate ma degli individui ohe queste effettuano. Non s'usa cronometro nè bilancia nè metro; ma il valore dell'uomo, valore in quanto potenza egli sa esprimere nell'alterno giuoco fra la vita e la morte su queste erte muraglie, qui è valutabi e con una approssimazione quasi del utto aderente alla realtà. Quindi, precisazionii e chiarezza; vii: il (tarparne della retorica e della convenienza che, nella tradizione, faceva d'una persona ricca di censo o di fama un celeberrimo alpinista; qui solanto vale il capocordata — profesionista o dilettante non monta, guida o accademista, sulla base delle mprese ch'egli ha saputo compiere. Chiarirono: — Fu tre anni fa, nel 1929, quai contemporaneamente, che Renzo Videsott sui 1100 metri dello spigolo Ielle Busazza, Luigi Micheluzzi su quello della Marmolada ed Emilio Còmici sulla Sorella di Mezzo nel gruppo del Sorapis, con prime ascen sioni che non esitiamo a chiamare memorabili, diedero la dimostrazio ne della compiutezza raggiunta dala gioventù italiana nello speciale ampo dell'arrampicamento su dolòmia. Oramai potevamo darci del tu on gli stranieri. Gli facemmo toccar on mano che anche noi sapevamo are il « sesto grado », uguagliare i oro records al lìmite dell'umanamene possibile in roccia. Eppoi altri alcti nostri sorsero e s'affermarono con ripetizioni di « vie » classiche oppure con l'apertura dì itinerari empre « estremamente difficili * nel senso moderno, internazionale, di questa designazione. I nostri diciotto « sesto grado » Ho voluto conoscere i nomi di questi Italiani. — L'elenco che meglio di tutti si avvicina alla realtà, conta diciotto di questi capo-cordata — mi risposero. Tienili a mente, tu che altrettanto ricordi i nomi dei vincitori del Giro di Lombardia dall'anno di Gerbi in poi e quelli dei primi arrivati nella Maratona olimpica che seguono al pastore,greco Luis Spiridion. Allora scrissi (e stasera trascrivo in ordine alfabetico): — Andrich di Agordo, impiegato; Carlesso di Pordenone, operaio; Còmici di Trieste, guida alpina; Angelo e Giuseppe Dimài, guide alpine di Cortina d'Ampezzo; Faè di Belluno, operaio; Gervasutti dì Cervignasco del Friuli, studente a Torino; Giiberti di Udine, studente a Milano; Micheluzzi di Val di Fassa, guida alpina; Perathoner di Val di Fassa, guida alpina; Peristi di Val Gardena, intagliatore in legno; Piaz di Val di Fassa, benestante ; Schranihofei di Sesto, guida alpina; T'issi di Agor-do, imprenditore; Winatzer di Val Gardena, artigiano; Videsott diTrento, dottore in veterinaria a To tt aw nome è ugualmente da citaree il suo valore da esaltare. Scrivi Efrem Desimon, triestino. Chissà perchè, ma stasera, muo--, . vendo verso il rifugio, m'e venutodi rimpiangere il tempo perduto mun mondo ugualmente d'avventure cd'atleti, in cui ho vissuto tanf anni, che talvolta — nel cielo io vossatrovare remissione al mio peccato !— mi fece uscir dalla stilografical'aggettivo eroico. Ripenso a Learcoeroe del Giro di Francia e d'altretenzoni; ripenso a Dorando, (medella Maratona. Almeno, Fidìppidesoldato ateniese, portò notizia della vittoria che salvava la patria: Kairite: nikomen! — e svirò. VITTORIO VARALE.