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Libreria Libreria ri nnff; 11 uom Por la nota collezione ojettiana Mario Puccini ha scelte « le più belle pag;rK' " di Altari Francesco Doni, bìzza?'r0 uoni° Sbizzarrissimo scrittore, *Ì^0'™ar"ero' accademico e paroia'0' ma COn, lm t?n.d?' ben T' dl ma'Ancoma. 0 d acre tristezza. «Puzzo F1""0-?10,.^ pa2Z0^ ùis\* di sb< Una Vo1" ta a chi 1 aveva chiamato prete; eque- ^° B™» di pazzia che gli rodevi il cervello veniva da Quella tristezza ri- piegata e beffarda cu egli ha in comune con più d'uno del suo secolo, che è anzi una vena non ancora abbastanza studiata dell'uomo del Rinascimento. che «u™do s} d!Ce ^nascimento si vuol ^gerire un epoca felice, serena eurit- ^5 E? "d'dr^tiM^L-^SfJ n^lla^ua"ultima fase,' cneiangelo in poi( è un'epoca d'alta e a voUe torbida malinconia. Fu sereno il Quattrocento, popolaresco e classicheggiante, vivido di risate nelle corti 0 nelle piazze; il secolo dopo, anche nei minori, a quel riso va gradatamente sostituendo un che d'affannoso e ritorto, d'acre e di sboccato, fino all'ilare tristezza filosofica di un Giordano Bruno e all'utopistica e straziata lucidità d'un Campanella. Lo stesso buon Golii vedetelo nei dialoghi di Ct7ce con quanta acuta calma allinea, per bocca dei suoi uomini imbestiati, ragioni e argomenti per preferire lo stato di bestie, a quelli che la maga aveva ridotti tali, piuttosto che ritornare uomini; e come invece son fiacche e generiche, e non sentite sul serio, le obiezioni che loro muove Ulisse; come evasivi i suoi discorsi appoggiati alla morale e alla teologia tradizionale. Sembra che in quel, dialoghi chi ragioni davvero, con cruda, e ardita evidenza e filata logica, non sia Ulisse, l'umano ed eroico Ulisse, ma appunto le bestie, le quali incalzano l'opnositore fino agli estremi limiti della disnuta. E Ulisse ripiega, o se n'ssce con la riaffermazione di princrpli generali, con sermoncim scolastici e stantii. E' quella vena di tristezza stizzosa e beffarda che bisogna cogliere in questo poligrafo cinquecentesco, in questo in giornalista ante litteram, in questo scrittore >5 in punta di penna », giullare di nuovo genere e pur così solo, nei momenti in cui il suo « umor malinconico » gl'irrita la penna e la fantasia. Il Puccini, nel vivace ritratto premesso alla scelta, mostra d'averlo sentito, specie quando scrive che il Doni «non ■ì tutto e solo nelle sue pagine più arzille, non si confonde sempre e omni- aaraénte con le panzane che scrive », e d?vc dice ohe K cgIÌ è forse un uomo che cerca un consistam, un perchè in se stesso ed intorno; e tutta la sua è Per quest0 una corsa disperata, una gmna3t5cai uil allenamento, dlrem- mo, per sfuggire sempre meglio quel ^c!n5iunl°r malinconico » che non deve dargli mai requie ed è la sua tragedia ». Meno convincente m, pare u parago- ne, o almeno la somiglianza ch'egli tro- ^^ Savonarola; il quale, nero e apocalittico e profetico e, questa tormen- t03a Pr.°.feticità- a volte acerrimo fino a un chiuso spasimo, poggia tutto su una fede, come su pietra incrollabile, su un agostlnianesimo irriducibile, con voce e ànimo d'antico profeta. Il Doni questa fede non l'ha, l'ha perduta se pur mai l'ebbe; prete, quel che meno senti furono gli obblighi dell'abito e del ministero; e non e'è scena più grottesca di quella ch'egli descrive a Baldassarre Stampa allorché, avendo a noia se medesimo, si spoglia dei suoi panni e li mette sopra un uomo di legno « e fattomi indietro due passi, rompo la tregua con la mia berretta e col mio saione, con le pianelle e con la toga » e fa alle pugna con lui e « lo getto a terra dandogli del manigoldo ». Ma sen- tite poi con quanto candore e disarma -a schiettezza sì confessa : « Soprattut- to mi meraviglio quando uno mi vuol male, perchè non ho roba da potermela torre- non no lettere, dottrina, o sa- pienza da essere maggiore d'alcuno, nè reputazione, nè credito, nè nulla. Se un m'° nemtao diventasse re, non mi da- ^wTo^^^SS^T uomoPca- TÌC0 d'0110". tronfio d'ogni albagia, ben fSi^.^ertSU!' dotte chteccMe^ sSie^e^sòurrile' q"ant° ^ profano' n Don)| uom0 d,cstrij dl puntei d,a. c'de arguzie persino verbali, scurrile ncn fu mai, non fu pornografo. Sebbe- ne mcno dell'Aretino, stucchevole è an- lo in mol^ma^arte) qu^to^ud logia che sono / Mondi, ci riescono or che lui; e, in sostanza, tanto i cicala menti e le baie della Zucca, quanto i dialoghi e le allegorie dei Marmi (al- tra quasi illeggibili. Nei Marmi si po- e un po meschina fiorentinità (mentre « Eelnfc0 l'andava unificando e l'Ario sto giungeva col Furioso a codificarla ltahan? P1U che le. grammatiche del tranno cercare" alcune azzeccate idee sulla lingue., ch'egli voleva antiacca demica e popolare, sebbene di strette trattatisti non riuscissero a lare); qual che svelta mossa dialogica e un fra¬ seggiar netto e asciutto si può trovare qua e là anche nella Zucca e nei Mondi. ma quel che ancora si può leggere con diletto sono le novellette della Maral Filosofia, queste sue libere e rapide e vivaci traduzioni del Panciatantra, da cui le trasse, dande loro una patina italiana non solo linguistica, con certi scorci efficaci come queilo del ladro che s'arrampica ai raggi della luna, l'altro dei due mucchi di grano, e so- Ipratlutto quel dialogo tutto mosso e , ^/slS e delffilfo veritt- j no. Non son r.ovc-lle di sua invenzione, 1ma talora l'ha tradotte meglio del Pi- renzuola. E poi e: son le novelle scelte, questefarina del suo sacco; e le «lettere, in esKC. prosegue la vena novellistica 1 minore del tro e quattrocento, del Sacchetti e del Peggio, e se non ha una ! novella che.gareggi con qualcuna del Pironzuola, la rapidità del dettato com- lpensa l'incapacità di condurre un rac- |s^^t^^è w^^.^m^I &St^ ^ facoltà di rappresentare con efficacia ■ incisa e veloce, attraverso paragoni e immagini che posson parere soltanto 1 àutvnsì, e rivelano invece una qualità 1 più profonda di visione, con un che di l^^8^ forTe°dsoltanto0 Macmawiu! Sentite questo ritratto di monna ApolV^^ wll^^gw**» ne- Ranchi come'una cavalla, 0 stretta tn cintola come1 una valigia; un poco aita cu p?vto e ai reni; coiio non se ne ■ ^Vìeva. Fè era tutta pollo e osso. La \tèsta pareva Garbino dipinto che sof• Ha, senza esservi tanta carne quanto : io sputo, ma gran mascella e maggior (tempiali; occhio bianco come neve, ini fuori come una perla infilzata. I capelli erano neri di-itesi...»; che non è solo lun ritratto tìsico. E infine le lettere, scattanti e ardite, senza troppi rigiri, come l'epistologra' '"a del tempo impose anche all'Aretino. Pui 11 p"c,9ini no ,ha riunite un mannel e i lo, con felice scolta. Ed è stata anche felice l'idea di includere, per ricordrre la memorabile polemica personale coll'Aretino, invece che il famoso Torremoto, libello terribile ma eccetto che nella prima parto misto, una lettera non meno terribile elio stesso Aretino, già scoperta da Apostolo Zeno ma stampata solo pochi anni fa dall'Arila; lettera quasi sconosciuta e «squisita-, mente doniana ■>. GL 1ERRE.