La visita del Duce a Pavia e a Monza tra il commovente entusiasmo di imponenti masse di popolo

La visita del Duce a Pavia e a Monza tra il commovente entusiasmo di imponenti masse di popolo La visita del Duce a Pavia e a Monza tra il commovente entusiasmo di imponenti masse di popolo Monza, 31 notte. DI questi mai veduti raduni, nel termine glorioso del primo decennio e nella radiosa alba del secondo, poco ormai possiamo dire. Le folle superano ogni immaginazione, le parole perdono il loro senso, 1 colori svaniscono nella rovente atmosfera; e sol potremmo ripetere: domina, signoreggia, con voce e con peso di storia, inconoscibilmente vigorosa e smisuratamente possente, là romana figura di Benito Mussolini. Questi suoi scarni impetuosi discorsi, questi suoi rapidi colloqui con le folle, mentre consacrano glorie luminose ed opere insigni, scandiscono il ritmo della nuova poesia della giovinezza italiana, diventano presagio, anzi certezza di altre vittorie. Pavia goliardica e contadina e Monza regale e operaia, oggi — due tappe significative di quest'altro trionfale viaggio del Duoe. Dove mai abbiamo veduto tante insegne e tante bandiere? Dove mai abbiamo udito risuonare tanti clamorosi applausi? Da per tutto: ma, vivendo la nostra giornata di cronisti, fissiamo questi momenti come insuperabili, queste ore di emozione come le più intense; e dovremmo dire, invece, concludendo in brevissime parole il nostro diario: unico immenso fiammeggiante è l'amore del popolo per il suo Capo, unica è la speranza, la certezza : dall'Alpe al mare risuona lo stesso inno, lo stesso cantico. Questi raduni altro non sono se non semplici parti di un grandioso polittico di gloria. L'entusiasmo di Pavia Pavia attendeva da tempo quest'ora, per ridire al Capo la sua fede ingigantita; e stamane s'era parata a festa, con tutte le sue bandiere spiegate al vento. Le strade campagnole erano state, nella notte e nella prima alba, percorse da interminabili colonne; i casolari, già desti, accoglievano l'eco lontana degli inni dei legionari. Nelle piazze, nelle strade cittadine, bivaccavano fin dalla mattina folle di contadini venuti dagli estremi confini della provincia; si aggiungevano ad esse le altre sopraggiungenti di ora in ora con treni, con automezzi ed a marcie forzate. Infine, rovesciatasi rumorosamente per strade e piazze, la folla cittadina, l'innumere massa, qua e là vivacemente punteggiata dai rossi berretti di 1500 squadristi, si ordinava in cortei per raggiungere i posti di concentramento. Il sole s'innalzava su questo scenario magnifico; le bandiere issate sulle cento torri trepidavano sotto la brezza mattutina. Gremite le strade e le piazze, si dava l'assalto ai balconi alle finestre alle terrazze ai poggioli, si dava la scalata ai tetti. Quante migliaia? Cinquanta, cento? C'era tutto il popolo di Pavia, di popolo della Lomellina, questo popolo lombardo memore dei suoi fasti, tenace nei combattimenti. Intanto, mentre ferveva l'attesa, si adunavano alla stazione le autorità e le rappresentanze: il prefetto S. E. Turbacco, il generale Persi, comandante il Corpo d'Armata, il generale Santini, comandante la Divisione, i generali Pacdni, Opizzi, Carini, Preti, i deputati Ranieri, membro del Direttorio nazionale del Partito, Bisi, Lanfranconi, Begnotti, Nicolato, il Segretario federale prof. Spizzi col Direttorio, il podestà di Pavia dottor Vaccari, i consoli della Milizia Levratto, Mancini, Vinetti, il rettore dell'Università prof. Rossi, il grand'uff. Manlio Morgagni, il presidedelia provincia di Pavia prof. Panigatti; s'adunavano pure sul piazzale i centoottantotto podestà della provincia coi gonfaloni municipali, i duecentoventi segretari politici dei Pasci con gagliardetti, le rappresentanze delle sezioni dei combattenti, dei mutilati con le bandiere, quelle delle organizzazioni sindacali. Tutt'intorno erano allineati, in molteplice fila, i diecimila Giovani Fascisti di Pavia e provincia. All'annunzio dell'arrivo del Duce, tutte le sirene degli stabilimenti e degli opifici davano il primo saluto, mentre dalla folla prorompevano i primi scrosci di applausi. Per nulla affaticato da queste intense giornate, dai viaggi, dai discorsi, dagli stessi spaventosi clamori delle folle, sempre affettuoso e sorridente, il Duce discendeva dal treno, mentre reparti di militi gli rendevano l'onore delle armi. Accompagnato dal Segretario del Partito S. E. Starace, dal capo di Stato Maggiore della Milizia S. E. Teruzzi, dall'onorevole Polverelli, capo dell'Ufficio Stampa, dal cavaliere di gran croce dottor Chiavolini, il Duce avanzava sveltamente verso l'uscita. La folla intanto acclamava; e quando Egli apparve, dritto sulla sua automobile scoperta, si levò irresistibile la prima ovazione. Sventolavano le mille e mille bandiere, i mille e mille gagìardetti; e l'applauso si propagava lungo le strade, per le piazze Sonora si espandeva la voce della campana comunale. La visita al Policlinico H Duce si avvia subito, lungamente acclamato, al palazzo Malaspina, sede delfla Prefettura, e vi s'intrattiene brevemente per ricevere il saluto della cittadinanza pavese, portogli dal podestà. Si reca quindi al Policlinico, sempre tra l'Indescrivibile entusiasmo della folla addensatasi lungo il passaggio. Ricevuto dai professori e acclamato da nuova folla, il Duce inizia la visita dei padiglioni, tutto osservando e affettuosamente conforta i ricoverati ed i pazienti, vivamente commossi della sua bontà. Continuando la visita, il Duce manifesta ai dirigenti la sua soddisfazione. Quest'opera appare, al primo sguardo, veramente insigne: conclude anni ed anni di attesa, di lavoro e di organizzazione. Costa decine di milioni, e meritava davvero il plauso di Mussolini. Sorge come un villaggio di grandi caseggiati su di un altopiano sabbioso, a ponente della città, in salubre posizione. L'inizio della sua costruzione, auspicata da decenni, risale al 1914, in base al riordinamento edilizio dell'Università dì Pavia, stabilito nella con¬ vMsrcipdgLmsiist n venzione approvata con legge del 1907. Ma i lavori dovettero essere sospesi nel 1914 per l'aumento generale dei prezzi, e quindi per l'insufficienza dei fondi stanziati; solo quattro padiglioni del progetto originario erano costruiti in rustico, e tre altri appena iniziati. Ci voleva bene il Fascismo per disperdere il vaticinio di San Siro, il quale, indignato dei dissensi tra i suoi fedeli, avrebbe affermato che i pavesi non sarebbero mai riusciti a portare nulla a buon termine. Il vaticinio risultò inesatto alla prova dei fatti: infine l'opera era compiuta, grazie all'intervento del Duce. E quest'opera ci si presenta oggi come il capolavoro del Regime, nel suo primo decennio in Pavia. Compiuta la visita al Policlinico, il Duce passa all'Università. Glorioso lo studio pavese: novatori arditi ci sono passati, vi aleggiano gli spiriti del cardinal Gaetano, di Cornelio Agrippa, di Gerolamo Cardano e di Cristoforo Magneno, il rinnovatore della filosofia atomica, e quegli altri di Petrarca e di Leonardo, qui raccolti nelle loro serene meditazioni. Allorquando le Università si diffondono in molte altre città italiane ed acquistano rinomanza, questa pavese si afferma tuttavia come studio di carattere generale, non soltanto per il conseguimento dei gradi accademici in tutte le discipline, ma per l'attività svolta e per gli scopi cui mira; e" diventa, cosi, istituto veramente mondiale, diventa il centro spirituale della signoria dei Visconti e degli Sforza e, infine, del nuovo regno italico. In questo luogo di tante memorie veniva oggi Benito Mussolini a riaffermare l'indissolubile unità dello spirito e dell'azione — la realtà fascista; e ben si addicevano al luogo quelle armi di vittoria disposte nel raccolto atrio — le imbarcazioni degli studenti pavesi vincitori del e raid » Pavia-Pisa e dell'altro Pavia-Oxford; e ben parlava il rettore magnifico quando, salutando il Duce, affermava quale compito saliente c'.cllo studio pavese, oltre alle scienze, la preparazione morale e civile dei cittadini, degli uomini di azione, secondo lo stile mussoliniano. Ad attendere il Duce erano il Senato accademico, i Consigli di facoltà, la folla degli studenti, allineati lungo i maestosi quadriporticì. Quando il Capo del Governo fa il suo ingresso, l'aspettazione febbrile dei goliardi esplode in prolungate irrefrenabili ovazioni. Mussolini lietamente sorride: passa in rassegna gli studenti, poi si sofferma in raccoglimento dinanzi alla lapide dedicata allo studente Manlio Sonvico, caduto per la Rivoluzione, e dinanzi al monumento alla memoria degli studenti morti in guerra. « L'Alpe, il Carso, il Piave ne ebbero la spoglia; l'Ateneo ne custodisce il nome, la fede, la gloria ». L'aula magna, intanto, si era andata gremendo di studenti e di professori; e quando il Duce, seguito dalle autorità fra le quali S. E. Starace, S. E. Teruzzi, i consoli generali Carini e Preti, gli. onorevoli Polverelli, Bisi, Lanfranconi, Ranieri, il prefetto S E. Turbacco, il generale Persi, da numerosi scienziati fra cui il prof. Vinassa, decorato della medaglia della Marcia su Roma, appare alla folla, nuovi scrosci di applausi 10 accolgono. Poi, il magnifico rettore prof. Rossi ricorda le benemerenze dell'Università, e ne definisce i nuovi compiti. Il Duce fa continui cenni di approvazione e al termine del discorso è il primo ad applaudire. Poi, come l'adunanza esprime col suo religioso silenzio 11 desiderio di udire la sua parola invita tutti in piazza per ascoltare i! suo discorso al popolo. Gli si stringono ancora intorno i goliardi per una manifestazione d'amore e di entusiasmo: infine, salutato alla voce, Egli si allontana, seguito dall'onda degli applausi. Parla Mussolini Sulla piazza grande, pavesata di bandiere e di arazzi, intanto si radunava la folla. Vi convergeva in fitte colonne da cento strade, fra i canti e gli evviva, vi si addensava lottando contro lo spazio, in breve colmandolo. Quando il Duce finalmente appare all'arengo del medievale Broletto, questa innumere folla arroventata dall'attesa e dall'entusiasmo scatta in applausi altissimi, gli si protende con mille e mille mani come per abbracciarlo. Quante volte si rinnova l'applauso, l'invocazione? Infine, la sua voce si leva, alta e possente. Grava sul grande raduno il silenzio più severo; ma ad ogni periodo sì scatena irrefrenabile l'applauso. Egli dice: Camicie Nere! Fedeli legionari di Pavia! Voi siete troppo intelligenti per aspettarvi da me un discorso politico. I discorsi politici devono contenere argomenti di interesse particolare e devono soprattutto essere rari e tempestivi. Voi mi domande rete perchè sono venuto. Ve lo spie go subito : per rivedere i Fascisti di Pavia e provincia (acclamazioni en tusiastiche) e soprattutto le « Be rette Rosse» magnifici squadristi della vigilia, che furono dovunque era da muovere all'assalto delle qgrocche degli antltascistl e dei ne* mici della Patria (applausi) : poi , ir . per Visitare la Vostra Università, alla duale è semnrp dirpttn il m:ftaua quaie e sempre aireno il mio occhio benevolo. E una Università ii • . i che deve conservare intatto ed au- mentaré il SUO prestigio mondiale, . » » i . se e, come e vero, che essa e una i e e delle più antiche del mondo, hl|Cquanto il suo nucleo primitivo risale all'825. Gli Istituti policlinici che ho testé visitato sono una meraviglia: onorano l'Università, la vostra città, l'intera Nazione. Quindi il Duce ha rilevato che la celebratone del primo Deee«nde]%della Rivoluzione ha avuto una eco,fmondiale e ha ricordato il giudizio di taluni giornali stranieri, secondo cui la Marcia su Roma non è più soltanto un avvenimento italiano, ma una data che interessa la storia universale. « Questo — ha aggiunto il Duce — deve tendere al massimo la nostra volontà e affinare i nostri spiriti »• // Capo del Governo ha quindi affermato che il mondo subisce in questo periodo, oltre la crisi materiale, anche una crisi morale. L'Italia ha già superato la crisi morale e supererà di un balzo solo anche quella materiale, se gli altri si arrenderanno all'evidenza e alla ragione umana. Comunque i Fascisti non si addolorano troppo di vivere in questi tempi difficili che temprano le audacie e aguzzano le energie. Il nostro compito — ha concluso il Duce — è questo: Superare tutti gli ostacoli che la crisi mondiale ci pone innanzi. L'Italia li supererà perchè tutto il suo Popolo è raccolto unanime sotto i gagliardetti del Littorio. il Duce, tra le acclamazioni deite moltitudine, ha concluso affermando che ai fascisti spetta l'avvenire, ma spettano anche i maggiori doveri. Prorompe inesausto l'entusiasmo del¬ la folla. Le ultime parole sì confondono tra gli urli frementi di passione. Il Duce saluta, poi accenna a ritirarsi, ma l'ardente invocazione del popolo lo rattiene ancora all'arengo per alcuni minuti, mentre il tumulto diventa veramente assordante. Il popolo gli parla, col suo cuore sincero, e. gli si dona. Le acclamazioni di Monza Dopo questo grandioso raduno, il Duce si reca in Duomo, dove lo accolgono mons. Ballerini vescovo di Pavia e monsignor Scapardini vescovo di Vigevano nel suo bianco saio di domenicano, insieme al clero di tutta la Provincia. Egli visita il bellissimo tempio, ora restaurato e ampliato, sosta alcuni istanti tra i due vescovi in meditazione dinnanzi all'altare del Suffragio; e quindi ossequiato dai vescovi e acclamato dal clero e dalla folla risale in automobile per visitare il collegio Ghislieri, fondato da Pio V, il maggior convitto universitario d'Italia, del quale è patrono il Re; e il collegio Borromeo, fondato da S. Carlo dove studiò il cardinale Federico. Professori e studenti improvvisano nuove vibranti manifestazioni. Così si compie la giornata pavese del Duce. Rapide, le ore sono volate; ma restano nei cuori e nelle menti la sua immagine e la sua parola. Gli ultimi applausi lo seguono fino alla Certosa, dove altra folla lo acclama. Il treno presidenziale lo porta alla volta di Monza, già in ansiosa attesa. Tutta la Brianza si era radunata nella prima mattina a Monza. Le varie colonne venivano avviate in piazza Trento e Trieste dove si disponevano nei settori assegnati, mentre, contemporaneamente, si riempiva il vasto spazio lasciato libero al pubblico e si infittiva la selva dei gagliardetti e delle bandiere. Oltre 50 mila persone erano già affluite nella piazza e nelle vie adiacenti, ed erano dislocate sulle strade ove sarebbe passato il Duce. Canti e grida di giubilo salivano al cielo e allietavano l'attesa; improvvisa, frammezzo alla folla, si scatenava una ondata multicolore. Erano i goliardi milanesi venuti in treno speciale, che portavano la loro festosa giovinezza in mezzo a questo raduno di contadini, di operai di artigiani. Erano arrivati, questi, a fiotti, a colonne, dagli opifici e dagli stabilimenti, quasi tutti in tenuta di lavoro, bronzei nel volto, forti e sereni. Altri rivoli ingrossavano il già grosso fiume. Ecco le organizzazioni sindacali di tutti gli undici comuni della zona di Monza; ecco i gruppi dopolavoristici, ecco qua quest'altra fitta falange: sono le maestranze di Sesto San Giovanni nella tenuta dell'officina; ecco ancora, altre colonne interminabili di lavoratori; cantano a voce spiegata i canti della Patria, infine pacificati, riconciliati con questa nostra terra, madre dì tutti. I Esprime questo raduno popolare di * Monza, forse meglio di ogni altro, il i senso„della nu,ov* rea,ltà tasc}^ » sen- so della compiuta unione spirituale, del nuovo clima sociale italiano. Questo fu ft! luogo torbido e violento: oggi la turboo lenza e ]a violenza sono S0ltantOi e pet à sempre, nel vigore, nell'impeto delle acclamazioni a Benito Mussolini. Ben si - può dlre, si compie oggì ln que^f , za regale e operaia, il miracolo; questo: di vedere, frementi e appassionati, a tutti i lavoratori dei campi e delle offi- nntsrtbmdrsst CÌne' riuniti intorno al Duce, ascoltar- %™** ^ttV&SS fteiera. Staglia più severo, il monu- o a n . i l - l u i , - ne la parola con commozione, a lui benedicendo, a Lui,.capo, compagno e fratello. Le officine e i campi sono rimasti deserti per un rito di fede e di amore, per una offerta di obbedienza. Quant'ala di storia è passata sull'Italia. Il monumento ai Martiri e agli Eroi L'ora avanza e l'attesa diventa febbrile. La folla ondeggia per guadagnalo mento dedicato ai Caduti in guerra, che Mussolini dovrà inaugurare. Lo ricoprono candidi lenzuoli L'idea centrale del monumento, secondo lo stesso -tutore, Enrico Pancera, è stata quella di rappresentare un gruppo vigoroso di combattenti sulla rude montagna contesa a prezzo di sangue, ai confini della Patria. I combattenti sentono la responsabilità che loro incombe nella lotta che è di stirpe e secolare e con gli scudi imbracciati, con i pugnali puntati, con le carni dilaniate e il corpo proteso, fanno impeto per strappare la vittoria. Il gruppo umano freme, sussulta: c'è chi cede, chi fluttua, sospinge, si leva e grida entusiasta alla vittoria, che corona il sacrificio e si lancia nel cielo. Questa la raffigurazione nel gruppo di bronzo, sovrastante la cripta, dove saranno raccolte le memorie dei Martiri e degli Eroi. La realizzazione dell'idea ispiratrice risulta incisiva e vigorosa. Intorno a questa memoria di battaglia e di vittoria, fremeva oggi la folla; fra breve la voce celebratrice dei fasti della Patria, la voce che tutti accomuna, i morti e i vivi, nello stesso spirito sublime del sacrificio e della vittoria, sarebbe risuonata altissima, potente. Tra gli squadristi del '22 Finalmente è segnalato l'arrivo del treno presidenziale. Il convoglio si ferma sul primo binarlo, mentre la musica intona le prime note di « Giovinezza ». Il plotone d'onore, composto di alpini, presenta le armi. Dall'esterno giunge l'eco degli applausi della folla. L'annunzio del'arrivo è dato dalle sirene di tutti gli stabilimenti. Il Duce discende rapidamente dalla vettura, saluta le autorità, quindi si avvia all'uscita, dove sosta alcuni istanti per ammirare lo spettacolo della folla plaudente. Sale poi in automobile; lo seguono il Segretario del Partito, il capo di Stato Maggiore deUa Milizia, senatori, deputati. Gli applausi e gli evviva si rinnovano f.-agoros amante lungo tutto il percorso: a fasci, i fiori piovono sull'automobile del Duce,' lanciati da gagliarde popolane. Il Capo del Governo entra quindi nel Palazzo del Municipio mentre la folla lo invoca, con voce di tuono. Quando egli appare al balcone, gli si leva incontro l'urlo della folla, io investe, lo avvolge. Egli saluta e sosta lungamente a osservare l'immensa frenetica adunata, mentre altre grida fragorose lo richiamano infuna sala attigua, dove sono adunati gli squadristi che nella notte dal 27 al 28 ottobre del 1922 costituirono il manipolo di difesa del «Popolo d'Italia». Egli sorride e saluta cordialmente tutti i camerati; e intanto gli si fanno incontro due bambine : le piccole orfane del generale Aldo Tarabello, il quale apparteneva a quell'audace manipolo. Le bimbe consegnano a Duce una pergameno con la seguente dicitura: « Gli squadristi del Fascio di Monza, che durante le epiche giornate della Marcia,su Roma ebbero la responsabilità, l'onore, la superba gioia di difendere il baluardo del « Popolo d'Italia e la persona sana del Duce, rinnovano il giuramento di fedeltà e di amore, pronti ad osare lutto per il trionfo della Rivoluzione ■>. La pergamena è stata letta da una delle bambine, che la offrono al Duce, insieme con una fascio di fiori. Egli, intensamente commosso, accarezza sul volto le due bimbe, mentre gli squadristi cantano gli inni della Rivoluzione. Affacciatosi nuovamente al balcone, fra nuovi clamori di applausi, il Duce ascolta il coro di 600 voci dei dopolavoristi di Monza, i quali intonano l'inno del Decennale. Il Duce al popolo Tre squilli di tromba ora ristabiliscono il silenzio: si alzano, solenni, le note della canzone del Piave; i reparti dell'Esercito e della Milizia presentano le armi: il monumento ai Caduti, sco perto da un Giovane Fascista, orlano di un Caduto in guerra, appare lucente di marmi e di bronzi. Passa sulla innumere moltitudine, un brivido di commozione. Si avanza verso il monumento mons. Rossi, seguito dal capitolo della Cattedrale, e impartisce la liturgica benedizione. Il Duce raggiunge quindi la piazza e si porta vicino alla marmorea mole, e accende la lampada votiva fra gli incessanti applausi della folla; rientra poi nel palazzo municipale e riappare al balcone nuovamente accolto da impetuose acclamazioni. Egii ottiene il silenzio popolo. S. E. il Capo del Governo ha ricordato che 14 anni fa, di questi giorni, nel cielo della Patria la vittoria si librava impetuosa con le sue ali d'acciaio. L'Esercito muoveva verso la definitiva vittoria. Nelle sue file erano i giovani delle ultime leve, gli adolescenti delle classi del '98 e del '99, che si batterono da leoni. Il Duce ha soggiunto che dieci anni fa, in questi stessi giorni, la generazione che aveva fatto la guerra e che era ancora pronta a combattere, muoveva verso Roma a cupmpfte parla al ticsmdnsofhdrivendicare la Vittoria. Furono due (sCc\cOggi tutto il Popolo italiano è.cconvinto che il Regime fascista è mun regime di forza, ma anche so>....... |Dprattutto, un regime di giustiziacmomenti inscindibili nella stòria del popolo italiano, due momenti che fanno vibrare ancora profondamente i cuori. (applausi) // Fascismo è contrario non soltanto ai poltroni, ma a tatti coloro i quali credono che, avendo partecipato a una rivoluzione, ci siano soltanto dei diritti da rivendicare, mentre ci sono, e sempre, dei doveri da compiere (applausi)■ // Duce, rivolgendosi poi alle numerose, abili e disciplinate maestranze di Monza, ka rinnovato agli operai l'invito a entrare nelle file fasciste, dichiarandosi sicuro che nel Fascismo, in questa milizia che ha giurato di mantenersi al servizio dello Stato, e quindi della Nazione e quindi del Popolo, essi si convinceranno che il Partito Nazionale Fascista è un poderoso strumento per elevare materialmente e moralmente il Popolo italiano (applausi) Enlamcaqttl// Regime intende la collabora-] » .zione di classe con spirito di assoluta lealtà. Non ci deve essere sacrificio da una parte sola a beneficio dell'altra. Il capitale ed il lavoro sono stati messi sullo stesso piano, perchè il Fascismo li intende interdipendenti l'uno dall'altro. E' dalla loro fusione armonica, dalla loro cooperazione intelligente e continua, che nasce e si sviluppa il benessere dei singoli e dell' intera Nazione. Quindi il Duce ha rievocato i morti inobliabili della guerra, i quali rivivono nel cuore di tutto il popolo. Infine, salutando Monza, che dette i primi cento fucili per la difesa del « Popolo d'Italia », ha dichiarato che quando un altro blocco di opere sarà compiuto, Egli tornerà a visitare la città. Il discoi so è stato salutato da una vibrante e interminabile ovazione. Fra due fitte ali di popolo plaudente, il Duce si reca poi alla Casa del Fascio e, infinitamente acclamato, si affaccia al balcone e pronunzia brevi parole, compiacendosi della organizzazione e della compattezza del Fascio di Monza. Risuona nuovamente, altissimo, l'applauso della moltitudine, e dura fino ai quando il Duce, disceso dalla Casa del Fascio, sale sull'automobile e si allori- Qtana verso la stazione. La sua parola è:passata di cuore in cuore: stasera Ih tutte le case se ne sentirà ancora l'eco!formidabile. ìIALFIO RUSSO.