Verso il limite del possibile

Verso il limite del possibile Dove l'alpinismo è sport Verso il limite del possibile (IJixì nostro inviatol- CORTINA, ottobre. Piove, et miei compagni sono co-stretti a rintanarsi in un caffettuc-ciò dova, a furia di sbadigliare, eer- to prima d: sera si slogheranno le mascelle. Ieri mattina, approfittan- do d'una breve schiarita, sono andati a rampicare sull' « ultima novità » della stagione : la fessura sulla parete Est della Torre Grande di Averau, inaugurata il 28 agosto dai fratelli Angelo e Giuseppe Dimài/fttSLi npllfl. nnt.ftVitij»<Mmn rtnìrìn /ì'rtli™ figli della valentissima guida d'altri tempi. — Il secondo strapiombo è veramente « salato » — dicono, scambiandosi le loro impressioni. Bisogna impegnarsi a fondo. Un passaggio così non c'è neanche sulla « Solleder » della Civetta. Ma la scalata è breve — non arriva a centocinquanta metri, e fecero in tempo a scendere al rifugio avanti che si riaprissero le cateratte del cielo. Adesso sono irati pel forzato riposo, e si guardano le mani: certo corrono, con l'immaginazione, al « lavoro » che si sarebbe, per esse, sulle belle rocce qui intorno. Io sfogliavo il taccuino sul quale, sotto dettatura, avevo annotato i nomi e le date che documentano, per la storia, i passaggi da una culminazione all'altra dei risultati via via superantisi nelle diverse epoche. Come si valutano le scalate La voce trascritta ripeteva: — Sì, la scalata per parete alla Punta Emma di cui parlammo ier l'altro è soltanto all'inizio della categoria immediatamente superiore a quella che ha nelle Torri di Vaìolettil suo esponente tipico. Risultati ben più salienti, tanto come arditezza di concezione, che asperità di passaggi, che lunghezza d'itinerari, furono raggiunti dopo il 1900. Dapprima è Piàz che supera se stesso, tracciando un'arditissima via sul Campani le Toro nel Gmppo dei Monfalconie, subito dopo, percorrendo il nero camino della Torre Principale di Vaiolett ■— quello che si vede dalrifugio, ricordi? Antonio Dimài, gui- dando le sorelle baronessine Eótvès,sale con A. Versi la parete meridio-naie del Teston del Pomagagnon, la cima chiamata appunto, ora, Cam-panile Dimài ricordando, col suo prospettarsi superbo verso la conca di Cortina, il nome d'una 'tazza di guide fra le più degnt <i gloriose. La tecnica d'arrampicamento si affermava; si cominciava a usare il chiodo d'assicurazione onde diminuire il rischio dell'eventuale caduta; gli uomini osavano maggiormente. Due Trentini — G. Nones e M. Scotoni — questi futuro Podestà fascista della sua città — aprono un itinerario difficilissimo sul Campanile Basso, ripetuto soltanto il mese scorso, ventisette anni dopo.', ancora da una cordata trentina. Io interruppi: — Come fate a stabilire la esatta valutazione delle scalate in una o piuttosto iteli' altra classe di difficoltà, cioè a differenziare il limite delle difficoltà in esse raggiunto ? — Con la ripetizione della scalata stessa da parte di arrampicatori che posseggano la pratica delle scalate del rango corrispondente. Il sistema della prova e della controprova; in una parola, il metodo sperimentale. Per questa ragione, mancando noi < dolomitisti » la diretta conoscenza delle scalate di ordine estremo su pura roccia effettuate nelle Alpi Occidentali e Centrali e inversamente per quanto riguarda gli « occidentalisti » per le nostre, non è ancora possibile stabilire — come alcuni verrebbero — la gerarchia delle difficoltà fra le une e le altre. Le conquiste di Angelo Dibona Non volendo addentrarmi in questa discussione, richiamai il mio interlocutore sul... sentiero battuto. — Sì, — egli proseguì. — Prendiamo l'esempio del Campanile Toro dianzi accennato. Che sia molto più difficile della P. Emma lo hanno confermato i secondi salìtori, i fratelli Franz e Toni Schmidt di Monaco, nella loro fruttifera campagna dolomitica di tre anni fa. La loro competenza è fuori d'ogni discussione. Nel 1909 la cordata triestina Coz-si-Zunutti conquista nel gruppo del-la Civetta la torre forse più alta dtutte le Alpi (900 metri), battezzandola Torre Trieste. Ripetuta ne1929 dagli arrampicatori bellunesZanetti e Parizzi, essa è trovalaefettivamente più difficile della«Emma». Può darsi che qualcunodi noi ragioni, a volte, ancora un potroppo soggettivamente, e non sia lucido e rigoroso nella classificazionedelle difficoltà, ma rare sono le incertezze, rarissimi gli errori, epperciò devi convincerti che l'esposizione che ti stiamo facendo non è altroche la risultanza dei giudizi di arrampicatori valentissimi, di varieetà e di varii paesi. Rassicurato su questo punto dimportanza fondamentale, sollecitala ripresa della... lezione — Nel 1907 cominciò ad affermarsi un altro Italiano, non regnicolo, la guida Angelo Dibona di Cortina. Egli effettuò prime scalatstraordinariamente difficili, anchfuori delle Dolomiti. E' grazie a luche la scalata alla parete Ovest della Roda di Vaèl nel Catinaccio è ritenuta come l'espressione del più alto livello raggiunto dalla tecnica ne1908. Forse questo livello fu sorpassato da altre imprese: la via sul tran co S-0 del Campanile Basso di Bren ta aperta dal sassone R, Fehrmann quella del viennese Lanql sulla Pic cola di Lavando, ma nel 1911 Dina riprendeva il suo posto in testa U «««1, con due imprese magnifiche, ottenute su grandi percorsi, siale {estenuanti pareti dove l'estremo sforzo in un singolo punto non è più la chiave di una salita ma appena un elemento della difficoltà, dove l'impegno delle facoltà dell'arrampicatore è molteplice e completo. Le lin¬ prese dolomitiche della cordata Di 1.^,..n.' • ■ »_ bona-Rizzi-Guido e Maz Mayer sono parete Nord della Cima Uno di Sesto e spigolo Sud-Ovest del Croz dell'Altissimo hi Brenta. Chi è salito al rifugio della Tosa avrà ammirato quella titanica muraglia che si eleva, per un'altezza di mille metri in faccia alle boscose pendici della Val delle Seghe. Ma se il livello delle difficoltà della « scalata-tipo » cominciava indubbiamente a venir forzato, ancora non era creata una categoria superiore. Piàz... — Ancora lui? Il predominio straniero — Sicuro, — mi rispondono. Piàz è stato un combattente d'una razza ben rara. Prova ne sia la continuità della sua attività anche nel dopoguerra, anche recentemente, anche il mese scorso. Ritorniamo a quegli anni lontani. Magnifica fu la vittoria ch'egli riportò nel 1911 sulla parete Nord della Tosa, la popolare cima del gruppo di Brenta. Ma già il predominio degli Italiani cominciava ad essere minacciato dagli stra¬ nieri. Austriaci e germanici calano nelle Dolomiti; non assoldano guide, ma arditamente si portano all'attac co di cime famose, ricercandovi con l'occhio lìnceo possibili itinerari di rèpviatmvmlspaecsvmcnqzzloddlgsalita pei versanti più diruti. La cordata Haupt-Lompel apre la « diretta » alla Piccola Civetta compiendo una delle scalate memorabili dell'e-'npoca. Sorgono poi Paul Preuss e aHans Diilfer a dominare con le '.oro'dimprese il periodo degli ultimi anni m precedenti la guerra. ìm Io ho udito, nelle veglie ai rifugi,\znette soste agli attacchi, pronuncia-cre il nome di questi atleti con una [eammirazione profonda. Giovani stu-\t denti o rudi operai, che la gioia del- v l'andar sulla roccia accomuna in una tperfetta amalgama di spiriti e d'in- ntenti, parlano di essi con la venera- nsione che sì ha per le figure eternate ldalle epopee delle leggende. Sì, lo so, j che i risultati da essi raggiunti fu- rono poscia superati, e il velo di mi- sterioso terrore che avvolgeva le lo- ro più difficili scalate cadde sotto l'azione ardita e cosciente dei nuovi vprodotti dell'alpinismo italiano. La « parete Preuss » al Campanile Bas- Sso risvegliava un tempo le immagini apiù tragiche : ebbene, a tutt'oggi, è fstata ripetuta una ventina di volte, e cil mese scorso Graffer di Trento ci ha portato la sorella. Le « vie Dul-\Hfer » rimasero sbarrate per molti anni, e i primissimi che seppero ripeterle furono guardati come altrettanti scampati alla morte. Alcune di queste «vie» hanno nome: Guglia di Val Popena Alta, spigolo della.Torre Valbona, spigolo della C. delle Pope, parete del Catinaccio d'Antermoia, parete della Croda da Lec, Torre del Diavolo nei Codini di Misurina, parete Ovest della C. Grande di Lavaredo, ed altre. Sul vuoto degli abissi Il limite del possibile stava ve-, ramente per essere raggiunto sulle I verticali pareti delle Dolomiti, grazie all'adattamento psicologico degli arrampicatori ed al perfezionamento della tecnica nell'uso dei mezzi d'assicurazione. Io devo qui parlare soltanto di quanto fu raggiunto dall'uomo sui monti calcarei delle regioni allora soggette allo straniero: altrimenti potrei accennare alle stupefacenti conquiste del Diilfer sulle pareti più pazze del Kaiser gebirge (Gruppo dell'Imperatore) al confine fra il Tirolo e la Baviera. Veramente questo giovane atleta, poscia caduto in guerra, portò con le sue imprese a tal punto il limite della difficcoltà che per dare ad esse una precisa designazione si dovette stabilire un concetto interamente nuovo — quello massimo, quello chiamato «estremamente dif j f ielle » nella locuzione della « scala di Monaco » di cui un altro giorno discorreremo. Comunque, la sua più difficile scalata dolomitica rimane i quella per la parete orientale della a C. Grande di Lavaredo, su direttaa,mente dalla forcella dove esistono ',tuttora relitti di baraccamenti di ' guerra. ! — Altro die le vie Preuss! — mie sento dire da vicino. M'avessi visto/- nella fessura andar su «alla Diilfer»-]- ti saresti spaventato, -1 «Alla Diilfer» o «alla bavarese»: o sistema onde procedere lungo le fes- sure, sia in senso orizzontale che e verticale. Si afferra il labbro dettai \ screpolatura con le mani — quando i si può, oppure con le dita, puntan- i do contemporaneamente i piedi su2-la stessa parete. Il corpo si piega, come quando, al mattino, facciamo ginnastica da camera e con la punia delle dita tocchiamo quella dei piedi. Cosi curvo in due (cento, duecento, cinquecento metri di vuoto e e i l nt al disotto)' l'arrampicatore procede, innalzandosi o spostandosi luterai- mente sulla parete. Vi lascio imma- ginare di quanta forzo, di reni e di pr"sa esso debba disporre» « Non c'è parete che non possa *_„:..*_..-' 7 , n; „.„„ esser vinta se lungo di essa esisto- no fessure» lasciò detto Diilfer. Ilprovienila è di, colleaare fra d» laro queste fessure. Diilfer lo risolse, riuscendovi col suo sistema di traversata, la cui genialità di concezioni è soltanto uguagliata dall'arditezza dell'esecuzione. Dove egli non passò, e dove sicuramente non passerà mai l'uomo, fu lungo la parete Nord della Grande di Lavaredo. Lì, la levigatezza della roccia è d'una realtà che annichilisce ogni pazzesca presunzione di violare la verginità del formidabile appicco. Domani, in Civetta Mi dicono Còmici ci si è ancora provato il mese scorso. E' arrivato trentai più su di Steger, poi si è tro- davanti a un muro liscio co-altro modo. Placata la sanguinosatormenta, il non dimeiiticato esem-metri vato me il marmo. E' sceso; e se è sceso lui... — E dopo Diilfer? — Ci fu la guerra, come tutti sanno, che occupò gli uomini in ben pio degli anziani eccitò nei giovani animosi il fervoroso desiderio di emulare e di sopravanzare i predecessori. Particolarmente attivi risultano gli arrampicatori delle nuove province, e cominciano a formarsi quelle schiere di arditi da cui, pochi anni appresso, balzeranno i campioni oggidì dominanti su questo terreno di nobile competizione. Imprese di notevole importanza riuscivano le prime scalate della parete Nord del M. Agner per opera di F. Jori; dello spigolo Nord del Latemar effettuata dal Piàz; dello spigolo del Velo della C. della Madonna dal bolzanino G. Langes e quella della cresta S-0 della stessa cima percorsa dallo Zac/ovel di S. Martino di Castrozza. ' Con- temporaneamente duellanti triestini e trentini ripetono come capocorda-ita le vìe Piàz, le -vie Fehrmann, Zevie Preuss. Ma 'ili stranieri dote- nevano ancora il primato assoluto. La scalata diretta della parete Nord del Pelmo nel cuore del vecchio Cadore da parie d'una cordala, guidata dall'austriaco Rossi nel 1924, rappresentò l'apertura del periodo moderno dell'arrampìcamento nelle Dolomiti, l'inizio della categoria estrema ó.ellc difficoltà su lunghi percorsi (la parete del Pel mo misura 800 metri di altezza), categoria- che oltre confine era già domhlio d'una non ristretta cerchia di atleti. Poi scese da Monaco Emil Solledcr a perfezionare l'opera magnifica. ■— La Civetta'* — domando. — Sì, domani scenderemo in Val ai Zoldo per risalire alla forcella d'Alleghe e di lì al Rifugio Caldài, Forse lo troveremo chiuso, la stagione è avanzata; più nessuno va da quelle parti. Ma uno dei miei compagni ha la chiave, e non dormiremo certo all'aperto, sotto le sielle. E il mattino dopo mi condurranno ad ammirare la Civetta dalla parte della Val Cordevole, dove la regina delle pareli si stende con la sua, formidabile architettura con una facciata di sette chilometri di larghezza. Là mi faranno leggere le pagine dell'ultimo definitivo trionfo riportato dall'uomo sulla paurosa verticalità della montagna, all'esatto limite del possibile. VITTORIO VARALE.

Luoghi citati: Alleghe, Baviera, Cortina, Monaco, Sesto, Tirolo, Trento