L'Europa e la sicurezza

L'Europa e la sicurezza L'Europa e la sicurezza PARIGI, ottobre. Se dovessimo tirare le somme dei fatti politici ai quali assistiamo, giungeremmo alla conclusione paradossale che, a dispetto della sua apparenza quanto mai intricata, la caratteristica dominante dell'attuale situazione europea è la semplicità. Non è nemmeno escluso che il vero peri' colo del momento risieda appunto in questa semplicità. A forza di veder porre sul tappeto, discutere, abbandonare, riprendere e ridiscutere questioni di cui la diplomazia ha fatto altrettanti teoremi di algebra superiore, si finisce senza volerlo col perder d'occhio che il problema europeo è, per nostra disgrazia, elementare come due e due fanno quattro e col non tener conto eh- i problemi semplici sono quasi sempre i più ineluttabili. Di che si tratta, in sostanza? Ecco, da un lato, una serie — non voglio dire un gruppo — di stati che la guerra ha malconci o insoddisfatti. Ecco, dal lato opposto, alcuni altri stati, ma sopratutto un altro stato, che.la guerra ha soddisfatti al di là di ogni speranza. I primi, quelli i cui affari sono andati male o non troppo bene, anelano a rifarsi ; i secondi, quelli cui la sorte è stata propizia, non domandano se non di ritirarsi in campagna a vivere di rendita. E' quanto avviene su per giù in tutte le riunioni dove si gioca a carte. Chi perde chiede strepitando un'altra partita o, come si dice nel gergo di circostanza, una « rivincita » ; chi vince dichiara che è ora di andare a letto e cerca di battere in ritirata verso l'anticamera. Ordinariamente nelle famiglie corrette l'usanza è di cedere, con un sospiro, alle esigenze di chi vuol rifarsi, accettando come solo compenso al sagrincio la soddisfazione morale di constatare, all'atto di accomiatarsi, che tutti sono rientrati nei proprii fondi e che non ci sono stati nè vincitori nè vinti. Ma, come è noto, non tutte le famiglie sono corrette e per di più non sempre i giocatori costituiscono una famiglia. Le partite grosse si giocano nelle bische, dove di sentimenti familiari non si è mai fatto spreco e dove la correttezza consiste per giunta nel fare onore ai propri debiti cioè nel lasciare ai vincitori il frutto della vittoria. Nel caso dell'Europa quello che ha complicato e complica le cose è che non si è ancora potuto decidere se siamo in famiglia o in una bisca. Il genere di rapporti in onore .a Ginevra sembrerebbe imporre il convincimento che siamo in famiglia: ma l'ostinazione messa da chi ha rastrellato tutto- il denaro' delle poste nel rifiutarsi a far rientrare il prossimo nei rispettivi fondi obbliga a dirsi, a un più maturo esame, che siamo 4n una famiglia scorretta, mentre i vincitori, invocando a loro difesa.la tolleranza, se non là connivenza, del? la polizia, pretendono addirittura che siamo in una bisca. La confusione è nata da questa fondamentale incapacità di fornire la' definizione giusta. I Piagnoni, se mi si permette di af• fibbiare ancora una volta per brevità questo titolo abusivo ai giocatori in perdita, sostengono che la Lega delle Nazioni è una famiglia e che di conseguenza chi ha vinto non può alzarsi dal tavolo prima di avere restituito l'importo della vincita ai parenti sfortunati. I Palleschi, se mi si per mette, sempre per brevità, di chia^ mare così i giocatori in vincita, rispondono che la Lega delle Nazioni è una bisca e che di conseguenza elli ha vinto non è tenuto a restituire nulla. Gira e rigira, i termini della disputa non potrebbero essere più semplici, e bisognerebbe mancare della più rudimentale esperienza di mondo per non sapere che nove volte su dieci le dispute di siffatto genere vanno a finire a ceffoni. Lasciando da parte le metafore, che in politica hanno sempre una cert'aria di irriverenza, dirò che su questo primo dissidio di ordine strettamente giuridico se ne innesta un secondo, di ordine pratico, anr cora più semplice e grave del primo. Chi non conosce a memoria la tesi francese della sicurezza ? « Non sarà possibile parlare di vera pace, diceva l'altro giorno, riassumendola, Giorgio Leygues, ministro della Marina, non sarà possibile, signori, parlare di vera pace fintantoché i popoli non avranno sostituita una forte solidarietà di interessi alle antiche rivalità e non si saranno impegnati mercè un patto di mutua assistenza a soccorrere quello tra loro che si vedesse ingiustamente attaccato ». Dottrina bellissima, che non starebbe male sul labbro diserto di monsieur de la Palice. Ma anche su questo capitolo regna, in realtà, la peggiore delle confusioni, e se regna è* perchè nessuno ha ancora osato dire una cosa semplicissima: che la dottrina della sicurezza non potrà trionfare se non quando ii diritto alla sicurezza avrà cessato di essere una esigenza astratta per diventare una quantità misurabile. Considerata come la kantiana ding an sich, la sicurezza non è niente; per lo meno non è un concetto politico e nemmeno un concetto storico ma una formula d'ordine privato, contingente e sentimentale. Su questo punto, come del resto su tanti altri, il parallelo che si vorrebbe istituire fra diritto civile e diritto internazionale non può riserbare se non disastrose delusioni. In diritto civile la sicurezza è garentita senza distinzioni quantitative di sorta. Il miliardario ne ■usufruisce per una cifra eguale al mumero dei propri miliardi, il nullatenente ne usufruisce per una ei•tra eguale al numero degli zeri che compongono la sua miseria: la legge ti dichiara la proprietà sacra ed inviolabile, senza accordare importanza alcuna al fatto che c'è chi ne ha una e c'è chi non ne ha, e se protesti t: mette senz'altro i ferri ai .polsi. In diritto internazionale le cose stanno molto diversamente. LaFelusnisctaesizi•ipdzcbdsrtqctnlsttdcnPcvQtssgcFzdddppcmtgipmrt à n e i i i e a ù e i e e a u e a r . i à , , i a e o a a e e a n , n a a à a è nnriel e iò u è ine al lihe gd rne se ai le La Francia e qualche altro stato con essa vorrebbero applicare anche qui le norme del diritto civile, fondando una volta per sempre il diritto alla sicurezza assoluta. La Germania, e non soltanto la Germania, si batte invece per l'avvento del diritto alla sicurezza relativa. Potremmo dire che abbia torto ? 1 francesi commettono una grande ingiustizia allorchè accusano tedeschi, italiani, magiari, ecc. di disconoscere la santità della sicurezza: in realtà quei popoli non ia disconoscono ma la vogliono li- aitata. Nessuno nega che ogni nazione abbia diritto a una certa quo» a di inviolabilità: il quid sta nello itabilirne il livello. Se fossimo sul •erreno del diritto privato, la Franila avrebbe ragione di dire : * Io possiedo cento miliardi, dunque ho diritto a cento miliardi di sicurezza ». Tribunali e polizia si incaricherebbero di procurarglieli senza batter ciglio, in barba alle proteste dei poveri diavoli, che in quel caso si chiamerebbero sovversivi e finirebbero in. galera. Siamo però sui terreno del diritto internazionale, e qui i poveri diavoli non hanno ancora cessato di. aver voce in capitolo, grazie a quella famosa sovranità che li rende, almeno in teoria, liberi delle proprie azioni e all'assenza di una organizzazione coercitiva capace di ostacolarli nell'uso di tale libertà. Costoro rispondono dunque alla Francia : « Tu possiedi cento miliardi? Sono troppi. Noi non possiamo garantirteli tutti. Possiamo garentirtene quaranta, cinquanta, ma a patto che il resto venga rimesso in circolazione ». Questa risposta, beninteso, in pratica non l'ha ancora formulata nessuno dei governi impegnati nella disputa. Ma probabilmente lassù l'ha già formulata il destino. La sicurezza non è un articolo di codice, almeno finché non riesca alla Francia di fare della Lega delle Nazioni uno stato sopra gli stati e del diritto internazionale una proiezione del diritto civile: è una graduatoria di percentuali. Vi sono popoli il cui patrimonio è proporzionato alla propria statura e che hanno quindi diritto a una sicurezza del cento per cento; ve ne sono altri il cui patri, monio è superiore alla propria sta tura e eh e,, non dovrebbero poter esigere se non una sicurezza di tanto inferiore alla pari di quanto le è su periore il primo; ve ne sono finalmente altri il cui patrimonio è inferiore alla propria statura e che dovrebbero pertanto considerarsi creditori di sicurezza per una percentuale eguale all'eccedenza patrimoniale dei secondi. All'infuori di questo gioco di rapporti, la sicurezza è un termine polemico che non significa nulla Ecco perchè da tanti anni si discute sopra di essa senza giungere a mettersi d'accordo, mentre a fil di logica tutti dovrebbero sentirsi unanimi sul riconoscimento di un diritto primordiale quale il diritto alla vita come riescire ad intendersi quando per taluni stati si tratta effettivamente soltanto della vita e per altri si tratta del companatico, dell'automobile, del palazzo, del castello e ma. gari del latifondo? Cristallizzare la sicurezza ! O se non v'è riuscito nemmeno il diritto civile? Il diritto civile protegge, è vero, in egual misura miliardario e nullatenente: ma la sua protezione nor. ha mai avuto per effetto di impedire al nullatenente di diventare miliardario e al miliardario di diventare nullatenente. Se il codice si oppone al furto e alla violenza personale è perchè sa benissimo che una quantità di altri mezzi permettono ugualmente alla ricchezza di passare da una mano all'altra e che in pratica il diritto di proprietà si allea a una mobilità estrema e perpetua della medesima. Quale società civile si adatterebbe a prendere come fondamento la cristallizzazione della ricchezza secondo le quote individuali di un dato momento storico, a scrivere sui proprii statuti che Creso resterà sempre Creso c Diogene sempre Diogene ? Nessuna, tranne quella in cui la quota di ricchezza fosse eguale per tutti. Possiamo forse dire che la società dei popoli risponda a tale requisito? Accampando il diritto alla cristallizzazione assoluta della proprietà, il diritto internazionale sarebbe, dunque, per dirla con una vecchia frase, più realista del re: pretenderebbe, cioè, di aver raggiunto uno stadio di evoluzione cui non è arrivato in realtà nemmeno il diritto privato. I Messia della sicurezza eludono l'obbiezione affermando che quello cui mirano non è lo sfatti quo sino alla fine dei secoli: è l'impossibilità di valersi della forza per modificarlo. La distinzione è elegante, ma a patto di provare che esistono per modificarlo altri mezzi all'infuori della forza. E' quello che sul terreno del diritto privato dimostra l'esistenza delle società civili. E' quello che sul terreno del diritto internazionale avrebbe dovuto dimostrare l'esistenza della Lega delle Nazioni. Ma che cosa ha fatto in realtà la Lega delle Nazioni per dimostrarlo? Nessuno mi smentirà se dico che non ha fatto nulla, tranne, forse, che dimostra' re il contrario. E qui sarei tentato di rifarmi, per amore di logica, alla metafora con cui ho incominciato: la Lega delle Nazioni è una famiglia o una bisca? E' fatta per dare ad ognuno in ragione dei proprii bisogni organici o è fatta per mantenere fra i suoi membri le soroporzioni create dalla storia? E'" fatta per sostituire le procedure di revisione legali a quelle extra-legali o è fatta per dimostrare lapqslesdpnspftfsrrpsptsnacstmrftsntfDtpdsprdineluttabilità di queste ìltime? Ilproblema, come dicevo in principioe di una semplicità sconcertante. Ma"M*?^^S™^^non ce quaUordici anni gli sforzi della dl- plomazia tendono a confonder le carte in tavola e ad occultare la sem- ^^m —e .e ^ cazioni della superficie, Al travaglio diplomatico del do po-guerra potremmo dare per titolo quello di un famoso dramma del Tolstoj: La potenza delle tenebre. Solo le tenebre hanno avuta ed hanno, e speriamo abbiano ancora per un po' di tempo, la potenza di salvare la pace. Le tenebre: cioè le disquisizioni sulle armi offensive e difensive, sulle ostilità permesse e su quelle proibite, sulla parità di diritto e di fatto, sul quantitativo e sul qualitativo, ossia su di un fas e di un nefas ad usum delphini nel quale nessuno crede ma che ha il grande merito di far schivare le questioni serie e di tenere a bada i sospetti della platea mentre il prestidigitatore sparire i suoi conigli dentro il cappello. Non lamentiamoci, insomma, troppo della difficoltà dei rompicapi sui quali gli uomini di governo penano giorno e notte. Non ostiniamoci a chiedere che si faccia la luce. Finché vi saranno complicazioni vi sarà speranza ; e il giorno veramente brutto sarà quello in cui potremo, finalmente, guardare in viso la realtà e riconoscerla semplice come due e due fanno quattro. Questo prolungametto delle tenebre è la sola ragion d'essere di Ginevra. CONCETTO PETTINATO.

Persone citate: Diogene, Giorgio Leygues, Palleschi, Tolstoj

Luoghi citati: Europa, Francia, Germania, Ginevra, Parigi