Burla montanara

Burla montanara Burla montanara Che fosse un tipo bizzarro era noto a tutti in citta. Bastava guardarlo. Piccolotto, tondetto, elastico, tutto gridio di capelli, gli occhi vivacissimi nascosi dietro i dischi di due grosse lenti nere lo avresti detto, modernamente travestito, uno di quei buoni spiriti burloni di cui la fantasia della gente atesina andò popolando le sue valli e le sue montagne. Proprio come quelli il cav. Giacomo Fulin era pazzo per le belle solitudini alpestri e il giorno che, a cinquantanni, fu messo a pensione, dopo trenta di irreprensibile servizio quale Capo Ufficio del Regio Catasto, si diede a fabbricarsi una villetta sulla cima di x nontagna solitaria e ci andò ad ai., are vivendo lassù, solo, come un eremita, coi suoi pensieri, i suoi classici e una botticella di buon vino. Era un selvaticone, un mezzo idealista sui generis, ma pur rifuggendo gli uomini non li sdegnava e sapeva dimostrare a momenti opportuni la sua bontà giocando loro qualche burla di tanto in tanto. Questo era infatti il suo sport prediletto. Poiché la natura dell'uomo era pari al suo aspetto, burlevole e maliziosa. Ci volevan parecchie ore di salita ad arrivare alla Vedetta, ma una volta lassù ci si trovava veramente in un delizioso paesaggio di prealpe. In una spece di vasta conca erbosa, presso ad un laghetto, sorgeva questa viletta del Fulin, tutta in pietra, di poche stanze e fornita di ogni ben di Dio da bastare alle esigenze di un anacoreta raffinato. Egli aveva perciò la soddisfazione eli godersi tutta per sè quella solitudine, e di non vedersi più facce umane intorno. Comitive di alpinisti ce ne capitavan di rado alla Vedetta, ma qualcuna ci veniva e allora il cav. Fulin andava volontieri incontro ai nuovi arrivati e dava loro consigli del caso sulla strada da tenere o indicazioni sul panorama. Ma più spesso si divertiva a fuorviarli un poco dal loro cammino, o, per esempio, richiesto delle cime circostanti, storpiarne i nojni parafrasandoli bizzarramente, o raccontare inverosimili drammi di orsie stambecchi che non esistevano o di battaglie che non avevan mai avuto luogo su quelle cime; e dimostrava così ancora una volta a sè slesso l'inguaribile dabbenaggine del suo pròssimo. Un mattino egli si era alzato di buon'ora pei- recarsi ad ammirare il sorgere del sole da una cima distante qualche miglio dalla sua casetta, poi, poco prima di mezzodì, era tornato, camminando di buon passo. Finché uscito su l'ultima prateria, la Vedetta gli era riapparsa in vista e pregustava da vero sibarita il piacere della buona colazione che vi aveva preparato in precedenza, prima di partire. Quand'ecco, alla svolta del sentiero, si era trovata davanti la figura di un uomo alto e magro che camminava curvo e scamiciato sotto l peso di un grosso sacco di montagna. I due si salutarono e il nuovo venuto chiese cortesemente se mancava ancora molto ad arrivare ad un certo paese. — A X...? — rispose il cavaliere. — Eh, eh, che canzona? Ci vorrà ancora, a dir poco, un paio d'ore. (Ci s'arrivava in vece in venti minuti). — Un paio d'ore! — fece l'altro con un gesto di disperazióne. — E a filar bene — ribatté il Cavaliere. ..'. .. — Madre del Cielo, e io che non ne posso più ! — fece l'alpinista lasciandosi cascare sopra un macigno a lato del sentiero. Pareva infatti un uomo allo stremodeile forze. La sua persona segaligna, interminabile e un po' donchisciottesca sembrava disfatta dal lungo cammino. 11 Fulin gli si sedette accanto. — Di dove viene lei? — Da Val d'Ore e contavo di arrivare là almeno per colazione perchè disgraziatamente non ho portato nulla da mangiare con me... Due oredi. cammino! Ma io non ce la faccio. Son certo che se continuo cado sfinito sul sentiero. E qui raccontò che essendo egli attorno fin dal giorno prima per quelle cime a raccoglier sassi per una sua collezione importante, nella passione della ricerca aveva purtroppo dimenticato le esigenze del corpo. — Mi spiace — fece il Fulin fissandolo così con uno sguardo tra maligno e compassionevole. — Risognava esser più previdenti. Non si viene su queste cime disabitate senza un tozzo di pane in saccoccia. Adesso davvero non so come se la caverà. Ma d'un tratto nella sua mente scherzosa frullò l'idea di una burla, ci una burla magnifica che avrebbe potuto giocare a quel girondolone mprevidente. Assunse allora un'espressione circospetta e misteriosa poi toccando al braccio il suo compagno gli additò la casetta. Poi con voce sommessa guardandosi attorno come fa un ladro quando sta proponendo un colpo di mano : — La vede quella casetta là?... E' di un signore che io conosco un poco, ma che ora è fuori e non tornerà forse che tardi. Se lei crede, noi possiamo accostarci... sforzare porta ed entrare. Io son certo che là dentro troveremo da mangiare fin che vorremo, perchè so ch'è uno che si tratta bene. Lei si sfama a suo piacere, poi ce ne veniamo via. — Ohibò, violare la proprietà altrui! — esclamò il Geologo scandolizzato. — Eh lo so, non è bello. Ma che vuol farci? Vuol morire qui di fame? — E lo prese per mano. La fame è pur una terribile consigliera: l'altro combattuto e pur disperato, a poco a poco, quasi insen¬ sibilmente, si lasciò condurre... In conclusione arrivano, il Cavaliere fruga fruga, finge (li trovar la chiave sotto alla porta d'ingresso, poi entrano pian piano c si fanno innanzi per le camere. In cucina veIdono li preparate delle vivande: un pollo arrosto, delle verdure, del formaggio, una torta. — Ha visto, ha visto? — sussurra il Cavaliere. A l'altro, raggiante, pare addirittura di trovarsi in una Mille e una Notte. Rapidamente mettono in tavola e siedono e mangiano di gusto. Da prima nell'ospite la prepotenza e l'avidità «li saziarsi ebbero il sopravvento sull'apprensione e sul sentimento della colpa. Divorò a quattro palmenti tutto quanto il Cavaliere gli poneva davanti, curvo sul piatto, senza parlare. Ma come si fu appena un poco saziato ecco che improvvisamente è ripreso dalla tremerella, e — Ora io me ne vò! — fa balzando in piedi. Ma l'altro pian piano, lo persuade a rimettersi a sedere, a continuare il suo pasto. :— Mangi, mangi che, io conosco le sue abitudini, il padrone non credo tornerà tanto presto... E poi senta, se torna •uol dire che gli spiegheremo tutto e io credo che ci vorrà compatire... Vuole ehe abbia un tal cuor di tigre da lasciarla morir qui di fame? Il Geologo chiese sommesso : — Lei lo conosce? — Chi? il padrone della villetta? Oh è un vecchio Questore a riposo. — Un Questore! — Ma un brav'uomo, sa. Un uomo stufo di far pedinare, arrestare ed incarcerare gente e che ha deciso di trascorrere gli ultimi anni della sua vita in una pace assoluta, e s'è comprata questa casetta. Potete imaginare se a quelle notizie il Geologo si sentisse sempre più saldo in gambe! Sbasiva e aveva ii battimento di cuore com'uno che si trovasse alle prese con la fantasima: e il Cavaliere ci si divertiva un mondo, e intanto che lo andava sfamando, godeva satanicamente a vedergli accrescere indosso quella pauriccia sottile e lancinante che pareva voler mangiucchiarselo tutto, pezzo a pezzo, e a tenerlo lì con jl'anima ai denti. E se l'altro, trasalendo ad ogni rumore, balzava in niedi interrorito e si gittava all'uscio mormorando : — Ecco il Questore ! Siamo buggerati! — egli lo persuadeva a riaccomodarsi che — ...alla peggio se anche il Questore tornerà, vedrò di accomodare io la faccenda. — Poi continuando a discorrere, così senza parere, gli faceva capire che il Questore era un uomo buono ma che" però in certi momenti non avrebbe voluto essergli tra i piedi per tutto l'oro del mondo : per un nonnulla diventava un arrabbiato, un uomo capace delle peggiori vendette. — Mammamia! — No, facevo per dire ch'è un uomo un po' difficile, ecco tutto, che non si sa mai bene come la pensi... Per il resto le assicuro un'ottima pasta d'uomo. Alla fine, tra. quel cibo trangugiato alla svelta e tutte quelle paure e tutti quei colpi al cuore il povero Geologo s'era ridotto a poco meno di un cencio. — Andiamocene — si mise a gemere ad un certo punto — andiamocene per carità, che qui il pavimento mi brucia sotto ai piedi ! — Ebbene — fece il Cavaliere dopo qualche istante. — Andiamocene, sì, ora mi par prudenza. Rimettono le cose a posto, il Geologo si caccia in spalla il sacco, e tutti e due quatti quatti infilano l'uscio. Prima di uscire, però, lo scienziato cava di tasca un biglietto da cinquanta e lo depone sulla tavola. — Ad ogni buon conto — dice — 10 gli lascio qui il prezzo della colazione. — Non occorre, non occorre — fa il Cavaliere. — Sa, il Questore non è certo uomo da pretendere compensi. E forse si offenderebbe... — E gli rimette in tasca i soldi. Escono. Il meriggio è alto. Percorrono ancora un po' di cime, poi 11 Cavaliere prende giù per una scorciatoia. — Dove mi conduce adesso? — E' prudenza girare per qua, amico, onde non incontrarlo. — Perchè? c'è anche questo pericolo? — Eh, non si sa mai... Camminano ancora. Il sentiero si fa sempre più aspro e difficile. Prendono giù per certi scosci pieni di rovi dove il povero Geologo annaspa coi piedi, cade, si rialza, aggrappandosi alla meglio alle frasche, mentre l'altro, pratico dei luoghi, scende più rapido e svelto, come fosse affar suo. Ad un tratto ecco si trovano nel folto di una boscaglia là dove il monte sì rompe sotto di loro per un salto di una sessantina di metri. Lì il Cavaliere s'arresta, tende l'orecchio, insospettito, — Che c'è? — fa il Geologo. — Non ha udito uno sfrascare su, in alto? — Ebbene? che pensa? che possa essere lui, il Questore? — Bah, lo temo. Temo che abbia odorata la nostra traccia e che tenti di aggirarci... E' meglio ch'io vada su e che lo affronti personalmente... Sa, non vorrei... So che va sempre attorno armato di rivoltella. L'altro lo guarda tramortito. E' ormai annientato dalla fatica e dal terrore. — Sì, vada, vada... — mormora con un fil di voce e allungando un braccio con un gesto di estremo congedo, lo spinge su per il sentiero. — Sì, vada, vada pure... Poi come furono spenti gli ultimi passi e fu tornato l'alto silenzio sulla montagna, si buttò là, si raggruppò come un povero rudere su l'erta del sentiero, e aspettò la sua sorte. E l'aspetta ancora. CARLO LUNATI.

Persone citate: Giacomo Fulin, Piccolotto