Autunno sul Bosforo

Autunno sul Bosforo filim: del mediterraneo Autunno sul Bosforo (JJ A Et NOSTRO 1 JS. \r X A rr O)- ISTANBUL, ottobre. A mezzogiorno la voce del muezzin scende dal minareto. Dapprima s'ode appena tra lo scampanellare dei tranvai e il rombare delle automobili; poi, fra qualche strillo, si leva sempre più acuta, e ogni tanto si riposa in un cupo « pianissimo » come in un irato borbottare e in un torvo rimprovero. L'omino si scorge appenalassù, dietro l'esile parapetto di marmo fiorito; e qualche colomba che vi si era rifugiata sfrulla vìa impaurita. A mezzogiorno, sulla piazzetta della moschea, c'è sempre un crocchio col naso all'aria; e c'è sempre qualcuno che tenta di puntare un obbiettivo o un binocolo. La voce strìdula scende con le pri me foglie ingiallite dei platani, da un cielo che già comincia a velai jì Dinanzi alla punta del Gran Serraglio le correnti spumeggiano con tonfi e scrosci più frequenti e rabbiosi, sumar di Marmara i gabbiani intessono voli più rapidi sfiorando le acqueIeri le guardie di città hanno sostituito l'elmetto coloniale- con un berretto simile a un pentolino di cartone; e i venditori di frittelle tolgono dalle soglie delle loro bottegucce le garze bisunte poste a difesa dei tafani e delle mosche. L'autunno sfu ma i contorni della città nelle prime ore del mattino, li soffonde di brume fin vèrso il meriggio, per poi offrirlnetti e stagliati alla sera che scende sul Bosforo col giungere dei ventche hanno varcato il Caucaso ed imar Nero. Due volti Ad affacciarsi sul Corno d'Oro damare l'anfiteatro di Costantinopoli offre della Turchia d'oggi anche ipanorama più facile. Di qua dal ponte dì Galata, dietro la collina del Gran Serraglio, si stende la vecchia Stambul, la città dei sultani, tutta di catapecchie e di mausolei e di moschee ai piedi dei minareti, tutta un digradare di tetti dì legno e di giardini soffocati nell'ombra; di là dal ponte i quartieri europei, la nuova Turchia, Galata e Pera. Di qua ì serpentelli dei narghilè, le grate tarlate degli harem, qualche donna ancora velata, vecchi che non hanno del tutto saputo rinunciare al fez e se ne sono acconciato uno in sordina, con un tubino dalla tesa mozza o con un piccolo turbante rigido e cilindrico, senza pieghe e senza svolazzi; di là le banche, le società anonime, i consolati, gli asfalti, e il ìnonumento dell'indipendenza che raffigura nel marmo e nel bronzo Kemàl ed i suoi uogotenenti che iniziano il cammino della nuova Turchia uscendo dall'arco d'un'antica porta: lo stesso arco nvariabile del quale s'incoronano i tappeti delle preghiere distesi sui pavimenti di Santa Sofia, lo stesso arco del quale si ravviva la stuoia che l cammelliere dispiega sulla sabbia prima di volgersi verso la Mecca. Raramente il vecchio e il nuovo d'un paese furono divisi con un taglio altrettanto netto e profondo; e a vecchia città, cadente fastosa e dimessa, sagra del pittoresco a ogni passo e ad ogni costo, la si direbbe destinata a sparire dinanzi all'avanzare delle scatole novecentesche, bianche e rossicce, che sulla sponda opposta si elevano a gradinata. Eppure queste antitesi e questo distacco sono soltanto apparenti. I segni di eri e gli annunci del domani si ritrovano tanto attorno alle mura cadenti del Serraglio quanto fra i graniti lustri della nuovissima piazza. Autunno stanco e primavera inquieta. Prima la religione permeava di sè ogni legge; ora alle leggi dello stato penserà lo stato. I venticinque segni dell'alfabeto latino hanno sostituito i seicento dodici dell'alfabeto turco, tra i più ornamentali che si conoscessero. (Quando una lettera doveva incontrarsi con determinate altre, assumeva un nuovo disegno he meglio s'intonasse con quelli seguenti). Ora la smània della grafia occidentale è giunta a seguirne perino la semplice pronuncia: tanto che per le vie di Pera si trovano queste insegne di taverne notturne — a scatola, Tabarèn Boat, il gatto nero, Schà noàr — palpitanti di notti ra festoni di lampadine, estatiche di giorno su lastre d'un giallo cromato o d'un verde batidiera. Ma la nuova Turchia non è un paese orientale giunto d'un tratto attraverso a una rivoluzione alla ■ scoperta dell'occidente, e che voglia j occìdentalizzarsi al più presto e ad .ogni costo. E' il ridestarsi di un pojpo/o che forse per la prima volta, j dopo secoli, si trova di fronte ai proj blemì della vita civile, della sua vita I civile, non di quella posticcia e d'importazione della radio e dei taxi. E' la vita civile intesa nei suoi strati millenari e più profondi, intessuta di tradizioni e di fierezze, la civiltà delle opere di pace, dalla quale questo popolo è stato finora distratto dal nomadismo e dalle guerre; e per la quale oggi si ritrova giovane e anticoUltime comparse / « Giovani turchi », un tempo un partito, sono stati sostituiti dai nuovi turchi, oggi una coscienza. Il religiosissimo cittadino di Kemàl guarda con malcelata sopportazione il bigotto che ancora porta, su gli stivaletti, slabbrate soprascarpe di gomma per potersi economicamente scalzare per la preghiera; molti sono urtati dalle curiosità che accompagnano le ultime misere comparse della vecchia Costantinopoli dei sultani; e in qualche volto c'è persino della malcelata sofferenza allo scorgere gli stracci multicolori dei quali s'è agghindato il venditore d'acqua che ha sulle spalle un orcio di legno tutto trapunto di chiodi d'ottone : e trascinandosi sulle pantofole scarlatte batte a richiamo il piattino contro il bicchiere, in un monotono tintinnìo simile alla nenia che ancora deve risuonare alle soglie delle oasi e lungo le carovaniere. All'imbocco del ponte di Galata un altro tintinnio giunge da una bilancia automatica, la quale ha un sovraintendente che guarda dinanzi a sè, con sguardo spento; in una mano la solita collanina di legno, sgranata da due dita d'automa, l'altra batte una moneta contro il supporto, invitando il passante a pesarsi. Poi i lustrascarpe, con ad armacollo la cassettìna tutta lucente di borchie d'ottone e garrula di fiocchi multicolori, le spazzole istoriate, gli stracci frangiati, lo sgabellino trapunto, come se fosse un andare a nozze il farsi pulire per due piastre le scarpe. Poi qualche venditore di frittelle dalla sporta che pare una piccola cattedrale d'archi d'ottone, di cuspidi di vetro, di fregi, di lustrini, di svolazi; e certi silenzi ostili, deserti e profondi, per le viuzze attorno al quartiere arabo o a quello degli ebrei. Sono le ultime immagini della vecchia Turchia che ancora non vuol morire, tra gli scorci delle sue casupole di legno scilo i platani centenari e tra i cipressi stenti, tra fetori d'angiporto e torme di cani randagi. Ma il metropolitano nel mezzo d'un crocicchio, su di un panettone di granito, si caccia due dita in bocca, ne trae un fischio lacerante per arrestare pedoni e veicoli; alle cantonate, due tre quattro guardie son sempre pronte a intervenire per prestargli man forte: e sorvegliano il orvegliante, corrucciate e severe. La città del Bosforo La nuova Turchia appare come una repubblica patriarcale, retta da una volontà dura e tenace che ^uole imporre un nuovo ritmo a quattordici milioni di turchi fino a nove anni fa per sci settimi analfabeti. L'ordine dev'essere raggiunto a ogni costo non col nuovo per il nuovo, ma col ritorno alle più sane virtù della razza. La vecchia Costantinopoli è ancora una testa di ponte verso il sud e verso l'occidente, ma è facile sentirla città spodestata, soprattutto nei quartieri più antichi; ed oggi Istanbul non è che il più popoloso rione della città che ormai si stende dal mar di Marmara al mar Nero lungo i ventinove chilometri del Bosforo. Chi s'appresta a risalire lo stretto crede di ritrovare un'altra immagine dei Dardanelli, dalle piatte rive giallastre, rotte ogni tanto dagli spalti d'un forte o da un villaggio sperduto : e si trova invece, da Scutari a Terapia, tra i più veri sobborghi di Istanbul. Un film per ogni sponda. due films che ad ogni istante simutano e trascolorano, costringen- do lo spettatore a vagare dall'una all'altra murata del piroscafo pernon perdere .nessun quadro. Il Bos-foro, più che un braccio di mare, aun fiume dalla corrente vorticosa alla quale s'acwmpogna. un vento che continuamente soffia dal nord e s'ingolfa tra le sponde dello stretto come tra le pareti d'un corridoio verso un'uscita. Scendono, recatdal vento, i primi brividi invernalche giungono dalle steppe distese e abbandonate oltre il mar Nero; passano sulle ville che furono dei sultani, chiuse e silenti, sulle darsene ancora fiorite, sui torrioni che ricordarlo le architetture dì Rodi, sulle candide spiagge, sulle baie ridenti inghirlandate di spume. Il fiume superbo sì stende con prospettive di lago e di riviera, di torrioni e dì castelli sommersi nelle verzure profonde dei parchi, rispecchiati dall'azzurro cupo dell'acque; e procede fra due scalee ininterrotte di ville, dì gi-ardini e di villaggi, scenografico e immenso Canal Grande posto tra la riva d'Europa e quella d'Asiacon quinte e fondali creati dai secoli e disposti su coste azzurrine sotto un cielo dorato. Accanto alla vecchia vela turca, tozza e rigonfia, scivola ancora qualche caicco agile e snello, tra il guizzare dei motoscafi e le raucedini dei rimorchiatori; e ogni tanto si rivela tra il verde il bianco fumaiolo d'un minareto isolato, la piccola moschea di una villa patrizia, mentre i lontani monti dell'Anatolia appena s'intravvedono all'orizzonte. Verso il ritorno A Terapia appare nel fondo l'imboccatura del mar Nero che stende contro il cielo un nastro azzurro cupo. La prua descrive un ampio cerchio nella baia; e dono pc-^hi minuti si ripassa dinanzi a quella nave abbandonata su gli scogli, a quei candidi cilindri che sono depositi di nafta tra le cupole grigie delle moschee. Un vapore russo ha imboccato lo stretto, scende lentamente, squallido e torvo, a recare verso il sud le stive colme di carbone. Il cerchio descritto dinanzi alle lontane coste dell'Asia riporta la prua sulla via percorsa, verso un sole più caldo che soltanto più tardi cederà alle brume scendenti dal settentrione. Si stende sul mare un grigiore appena rosato, ogni tanto increspato di verdognolo e di turchino; è l'autunno sul mare, che invita al ritorno. Ancora appaiono i candidi merletti di Dolina. Bagcé; e l'ultimo saluto d'Istanbul che s'allontana, dislesa ad anfiteatro sul Corno d'Oro immerso nella gloria del tramonto, lo danno le cupole e ì minareti di Salita Sofia. E' l'ora, questa, in cui l'immensa navata bizantina si cela nell'ombra; e il Cristo e gli angeli e le croci, raschiati di sui mosaici primitivi, rivelano più intensi i pallidi loro contorni che nella prima penombra della sera tornano ad aleggiare sui marmi, candidi e soffusi, incancellabili. MARIO CROMO.

Persone citate: Boat, Dolina, Galata, Pera