Nel regno degli arrampicatori

Nel regno degli arrampicatori Dove- l'alpinismo è sport Nel regno degli arrampicatori g (E>«1 nostro inviato) RIFUGIO VAIOLETT, ottobre. I giovanotti in pantaloni di flanel-la bianca e le dame di già abbondantemente impellicciate, dovevano temere questo tepido carezzevole soledi autunno, se tuttora se ne stavano al riparo sotto i vasti ombrelloni a strisce bianco-rosse posti sul- la terrazza e lungo i viali attorno allussuoso Grand Hotel. Eravamo inpochi nel rosso torpedone che al mattino ci aveva imbarcati sulla piazza di Bolzano, sotto lo sguardo malinconico del menestrello Walter, attorno al cui capo di sasso i colombi intrecciano bassi e radenti voli. In poco più di due ore arrivammo sull'altipiano di Carezza, dopo esser passati nelle cupe gole della Val d'Egna, rimbombanti di colpi e di alacri lavori per l'estrazione di quel porfido che, ridotto in piccolissime e regolari forme cubiche, servirà per pavimentare le vie delle grandi città. Poi prendemmo a salire, e V acqua accanto alla strada si faceva sempre più poca e più chiara, mentre l'odor di montagna diventava più fino, e ci si sentiva, la vicinanza delle malghe, dei pascoli verdi e degli spazi vasti e liberi attorno alle cime non più lontane. Sacco in spalla Un compagno di viaggio, un tedesco, mi domandò se avremmo visto il lago di Carezza, il Karersee di cui parla la guida rilegata in tela rossa. — E' dietro quella svolta. Guardi in basso, a destra, e vedrà una meraviglia. L'occhio glauco del lago, una specie di coppa ripiena fino all'orlo di zaffiro fuso, rispecchiava le svelte siluette dei larici e degli abeti che gli si serrano attorno, e con un po' di buona volontà si poteva scorgere sulla sua tremula superjice anche il dentellato profilo del Latemar dominante lì presso. Ma il conduttore del macchinone tirò via diritto non importandogli di rimirare quell'angolo di così riposante bellezza, e pochi minuti dopo si arrestava davanti al grande fabbricato dell'albergo di lusso, dove ci vanno soltanto i signori. — Cinque minuti di fermata! Noi scendemmo definitivamente, Mancandoci delle nostre robe, sotto gli sguardi incuriositi degli ultimi ospiti del Grand Hotel, ai quali non par vero che ci sia della gente che goda ad andar a piedi, con dei grossi e pesanti zaini sulle spalle, su per quelle montagne che da una parte e dall'altra fiancheggiano l'altopiano di Carezza come due colossali quinte di pietra, altissime nel cielo che è davvero turchino come sulle cartoline illustrate. Tagliammo pei prati, facendoci urlar dietro da un inserviente perchè, forse, guastavamo coi nostri scarponi chiodati la mattutina pettinatura del campo di golf; e dopo mezz'ora raggiungemmo il sentiero che porta su. Dimenticavo di dirvi che sugli altri pascoli c'erano le mucche coi campani che fanno din-don e le caprette con le campanelle che fanno den-den; i pastori richiamavano con lunghi e modulati sìbili le bestie sbandate, poi si appoggiavano al bastone, assumendo inconsciamente pose statuarie: ma queste sono descrizioni per le quali non sono portato, eppoi non hanno niente a che vedere con lo scopo del mio viaggio quassù. Badavamo a non perdere tempo, perchè prima di sera dovevamo toccar due rifugi, valicare due passi altissimi, avanti di arrivare al Vaioleti a riposare. Alzando il capo, vedevo erto e maestoso davanti a noi il rosso paretone della Roda di Vacl, appena imperlato d! neve, che s'in nalza sul verde bandiera dei prati di Carezza come la facciata d'una favolosa cattedrale. Dopo un po' che si camminava in silenzio e m'ero liberato, per via del caldo, oltre che della giacca, anche della camicia, mi sentii tirare pel fondo dei pantaloni. — Guarda il camino Dibona. Là ti vidi le streghe — mi dice la mia compagna. La chiamano Teufelwandspitz — la parete del Pizzo del Diavolo, e pel nero, viscido, strettissimo camino che adduce in vetta dalla parte do ve la montagna è tagliata di netto con un balzo di trecento metri, nessuna cordata era fino allora risa lita che non avesse in testa la cele Tore guida di Cortina. — Vennero due famosi studenti 'della Tendopoli che pur avevano fatto delle belle rampicate, ma non poterono andar più su di qualche metro. Ci lasciarono un bastone per traverso, come per ammonire: Di qui non si passa. Noi passammo, ma ti dico che ce la mettemmo tutta. Cammina cammina, l'altopiano e le valli che vi confluiscono si facevano sempre più basse sotto dì noi; finché, dopo aver costeggiato l'apio co della Roda per un'ultima ora, arrivammo al rifugio Aleardo Fronzadove domandammo de? Jori. Jori è il conduttore di due o tre rifugquassù; è stato un perfetto arrampicatore e valentissima guida, ma adesso riserba soltanto agli amici idono della sua compagnia per andar sulle rocce. Ci risposero che era giù in valle per affari. Nel cuore delle Dolomiti 'Allora bevemmo due tazze di lat te freschissimo, sostammo un altro po' a rimirare quella bellezza creata da Dio, e riprendemmo il lentiero. Subito il cammino si fece piùaspro, e cominciai ad appoggiar lmani qua e là per procedere. Il sacco pesava da maledetto, e pensavoavevo sbagliato a metterci den Uro tanta roba. Una saponetta sa rebbe bastata, e non due; eppoi che\ paese di fgndovalle dove scendere' mo. Anche di altri oggetti inutili fa cevo l'inventario, e maledivo l'ora che m'ero caricato di tutto quel pe so. In questi poco allegri pensa- menti giungemmo dove le tracce si dividono: è il bivio, e dà una parte si sale alla Forca di Davòi e dall'altra al Passo Santner. Entrambe le vie portano al Vaiolett, una dal basso e l'altra dall'alto. Io propendevo per la prima, che è meno pericolosa: — Eppoi al Santner troveremo del ghiaccio... Ma chi era con me fu senza pietà. — Vedrai che bello quando sbucheremo lassù — e con questo promettente miraggio m'indusse a pie gare a sinistra. Ormai eravamo entrati tanto den tro la montagna, che non vedevamr attorno a noi che altissime cime, dirupi spietati, colate di ghiaioni che sotto il sole biancheggiavano come saline. Null'altro che pietra formava il mondo entro cui, minuscoli come formiche, indifesi come lattanti, ci muovevamo facendo rotolare dei sassi sotto i nostri piedi. Eravamo soli, e per riconfortarci con la vista d'un pezzo di cielo ci toccava piegare la testa all'indietro, tanto le pareti di roccia si serrano strette attorno alla gola che lentamente risalivamo. Eravamo nel Catinaccio, nel cuore della montagna dolomìtica che tanti poeti, anche quelli da strapazzo che imbrattano i libri dei rifugi, ha ispirato, ma davvero che in quel momento, per via del sacco che si faceva sempre più greve e del fiato che cominciava a mancarmi, non pensavo a riconoscere quel luogo pel leggendario Giardino delle Rose, sebbene per una sassaia erta e odiosa, che non finiva mai. Di tanto in tanto chiedevo la grazia d'un breve alt. Non si può pretendere tanto da chi fa la vita sedentaria della grande città, e gli manca il tempo anche alla festa d'andar cogli amici pei monti. Avevo bel dire: — Lasciate che m'alleni, e poi vedrete! — non ricevevo in cambio che sorrisi d'ironica commiserazione. Sono tanto abituati a questa ginnastica che non mi meraviglierei di vederli andar su di corsa, come altrettanti Beccali, laddove gli escursionisti comuni arrancano sbuffando, gocciolando sudore da ogni poro. Malizioso, io domandavo cos'è questo cos'è quell'altro, ed erano occasioni per altrettante fermate. — Vedi quella fessura che va su di sbieco ? E' la « via Piàz », e a sinistra, ma in parete, c'è pure la « via Schoffenegger ». E' il Catinaccio dal versante ovest, ma pochi ci vengono perchè è lontano dai rifugi. Guarda a sinistra, quest'altra cima bella come un amore. E' la Croda del Re Laurino, quella che vedemmo stamattima da Bolzano, ed era appena una macchia più scura nell'ombra che il sole non aveva ancora fugato dalle valli. Vedessi che bello, quando sullo strapiombo si lasciano andare i piedi... Una sosta più lunga delle altre <* un discreto rifornimento allo stomaco mi consentirono di marciare dì buon'animo l'ultima ora, dì superare alla meno peggio le superstiti difficoltà del cammino, finché mettemmo piede sul Passo Santner, e sotto i miei occhi si spiegò quella meraviglia del Vaiolett che fa rimanere stupefatti e ammiranti. Le torri del Vaiolett Qui ci starebbe bene la descrizio bisogno c'era dell'astuccio completo]per la barba? Lasciala pur crescere, che tela farai radere al primo\Jrcsts, ne d'obbligo, e vi giuro senza falsa'modestia che saprei cavarmela, an-tche se scrittori illustri ne hanno la-\sciato pagine non facilmente dimen-'ticabili. Che il Vaiolett fu il mio primo amore, e non faticherei di si curo a trovare gli accenti più belli per rivestirne il ricordo. Ma dopo ! che le riproducono su tutti i prospct- ' ti delle Agenzie di viaggi e, persino, sulle scatole di cerini, ci vorrebbe, confessiamolo, un certo coraggio a descrivere, nell'anno 1932, le tre Torri del Vaiolett come s'ergono, inverosimili e quasi soprannaturali, sul deserto di ghiaia del Gartl, diritte e nude sull'orlo defla gran fossa, vaporose nel lucore incerto delle albe, fiammeggianti negli accesi tramenti, lìvide e spettrali quando le ombre della terra prendono la loro rivincita sulla luce del giorno. Chi mi onora della sua fiducia mi aveva detto: — Il giornale ha finito di pubblicare la storia delle conquiste dell'uomo sulle Alpi Occidentali. Lei dovrebbe scriverci quella delle Dolomiti, magari recandosi sul posto. Siamo intesi: niente retori ca, niente letteratura. Racconti i fatti, con la massima precisione sì, ma alla buona, senza preziosità, come se ne discorresse a un gruppo ù]sulle vette pei versanti più pazzi, i quelli dinanzi ai quali ristanno pen fsosi gli alpinisti del vecchio stampo, 1 Da troppe parti si parla di questo *sport che dicono il 2>}ù virile e il piùd'amici; i fatti che sono le pietremiliari nelle vicende e nel progresso di questa forma d'alpinismo così di-scussa, negata da alcuni, esaltata dagli altri; ì fatti che hanno il loro posto nella storia e gli altri ai quali giorno per giorno forse assisterà, e cerchi d':-nlerpretarli, perchè ci si possa fare una ragione di questa passione, che dev'essere nobile perchè è pura e disinteressata, che spinge tanti giovani ad affrontar la difficoltà per la difficoltà, salendo Gartl, prima di scendere a questoemozionante di tutti gli altri, perchè non sia interessante occuparsi degli arrampicatori. Vada e riferisca. Io son venuto, e quello che vedrò, che sentirò, che mi descriveranno, che intuirò, racconterò vìa via, a cominciare dal primo capitolo di queta storia meravigliosa che un'ora ^, lassù sul sassoso pianoro delospitale rifugio della Società ^^^nisti Tridentini, ho potuto leggerenciso sul fianco precìpite della tore posta come una scolta all'estremo di quel fantastico castello di rupi.Sarà il ranitnln rTin nrpnrìp nnmpaura u capuoio aie prenae nomeaai giovanetto monachese che orono quarantacinque anni — nel8S7 —, salendo da solo sulla piùalta e più bella delle « tre sorelle » conquistando una vittoria che sol-anto pui tardi fu compresa e valu-ata nel suo eroico significato, spa-anca le porte del più vertiginoso, ,„ . y , ti egno dell'avventura. L'opera e Z'e-empio di George Winkler ebberoffettivamente il valore d'un inizia erchè da essi scaturì lo sport d'arampicamento nel senso moderno; a quel lontano giorno cessò la pace finì il silenzio che per tanti mil enni avevano fasciato le vaste muaglie e le aguzze torri del Trenino; cominciò l'ascesa dei giovani he a questi templi solenni accorono rapiti dalla stessa passione del recursore, avvinti dallo stesso inanto in cui si compendiò la sua bre- 7 ' ' e mia. - VITTORIO VARALE.

Persone citate: Aleardo Fronzadove, Beccali, Dibona, George Winkler, Jori, Sacco, Santner

Luoghi citati: Bolzano, Cortina, Egna