Un campionato e un campione

Un campionato e un campioneL'attualità ciclistica Un campionato e un campione t La disputa del titolo di camnione italiano assoluto su strada costituisce, dal dopo guerra in poi. l'ossa-tura della stagione ciclistica italia- na. Dai 1906 al 1914 la maglia tri-colore era assegnata in base ad una prova unica, che costituiva un epi sodio nel quadro di corse classiche nate in quel periodo, il più fertile di creazioni organizzative, alcune delle quali progressivamente e ininterrottamente affermatesi, altre scomparse dopo non lunga vita, altre, infine, in continuo dibattersi fra alternative di lieta e avversa fortuna. Ripresa dopo guerra la piena attività ciclistica, fu prima cura dei legislatori dell'U.V.I. quella di mutare il sistema di disputa del campionato. Da una parte la ricerca di una formula che desse le maggiori garanzie di assegnare il titolo al migliore durante tutta la stagione, dall'altra il desiderio degli organizzatori meno forti di ottenere per la loro gara una veste che servisse ad assicurare la partecipazione delle Case e dei loro rappresentanti al completo, condussero all'adozione del principio del campionato a prove multiple, che in un primo tempo furono sette (1919-1921), poi diventa rono otto (1922-1926), poi si ridus sero a sei (1927), a tre (1928), ri' salirono a cinque (1929), tornarono a quattro (1930-1931) e infine questo anno furono di nuovo quattro. • Questo ondeggiare del sistema è un po' il riflesso delle mutevoli condizioni dell'industria che fa le maggiori spese delle grandi corse in vista delle possibilità di sfruttamento pubblicitario che esse offrono. Ed ora, finalmente, pare che si sia trovato un equilibrio fra le esigenze sportive e quelle industriali. Comunque, o tre o cinque o otto prove, la formula ha datò sportivamente risultati genuini e assolutamente attendibili, che il libro d'oro del campionato, dal 1919 ad oggi, non porta che tre nomi, quelli degli uomini che in quattordici anni si sono succeduti nell'autentico e indiscusso primato nazionale: Girardengo, Binda e Guerra. E se può sembrare stranezza e contrasto il fatto che nel 1930 c 1932 un uomo, Binda, ha acquistato il diritto di essere considerato ufficialmente il miglior corridore del mondo senza essere il migliore d'Italia, ciò dipende più dalla irrazionalità della formula mondiale che da quella italiana, tanto che è nostra l'iniziativa, finora rimasta senza successo, di assimilare quella a questa, e non viceversa. L'Italia, possiamo dichiararlo forte, è l'unica nazione ciclistica che può dire di aver avuto nel dopo 'merra il suo degno campione. In Belgio, e peggio ancora in Francia, si sono avuti campioni da burla, frutto di un sistema illogico o, come quello francese, addirittura ridicolo. Con ciò non si può dire che il nostro non abbia difetti, che non infirmano la regolarità della selezione, ma talora sminuiscono il contenuto sportivo delle ultime prove. Quest'anno, dopo le prime due delle cinque prove, era già tale il vantaggio di Guerra su Binda che il resto della competizione lasciava adito a ben poco interesse. Per fortuna, in un certo senso, mal valutando la situazione, i due leaders, ritirandosi al Monte Grappa, permisero che Bertoni venisse a riaccendere la contesa, ridandole incertezza. Infatti, dopo la ter-a prova, quella in salita, il varesino era a un punto da Guerra e, se non si fosse sacrificato al suo maestro nel Giro di Toscana, avrebbe potuto essere alla pari. Ancora relativamente aperta si presentava la lotta dopo la prova sul Circuito dei Castelli romani, quando l'indisposizione di Bertoni ha lasciato via libera a Guerra nella Predappio-Roma, ed egli alla fine si è trovato con quasi il doppio di punti di Bertoni, distanziando ancor più nettamente Binda, Giacobbe e Mara. L'ordine e i distacchi in classifica avrebbero, forse, potuto essere diversi (salvo il primato di Guerra) senza certe astensioni, ritiri e obblighi disciplinari, ma, in complesso, si può affermare che la formula, oltre a darci campione l'uomo che effettivamente più si è distinto nella stagione, ha schierato in prima linea i nostri migliori corridori. Il sistema, dunque, ha raggiunto pienamente il suo principale scopo, che è la giusta graduatoria dei valori. Ma esso, per rispondere anche alla sua funzione inquadratrice e animatrice dell'attività nazionale, dovrebbe subire opportune modificazioni, specie nell'ordine e nella distribuzione di calendario, in modo da lasciare per ultime le prove che richiedono alle Case minori spese e ai concorrenti minor specializzazione di preparazione; cosi che sia meno gravoso alle une e agli altri la partecipazione anche quando la situazione in classifica non lasci molte speranze per il titolo. Un ostacolo al più logico e sportivo ordinamento del meccanismo del campionato italiano è senza dubbio la nostra partecipazione al Giro di Francia, che non permette ad alcuni dei pretendenti ai titolo (e ii caso Guerra del 1930 è un'eccezione che conferma la regola) di presentarsi alla immediata prova di campionato nelle necessarie condizioni di forma. Il problema di conciliare le esigenze dell'attività interna con dszeinzstraniere, che giustamente molto sta a cuore al Presidente dell'U.V.I., è uno dei più difficili a risolversi per le interferenze dei riflessi industriali coi punti di vista esclusivamente sportivi. Ma non voglio allargare il tema di queste note,_ che è semplicernerne il quelle della nostra.presenza a gare *n campionato italiano."Guerra ha'con-fermato il titolo in virtù di quellamaggior completezza di mezzi cheogei tutti debbono riconoscergli nei confronti di avversari che o l'hannoormai perduta o ancora non l'hannoacquistata. Egli ha vinto ii Giro di Campania in volata, il Giro di To-scana staccando tutti iu salita (me-no Binda, il quale, però, è giunto al traguardo con maggior distacco di quanto non gliene abbia imposto la foratura subita), si è ritirato nella Treviso-Monte Grappa, è stato bat- tuto in velocità nel Circuito dei Ca- stelli Romani da Mara e Binda, ha vinto come ha voluto la Predappio- sere il giudizio complessivo sul Guer ra del 1932? Ricordo che, dopo il Giro di Toscana, scrissi che avevo Roma, assenti Binda, Bertoni, Ma ra. Cioè Guerra, su cinque corse ne ha vinte tre, una volta è stato terzo e una non è giunto al traguardo. E quest'ultima, senza dubbio, la men bella pagina del suo campionato e a suo tempo non gliene sono stati lesinati gli appunti, come non ho mancato di rilevare la non perfetta regolarità della volata di Frascati ai suoi danni. Dopo questi risultati quale nuò es- veduto un Guerra trasformato, formidabile in salita. Fu trasformazione durevole e vera o piuttosto giornata di buona grazia? Tutte le precedenti e successive gare di Guerra fanno propendere per la seconda ipotesi, che, se un punto debole ancora e ormai si può dire definitivamente, accusa Guerra è appunto la salita. In velocità, sul passo, nel fondo Guerra si è dimostrato, in complesso, superiore a tutti, o per naturali doti fisiche, o per maggior freschez za e più piena maturità. Senza, quindi, affermare, il che non è possibile che per campioni della stessa epoca, una sua superiorità assoluta di classe, si può senza tema di smentita dire che il campione d'Italia del 1932 è pienamente degno della maglia tricolore. GIUSEPPE AMBROSINO s