Il Re consacra a le indomite virtù e l'eroico sacrificio dei soldati d'Italia

Il Re consacra a le indomite virtù e l'eroico sacrificio dei soldati d'Italia («S 13 r v i 2; i o s p R c i a E d E i, i, a «STAMPA ,,)- Asmara, 3 notte. ; VLa città — che soltanto a tarda hnotte aveva sospeso di manifestare il eproprio entusiasmo e la propria gra-, ptitudine al Sovrano per la visita alla fColonia primogenita — ha avuto, Cstamane una sveglia insolitamente mattutina. Nella notte e ai primi bagliori di stamane, il cielo non nascondeva una grave minaccia di pioggia. Nuvole nere contro il cielo opaco, nerissime quando apparvero sovrapposte ai bagliori antelucani, promettevano proprio niente di buono. Ma prima che fosse giorno chiaro un deciso vento da ovest liberò decisamente il cielo da ogni minaccia. . Prima delle sei, la folla, minacciai■se 6 non minacciasse il tempo, si era riversata nelle strade dirigendosi verso le arterie lungo le quali si sapeva doveva passare il corteo delle vetture reali. La moltitudine — me* scolata nelle età, nelle razze, nei gradi sociali, ma unicorde nell'entusiasmo — s'è disposta ai lati del percorso. Si sapeva die l'autocolonna reale sarebbe uscita da Palazzo alle sei. Un'ora prima la piazza prospiciente Vra completamente stipata di folla ^multicolore in attesa di ripetere al Sovrano d'Italia il suo evviva augurale per il viaggio nell'interno della Volonia. La sosta ad Adiquala Esattamente alle sei è uscita la prima macchina: una vettura scoperta nella quale avevano preso posto alcuni ufficiali della Casa militare e civile del Sovrano. Nella seconda vettura, pure scoperta, sedeva Sua Maestà, che vestiva -l'uniforme di cam pagna; nella stessa vettura aveva preso posto il ministro De Bono Via via che il corteo procedeva a velocità ridotta verso la porta meri dionale della città l'applauso che la fotta tributava al Sovrano andava risonando sempre più alto, sempre più diffuso Prima tappa del viaggio odierno era l'importante nodo stradale di Adiquala, uno dei centri più importanti della regione meridionale della Colonia. Lungo i novanta chilometri che separano Adiquala dall'Asmara, il corteo reale non ha attraversato un villaggio, non un gru.ppo di case che non fosse pavesato a festa: archi di trionfo all'entrata di ogni abitato, scritte augurali, bandiere e fiori, ma sopra tutta questa preparazione festosa, dominava altissima la soddisfazione, l'orgoglio, Ve mozione degli indigeni felici di poter vedere il loro « potente Signore », di gridargli nella loro lingua il benvenuto. Così avvenne a Ad Guadàd, poi a Saladaro, più oltre ancora a Scicchet ti e quindi a Debaroà. Quando, dopo una corsa durata tre ore circa lungo la ottima camionabile del sud, il corteo reale è passato sotto il trionfale arco eretto alle porte di Adiquala, la folla degli indigeni ha fatto al Sovrano una dU mostrazione indimenticabile. La cittadina dà forse casa a duemila abitanti: ma oggi almeno ventimila persone si erano raccolte nella località che stava per essere onorata dalla visita del Re. Erano venuti dalle montagne di Amba Harèn, di Fecajè Mbetà, di Aiacullù: i-più lontani erano partiti tre giorni prima dalle loro case; ma oggi, allineati con quelli delle località più vicine, non mostravano il più piccolo segno di stanchezza: forse qualche segno di impazienza mentre l'attesa sembrava lunga, e qualche grido tanto per farsi certi che l'ugola era in efficienza perfetta per il saluto alla voce. Adiugri, posto di confine Insieme alla folla indigena, ma raccolti in gruppi uniformi per co lare delle vesti, erano confraternite religiose appartenenti a varie confessioni: ognuno di questi gruppi di monaci aveva spiegato al vento il suo caratteristico stendardo. La sosta è stata forzatamente breve: le lancette dell'orologio sono inesorabili anche quando l'entusiasmo avrebbe quelle meno rapide: e il programma deve essere rispettato. Dopo aver passato in rivista il presìdio ed avere assistito, dalla sua vettura, alla sfilata delle truppe metropolitane ed indigene, il Sovrano ha ripreso il viaggio trionfale verso sud. Seconda mèta della giornata era la sede commissariale di Adiugri, posta vicina al confine della Colonia. Anche nella lontana località, la folla raccoltasi dai villaggi minori, ha fatto al Sovrano una dimostrazio ne di vibrante entusiasmo: grida di Lfdtps«tsgsrcsncsrcnmgsddplrpvrmMissdtnltVdnlfnff\asaluto in lingua tigrina, striscioni dicarta o di tela sui quali erano stam-paté parole di benvenuto, strumenti musicali che, pure primitivi, sapeva-no mettere insieme suoni marziali. Quando il corteo si è fermato di fronte alla residenza commissariale,li conte Dalla Porta, regio commis-sario, accompagnato dalle notabilitàtici luogo si è fatto incontro alla vet-tura nella quale aveva preso posto ilbratto, che ascoltò dà essi un indi-rizzo di omaggio. Re Vittorio e scesoquindi dalla macchina ed ha passatoin rivista la compagnia d'onore: sitrattava di un reparto di formazionetrattava ai UH rCTiariO ai r07-7«(13JOrtteom^stodii w«plotone della *W» Volontaria e di due di Ascari. Il Re li ha ammirato ed ha ripetutamente espresso a S. E. De Bono il suo com piacimento per la compostezza per fetta e il marziale portamento delle Camicie Nere e delle Fascie Rosse. à a e è o i e i a a e o è e e e e o a a i, a i, i Le truppe hanno quindi sfilato di fronte al Re, mentre la folla applaudiva freneticamente. Finita la sfilata, un reparto di meharisti ha compiuto una brillante « fantasia » : lo spettacolo guerresco offerto dagli « scorridori del deserto » è stato integrato da canti e danze folkloristiche. Alle dieci il Sovrano e il suo seguito hanno preso nuovamente posto sulle vetture della colonna reale e, rifacendo una parte della strada percorsa poche ore prima, hanno assistito un'altra volta alle dimostrazioni che in ogni villaggio, a ogni incro» ciò di mulattiera, gli indigeni si consideravano fortunati di poter ripetere al « loro » Re. Tra i superstiti di Adua Raggiunta di nuovo Adiquala, il corteo reale ha imboccato la camionabile verso Adua: dopo un'ora e mezza dì viaggio le vetture sono giunte al ciglione di Sraconaad. Qui mlztsnmnctcpmòmzgcpntlvmindsorge il monumento-ossario ai cadutPdi Adua, qui si è svolta, oggi, una delle più solenni manifestazioni comprese nel programma del viaggio reale, qui si è avuto oggi la prova chiarissima dell'attaccamento che le popolazioni indigene hanno per il Sovrano che personifica la nuova Italia. Ai lati del monumento erano schierati un battaglione al comando del maggiore Turitto, un manipolo della Milizia, uno squadrone di cavalleria indigena. Dopo aver passato in rivista il fronte degli armati, Sua Maestà si è avvicinato al gruppo dei reduci della battaglia di Adua, e si è trattenuto affabilmente con ciascuno di essi, chiedendo a ognuno a quale reparto aveva appartenuto durante le giornate di lotta e a quale parte dell' azione avevano partecipato. Visibilmente commossi, i veterani della prima guerra di conquista coloniale, rispondevano all'augusto interlocutore illustrando minutamente ^.fasi delle azioni in cui avevano coni-] battuto. Vicino al gruppo dei reduci italiani, v'erano i mutilati e i decorati al valore della Colonia. Con questi indigeni che all'Italia hanno dato il proprio sangue e con quelli che sui campi di Libia diedero prova di insolito coràggio, il Re si è mostrato particolarmente affabile^ Particolarmente toccante è la storia e lo stoicismo dei mutilati eritrei: fatti prigionieri nella regione di Seraè e ad Adua, Menelik ordinò che fosse amputato loro il braccio destro a la gamba sinistra in punizione di \aver combattuto nelle file italiane. Oggi, questi uomini, vissuti per trent'anni col peso della terribile mutilazione, hanno avuto un premio ambitissimo: il Re ha incaricato il ministro De Bono di esprimere ai mutilati indigeni la sua ammirazione per quei valorosissimi e fedelissimi soldati e la riconoscenza sovrana per i servigi resi all'Italia. Un vecchio mutilato, cui V entusiasmo aveva fatto dimenticare le istruzioni avute, non ha potuto trat spmfetterò nel cuore quello che la swalanima gli diceva, e, rompendo ogni consegna, ha fatto un passo avanti gridando in lingua tigrina al Re: « Polente Signore, avrai la nostra riconoscenza fino alla nostra morte; ma sapremo anche insegnare ai nostri discendenti quella riconoscenza che oggi ti gridiamo ». Il Re, vivamente commosso per la schiettezza del vecchio soldato, ha voluto che a questi fosse ripetuto il suo particolare compiacimento per le parole che aveva detto. Subito dopo questo episodio, ha avuto luogo la cerimonia dell'inaugurazione e della benedizione del mo numento-ossarìo, dove sono ora de finitivamente e degnamente raccolti i resti gloriosi dei caduti nella batta glia del l.o marzo 1896. La benedizione fu impartita, fra la evidente commozione dei presentì, e mentre i sacerdoti metropolitani e indigeni recitavano preghiere, dal Vicario apostolico, monsignor Cattaneo. S. M. il Re ha deposto una corona di bronzo ai piedi del monumento, che eleva l'alto obelisco verso lo sfondo delle lontane catene montagnose sacre alla memoria degli italiani. II ritorno Compiuto il rito religioso, il colon-we7/o Cubeddu, comandante delle i\ truppe schierate di fronte al Re, pro-\nunciò un discorso esaltando l'eroii smo dei soldati d'Italia. Il Re, dopo -aver sostato in raccoglimento dìfron I te al monumento, volle compiere una di minuta visita all'opera stessa. I pare,' ticolari gli sono stati via via illustras-, ti dal Governatore della Colonia: à compiuta la visita il Sovrano ha vot- luto esprimere il proprio compiaci-il mento al progettista, maggiore Mar-i- ziguerra.eeon l'esecutore dei lavori.oUenente Negro. o] Nel frattempo le truppe avevanosi compiuto l'ammassamento per la sfi-ne\lata in parata, che si è svolta in modortt-|«<-"* f<*' ■»"*, VJ»V »• »»»■«» »• «»<^i<."W»\trt*& Ófclfl di Imiare la loca- lità il Re si è congratulato con il co- e o i mandante delle truppe, chiedendo a lui e al Governatore minute informazioni sulla zona. Poco prima di mezzogiorno le autovetture reali hanno di nuovo ripre so la formazione di colonna e si so no avviate verso Sraconaad. Al mo mento della partenza la folla indige SgAnc-!"sì pqna, che dai villaggi vicini si era rac-j ncolta intorno al monumento e duran-- Pte tutta la cerimonia aveva assistito]l~„~.t„i4 7 .-.„ vcon compostezza perfetta al rito, improvvisò al Sovrano una delirante manifestazione utSraconaad, nel viaggio di ritorno,, ò attraversata pochi minuti prima di mezzogiorno. Fra ripetute manifestazioni degli indigeni, Adiugri era raggiunta dopo altri tre quarti d'ora dì corsa. Qui per il Sovrano era stata preparata la colazione, che per suo ordine è stata servita nella sala e alla tavola degli ufficiali del presidio. Alle dice e trenta del pomeriggio il Sovrano ripartiva alla volta dell'Asmara. Qui, la folla che ne attendeva il ritorno per le diciassette, si era di nuovo disposta lungo le strade che dovevano essere percorse dal corteo P™%'™ t^™;?1™*™™' a . l a a è . i ^.q^i!,6 dePern ìf. -] ■ — ' Latta l o : e o i . r i e se possibile, ancora più calda, ancora più entusiastica, ancora più vibrante di quelle di ieri e di stamane. A. MORELLI. Cinquanf anoi ài storia La storia dell'Eritrea è quanto mai drammatica e rispecchia tutte le alternative di speranze e di rinuncio, di audacie e di errori della stona della Metropoli nel periodo intercorso fra il trattato di Berlino e la vigilia della gran guerra. Storia che messa al confronto con quella delle altre conquiste europee in Africa, risulta senza dubbio la più densa di grand; eventi, la più sanguinosa, ma anche la più felice per la creazione del sentimento patrio italo-eritreo peculiare negli indigeni che l'abitano. Sotto Menelic lo Scioa aveva esteso le sue frontiere al sud sottomissione dei e la conquista di Harrar, quando l'impero egiziano si sfasciò. Il giovane sovrano meridionale cercava di entrare in relazione con gli europei soprattutto per accaparrarsi armi da fuoco. L'Italia allora, disillusa nelle sue legittime aspirazioni sulla Tunisia e sull'Egitto, cercava di stabilirsi su qualche altra riva africana. I nostri reggitori non intuirono il maggior valore economico di alcuni territori dell'Africa occidentale, divenuti poi floridissime co> Ionie e preferirono ascoltare il consiglio dell'Inghilterra che contava servirsi dell'Italia per una diversione verso il Sudan. Il Trattato di Ucctall tgMenelic acquistando su di lui inalfluenza grandissima. Il terreno era i i : ; a aa a oe a uo e ti a ie e ni o a o, o aan- Così parecchi esploratori italiani furono inviati sulle coste del Mar Rosso. Alcuni vi perirono massacrati dai selvaggi dancali (Giulietti, Bianchi, Porro). 11 marchese Anti-1nori ebbe maggior fortuna. Venne'accolto da Menelic, visse parecchi Ianni presso di lui, stabilendo rap- porti cordiali fra il Negus dello Scioa e il governo italiano. Morto!Antinori, il conte Antonelli divenne il rappresentante dell'Italia presso jstato così ben preparato. Gli italiani stabilirono una prima colonia ad Assab nel 1882. Tre anni dopo, l'anno della presa di Cartum per parte del Madhi, l'Inghilterra na- drona dell'Egitto ci spinse a pren-dere Massaua da dove fu ritirata le oipo nna raa: oci- l'atto consentito da Menelic nel pier-\ no esercizio della sua indipendenza la guarnigione egiziana Alle spalle di Massaua cercammo terre più elevate e più sane ma urtammo contro l'ostilità del Negus Joannes. Una nostra colonna fu massacrata a Dogali. Quest'incidente ci condusse a rafforzare i nostri rapporti con Menelic c cercammo di sfruttare le sue ostili disposizioni nei riguardi del Negus Joannes. La morte di quest'ultimo ci parve vantaggiosa per i nostri interessi, continuammo le ostilità contro suo figlio, il Ras Mangascià, per il profitto di Menelic che incoraggiammo ad insignirsi del titolo di Negus Neghesti, e con il quale il 22 marzo 1889 concludemmo il trattato di Uccialli. Il patto riconosceva Menelic re dei re d'Etiopia, dava alla colonia il limite del Mareb e del Belesa-Muna, alla frontiera nord del Tigre, e per l'articolo 17 stabiliva che il Negus Neghesti si dovesse servire dell'Italia per le relazioni che avrebbe potuto stabilire con altre Potenze. La formula sembrava aver posto il protettorato italiano sull'Etiopia, benché fosse concepita in termini discutibili: Menelic la lasciò passare perchè necessitava del concorso dell'Italia contro Ras Mangascià, aven do molto da temere da un'alleanza fra noi ed il suo rivale. L'11 ottobre 1889 l'Italia notificava alle Potenze l'articolo 17 presentandolo come l'affermazione del suo protettorato sullEtiopia. Tutte, salvo la Russia, presero atto della notificazione. D'allora l'Italia cercò di profittare delle conseguenze del ri.* ^^^^^J1^^. : to di Uccialli nof avremmo potuto,no accorc]andoci con lui, tenere in iscac-fi- co ji re dello Scioa e dominare l'unodo c l'altro. Credemmo invece di raf-<." c lailIU. wcuciuiuu mveto ui mi-a-' forzarci aumentando la potenza del MPA ,,)sSS ^n TInd4= %^n9l»gascia Cheren il 2 giugno 1889,jwAsmara nemmo capi principali, Ras Sebat, e mlnac-i "amm0, ,Ma,n&a.scl£ alleJlontllr„!!qci\ 41 o „s7,„„« loon "L.CnVuJl^ Ì™fn?„ ^nl' vara il 3 agosto seguente,. otte:!dmo> defezione di uno dei suoi,tstesse del Tigre. Occupammo anzi per un momento Adua, capitale di quel regno, il 2 febbraio 1890. nato^delta nostra conquista africa- 1,sD allora s inizio il periodo fortu-!p Pa" ci stabilimmo al Benadir e nel la Somalia del nord e nel 1891 eon venimmo con llnghilterra ì limiti di Inghilterra un'immensa zona d'influenza cioè tutto 1' « hinterland » del Continente fra Suakim e la foce del Giuba con il diritto di occupare Cassala, impegnandoci da questa parte a secondare la campagna inglese contro i madhisti. Fummo un ausilio potente. Il 22 dicembre 1893 Arimondi strappava ai dervis Agordat, il 7 luglio 1894 Baratieri conquistava Cassala. Era il primo scacco veramente grave subito dai madhisti, gli inglesi giudicarono venuto il momento di profittarne e si disposero per l'offensiva verso Cartum, nove anni dopo averla perduta. II dissidio con Menelic Così l'Italia possedeva nell'Africa orientale, salvo le brevi coste occupate dai francesi ad Obok e dagli inglesi nel golfo di Aden, un magnifico impero coloniale sul' Mar Rosso e sull'Oceano Indiano, con alcune ottime linee di penetrazione verso l'interno. Francesco Crispi poteva vantarsi di aver reso al suo Paese gli stessi servizi che Jules Ferry aveva reso alla Francia con l'occupazione della Tunisia e del Tonchino. Ma gravi difficoltà erano sorte con Menelic. Mangascià battuto da noi si riconciliò con il Negus e ne riconobbe la sovranità: era "del resto l'unico mezzo per conservare una parte dell'eredità paterna. D'allora Menelic fu il padrone ir contrastato dell'inlcrA Etiopia. Si fece coronare solennemente ad Entotto sua nuova capitale e trovandosi alla testa di truppe numerose e bene armate si sentì poco» disposto a sopportare il protettorato dell'Italia, non avendone più bisogno. Cominciò con il partecipare direttamente alle Potenze il suo avvento al trono. Inghilterra e Gei-mania risposero che la comunicazione doveva essere fatta dall'Italia. Menelic protestò e precisando il senso che in lingua amharica attribuiva all'articolo 17 aggiunse « che poteva bensì servirsi dell'Italia come intermediaria con l'Europa, ma non vi consentiva per tutti gli affari ». Crispi non ammise cotesta interpretazione soprattutto perchè voleva allontanare dall'Etiopia l'influenza francese la quale da Obok aveva già stabilito con Menelic fruttifere relazioni e quella russa che mirava ad istituire in Etiopia una specie di prò. tettorato religioso. Antonelli venne inviato nuovamente presso il Negus ma questi esigeva la soppressione pura c semplice del trattato di Ucdalli. Lo denunciò infatti l'il maggio 1893 affermando che « non voleva restare spettatore indifferente della divisione dell'Africa per parte dei popoli cristiani essendo stata l'EtiO' pia per quattordici secoli un'isola ttmavsldfs1 cristiana nel mare pagano che la cir'conda ». L'Italia allora si decise ai Ila guerra e ne affidò la direzione ai l'irredento Baratieri, con ventimila uomini circa. Dapprincipio Baratieri !non ebbe dinanzi che le truppe di ! Mangascià e impose al Ras di licen jziare l'esercito che teneva concentrato sul Mareb. Mangascià rifiutò e gli italiani in una brillante campagna lo sconfissero il 13 gennaio 1895 a Coatit, il 17 a Senafè, entrarono il 25 marzo nella fortezza di Adigrat e si spinsero con l'occu pazione sino a . j dell'Alagi verso il lago Ascianghi. i nella direzione dello Scioa, girandoMacallè e al valicos u i i i a o o i , r s a e a l , a ò il Goggiam per la cresta delle montagne. In questa guisa tutto il Tigre cadeva in nostro potere. Nell'estate successiva Baratieri veniva in Italia compiendovi un giro trionfale per ritornare in colonia con nuove truppe. Intanto Menelic guidava una spedizione nel paese, dei Galla e razziava le regioni meridionali sino ai primi laghi equatoriali con uno spaventoso macello. Ritornato ad Entotto sicuro che la disfatta di Mangascià sarebbe stata l'arra migliore della sua fedeltà futura, chiamo tutti i capi etiopici alla grande assemblea di Borumieda. Quivi riaffermò la sua assoluta indipendenza proclamando che avrebbe « respinto con le armi gli italiani: colui che ne ha la forza mi accompagni, chi non l'ha preghi per noi ». All'inizio del dicembre 1895 l'esercito abissino, forte di 150 mila armati con l'artiglieria fornita dai francesi e comandata dal capitano Clochette, venne a contatto con la avanguardia italiana stabilita al colle di Alagi, a 250 km. dal Marebdove la colonna Toselli cercò di arrestarlo sacrificandosi epicamenteLa vicenda è nota : i soldati italian^.^ furono eroici. La pace fu conclusa i26 ottobre '96.11 Trattato di Ucciallera abolito. Veniva riconosciuta l'indipendenza dell'Etiopia, ma la frontiera dell'Eritrea era mantenuta lungo la linea Mareb-Belesa-MunaLa situazione rispettiva dell'Italia e dell'Etiopia si trovava così nettamente stabilita: noi mantenevamo sulla costa del Mar Rosso delle buone posizioni e una discreta linea dpenetrazione verso il Sudan in direzione di Cassala, che era ceduta aglo, -, o viso, accresciutasi per ineluttabil- necessità della situazione, spinta eLa fiorente Colonia L'Eritrea quindi, nata all'improv- imcssnua v*>...i» ufuiu.el rispspinta. da. fenfcBfe opposte, giù Il Re consacra ad Adua le indomite virtù e l'eroico sacrificio dei soldati d'Italia dicata per impressione e non per equo.esame, negletta e lasciata impreparata nei momenti di calma favorevoli all'applicazione degli insegnamenti forniti dalla esperienza, punto o tardivamente sorretta nei suoi bisogni, soggetta alla convulsa mutabilità parlamentare della metropoli, arma per i partiti più che istituzione nazionale, sbalestrata in avventurose ed inopportune guerre senza la necessaria preparazione, l»tfcaSdSf adbabUanaoflnaoCCea jwnT10 Annn ,„ m,„—, ;„ „„„ i Ma succeduto al governo militare !quello civile di Ferdinando Martini, che durò dieci anni (dal 1897 al "uca ai aDDanaono e ai quieti; venne d°Do la guerra ridotta in !dizii iu pl.e^arie di quelle il ,trovava^ alpsuo nagcer£u conin cui 1907) e distrutta dal geniale e cau ,stico uomo di lettere e di Stato ogni !possibilita di confiitto fra noi e 1% r tiopia, l'Eritrea s'incamminò risolutamente verso un effettivo risorgimento che da più di un trentennio a questa parte non ha subito sosta veruna. A parte i progressi immensi realizzati sul territorio della Colonia che ne hanno fatto, dal punto di vista amministrativo, stradale, ferroviario e di sfruttamento delle sue molteplici risorse, un vero modello; a parte l'irradiamento sempre più concreto delle nostre influenze morali ed economiche in Arabia c nel Sudan attuate dal Governo Fascista e infine a parte pure la ricostruzione di Massaua semidistrutta dal terremoto del 1921, sta il fatto che quantunque l'Etiopia abbia intrapreso contro di noi una grossa guerra per il possesso e la difesa del Tigre, questa grandissima provincia appendice del nostro territorio coloniale, che integra il territorio stesso e ne determina la potenzialità economica e l'avvenire politico, è da lungo tempo uscita dall'attività generale dell'impero etiopico. A. C.