Il Re accolto trionfalmente in Eritrea

Il Re accolto trionfalmente in Eritrea Il Re accolto trionfalmente in Eritrea Il festoso saluto di Massaua e il commovente omaggio ai Caduti di Dogali - Il viaggio in treno e l'arrivo ad Asmara - Il corteo sotto una pioggia di fiori e tra due interminabili ali di folla pittoresca ed entusiasta (Servigio speciale -della 66 Sta. xxx tx 99 ) ASMARA, 2 notte. La nave Savoia, dopo aver avvistati nella notte i lampi ininterrotti di Difneì, il maggior faro italiano nel Mar Rosso sull'estrema isoletta nordica del piatto arcipelago delle DaIhac sfilando per molte ore nel canale fra le perlifere innumerevoli isole e la costa, al rombo delle salve è entrata nel porto. Il mattino è accecante di luce. Massaua, sulla sua isola che la diga congiunge al continente, fra le agglomerazioni minori di Archico e Moncullo, risplende abbacinante di candore. La città appare tutta nuova, come fosse sorta per incanto nella notte. E la notte, nella calma assoluta degli elementi che caratterizza il principio del ■ l'autunno eritreo, ha visto i suoi abitanti arabi, dancali e dell'altipiano, vegliare negli ultimi febbrili preparativi per ricevere degnamente il Re che viene dal mare. Non è facile immaginare gli splendori delle notti massauine, i fenomeni delle fosforescenze delle acque che la circondano sono forse unici al mondo, il semplice procedere d'una \arca accende scie e cascate fanta-. etiche di luci; ma anche durante il giorno Massaua è infinitamente seducente, sullo sfondo delle altissime catene dell'altipiano che si drizzano a meno di quaranta chilometri. L'evento Tutti gli italiani che conoscono Massaua proveranno con gli occhi del pensiero a ricostruire il magnifico quadro dell'arrivo reale, ma anche coloro che non l'hanno mai veduta sentono che l'evento è pieno di presagio: Vittorio Emanuele III è il primo Sovrano d'una grande Potenza europea che sbarca sulla costa del Mar Rosso meridionale, avendo percorso quasi la metà della strada dal Canale di Suez alle Indie, per dare con la sua augusta presenza, aliai celebrazione del cinquantenario della Colonia primogenita, il crisma della sua unione indissolubile con la Madre patria, per rendere un altissimo omaggio alla sua fedeltà provata dal copioso sangue versato dai suoi figli nelle guerre con l'Etiopia e nelle campagne somatiche e libiche. Se il Re non arriva a Massaua nel periodo meno torrido che principia a metà novembre per durare sino a marzo, vi giunge nella stagione particolarmente propizia per visitare l'altipiano — la parte più vasta e popolata dell'Eritrea — nel massimo splendore. Le grandi pioggie sono finite da qualche settimana soltanto e tutta la Colonia è ammantata di verde. E percorrerla ora significa non solo raccogliere visioni di paesaggi d'insuperabile e grandiosa bellezza, ma assistere al suo risorgimento commerciale dopo il lungo letargo delle pioggie equinoziali che convertono i pascoli in sterminati acquitrini, interrompono le comunicazioni carovaniere con l'Abissinia, e rendono insuperabili anche i corsi d'acqua minori. Il popolo eritreo, come quello abissino, è composto degli irrequieti e permanenti viaggiatori soprattutto pedestri dell'altipiano. Costretti all'immobilità dai diluvi fra giugno e settembre, riprendono ora la loro vera vita assorta principalmente negli scambi attraverso il confine fra Eritrea e Tigre. Si rianimano i mercati e le rapide carovane di muletti capitanate dai « nagadi » partono dall'Asmara, da Cheren, da Agordat, da Barentù, dai centri minori, per portare sino nel cuore d'Etiopia, nell'Yeggiu, nel paese dei Wollo e Gondar, i manufatti italiani, mentre le carovane abissine arrivano nel nostro territorio cariche di pelli e di caffè. La visita del Sovrano era attesissima; l'aspettativa in questi ultimi giorni è stata veramente febbrile : la colonia attendeva quest'ora per dimostrare al suo Re tutta la devozione e la provata fedeltà che fanno dell'Eritrea una terra perfettamente italiana. Massaua Alle ore 6 Z'yacht reale, che era scortato dai caccia Zeno e Pancaldo, ha attraccato alla banchina salutato dalle salve regolamentari del cacciatorpediniere Azio. L'entusiasmo dei metropolitani e degli indigeni non ha più freno; prima che il Sovrano salga sul ponte per ammirare il magnifico spettacolo che si offre al suo sguardo, la folla urla la sua fede e la sua passione. Salgono a bordo il Governatore Astuto, il comandante delle truppe colonnello Cubeddu, il comandante delle forze navali, capitano di corvetta Bizzarri c altre personalità. S. E. Astuto porge al Sovrano il benvenuto esprimendogli la soddisfazione e la gioia della colonia per la visita che premia una lunga consuetudine di fedeltà e di amore. Quindi il Re, accompagnato dal Ministro delle Colonie De Bono, dal generale Asinari di Bernezzo, dal Ministro della Redi Casa Mattióli-Pasqualini e dalle altre personalità del seguito scende a terra mentre le navi sparano ventun colpi di cannone e le fanfare intonano la Marcia Reale. Il Re passa lungo la banchina sul fronte degli edifici principali della città ricevendo il saluto delirante della folla indigena assiepata dietro i cordoni degli « zaptiè » e delle truppe indigene e dall'altra che gremisce le terrazze. Massaua è un lembo d'Oriente italianizzato ma autentico, anzi è moralmente la sorella marina delle leggendarie città arabe della prospicente costa dell'Yemen. La sua società indigena migliore, i suoi notabili dediti interamente al commercio, vengono dalla turrita Saana e molti sono imparentati alle famiglie più cospicue dell'altipiano yemenitico, quelle che originando dai discendenti del Profeta hanno espresso dal loro seno sultani ed emiri. La tradizione isZamica quindi predomina a Massaua assoluta e lo si vede subito anche dall'aspetto esteriore delle costruzioni private più insigni, dalle finestre munite di fitte « mussaràbià », dietro le quali si cela il mistero di superstiti harem. L'arrivo del Re ha gettato gli harem sulle terrazze con tutta la popolazione femminile musulmana cui la promiscuità della strada è preclusa. Sono lassù le belle arabe di Massaua che aspettano ansiose di veder passare il Re fra una profusione di sete multicolori, di ombrellini gialli, bianchi, scarlatti; mentre le popolane eritree, le assaortine dagli occhi di fuoco, la dancale modellate come statue di bronzo e dalle dentature splendenti come file di perle delle Dalhac, le asmarine dall'enorme capellatura arricciata, drappeggiate nell'ampia e candida tonaca orlata di rosso, occupano la strada. II grido delle : donne Il Re mentre avanza nel cuore del suo popolo d'oltremare, è colpito da uno strano, concorde, acutissimo grido che si prolunga instancabile con una serie infinita di «li, li, li, li, li... » Sovrasta ogni altra voce della folla, copre il suono delle musiche e la voce del cannone, si leva dominatore nella luce incendiaria che avvòlge Massaua. E' il grido delle donne indigene, siano esse « uizerò » (signore) o plebee, è il veemento tributo vocale con cui esse accompagnano tutte le manifestazioni collettive di gioia alle quali intervengono. Lo intese Arimondi il giorno che rientrò all'Asmara alla testa delle settanta ba/ndiere strappate ai madhisti nella battaglia vittoriosa di Agordat, lo udirono i Governatori in visita solenne attraverso l'altipiano, lo ode oggi intensificato al diapason massimo il Re d'Italia. Vittorio Emanuele ha raggiunto il bel palazzo ad arcate del Governatore il quale, benché rinnovato ed ingrandito, è ancora il medesimo dell'antica dominazione egiziana, lo stesso che accolse da Saletta a Baldissera i capi militari della Colonia durante la lunga lotta con l'Abissinia. L'ora del ricevimento solenne trascorre rapida. Passano dinanzi al Re i gravi notabili massauini dalle seriche vesti madreperlacee e dagli enormi turbanti. Fra di loro spicca qualche venerabile figura dalla fluente barba biblica che ebbe l'onore dì stringere la mano ai personaggi oramai leggendari che nella guerra e nella pace rappresentarono l'Italia in Eritrea. Ecco il figlio del famoso negoziante di perle che dopo Adua mise a disposizione di Baldissera la sua ricca fortuna e quella della comunità araba di Massaua per proseguire la guerra. Ecco un gruppo di altri arabi che nel 1912, al tempo della lotta con la Turchia sullo scacchiere dell'Arabia Petrea, furono i validi intermediarti fra la nostra flotta (avevamo allora nel Mar Rosso quattordici unità impegnate in azioni lungo la costa di Hodéida e Moca) e le forze di Saied Idriss insorto con il nostro aiuto contro gli eserciti osmanlici néll'Assir e nell'Yemen. Il Re si intrattiene col direttorio del Fascio locale, con i rappresentanti ufficiali della colonia e con i notabili indigeni e riceve l'omaggio della scerìffa Alauja, diretta discen dente dal Profeta. Poi consegna alcune onorificenze ai capi arabi. A Dogali Alle 8 Vittorio Emanuele sale in automobile e si reca a Dogali, ove sorge il monumento ai Caduti del 26 gennaio 1887. Il Sovrano, dopo pochi istanti di raccoglimento, tra la l'iva commozione dei presenti, depone una corona di bronzo alla base del monumento. La località è arida, torrida e e piftrosa. Vittorio Emanuele è visibilmente commosso. Dogati è stato il primo grande dolore per il suo cuo¬ re di soldato! Egli aveva 17 anni quando in ogni casa d'Italia si spargeva la figurazione tragica e pur esaltante di De Cristoforis ferito a morte che in mezzo all'esiguo gruppo di coloro che soggiaceranno per ultimi comanda di presentare le armi ai Caduti! Risuonano le note della « marcia al campo » che salutano alla presenza del Re gli eroi antichi, tutta l'epopea della Colonia Eritrea frema nell'animo del Re, con l'eco delle canzoni a volte trionfanti, a volte dubitose, a volta sconsolate, che echeggiano da un capo all'altro della penisola! O canzoni africane della giovinezza del Principe di Napoli, traducenti la passione del popolo italiano per il suo primo tentativo imperiale, il Re vittorioso dell'impero d'Absburgo, il Re dell'Italia fascista non vi ha dimenticato! Canzoni del sacrificio di Dogali, canzoni della presa di Cassala, canzoni degli alpini di Afenini ,dei soldati di Tosellì e di Galliano nelle forre delle grandi ambe tigrine!... La vera Eritrea L'automobile del Re, seguita dal corteo delle altre vetture del seguito, si avvia verso Ghinda. Qui giunto, il Re è fatto segno a entusiastiche accoglienze da parte degli operai della ferrovia e degli indigeni. Si fa colazione a Nefasit; poi il Re e il seguito prendono posto nel treno reale che li conduce ad Asmara. Il paesaggio è completamente cambiato. La grande alpe marginale incombe, i villaggi sorgono numerosi e seminascosti dalle euforbie candelabro e dai colossali ulivi selvatici. I merli metallici modulano fra le ombrelle delle mimose il loro singolare gorgeggio ferrigno. L'aria è tiepida e fragrante e dovunque, sui contrafforti che circondano Ghinda, profumano foreste di gelsomini. L'alito costiero arriva ancora con lievi carezze di caldo. Stanotte la montagna si coprirà tutta di fuochi di gioia accesi dai pastori ed echeggierà degli schiocchi delle loro lunghe fruste, violenti e rapidi come fucilerie. La vera Eritrea incomincia. TI lembo del manto di Arabia gettato sulla costa è lontano; il profumo del la mirra degli accampamenti dancali, laggiù nel deserto che si prolunga sino alla nera Assab, fra i desolati vulcani spenti che la circondano è svanito. Ecco le folle eritree avvolte nelle loro cappe di lana, drappeggiate negli sciamma fasciati di rosso. Ma il treno è impaziente di raggiungere il ciglione dell'altipiano e sale, sale mentre le poderose locomotive di montagna poste in testa ed in coda del convoglio sbuffano faticosamente. Al colle dell'Ebcà è visibile una gran parte della linea, là dove le opere d'arte, viadotti e gallerie, sono più numerosi. Il Re manifesta la sua ammirazione per la complessità, le difficoltà e l'ardimento della ferrovia, la più ardua fra tutte le ferrovie africane che dalla costa adducono all'interno. Qualcuno ricorda al Sovrano le caratteristiche dell'opera magistrale che comprende fra Ghinda ed Asmara dieci viadotti, ventisei gallerie, quattro serbatoi e quattro stazioni, con una pendenza massima che è quasi sempre costante del trentacinque per cento. Gli innumerevoli monaci del convento del Bizen, appollaiato sull'alto della vicina montagna omonima, son scesi al pianoro di Nefasit per rende re omaggio al Re. Il Bizen è il più celebre convento copto non solo dell'Eritrea ma dell'intera Etiopia. Vi vivono parecchie centinaia di religiosi in una condizione simile a quella dei monaci greco-scismatici del monte Athos, dai neofiti giovinetti ai vecchi stiliti che non si cibano che di erbe e di cavallette, confinati su roccie inaccessibili, passando per i depositari più autorevoli dello scibile copto, cioè i compilatori dei grandi libri manoscritti su cartapecora che fanno da messali nelle « debra » (chiese) eritree ed abissine. I monaci, con alla testa il loro Priore, scesero in corpo l'ultima volta dalla montagna mezzo secolo fa per prosternarsi dinanzi a Re Giovanni « santo ed eroe ». (Aveva compreso d'essere stato vinto dalla astuzia di Menelic e per questo andò a finir la vita a Metemma, contro la furia dei dcrvis dopo aver compiuto la missione storica di cercare di opporsi alla conquista europea, cioè nostra). Scenderanno oggi, i « oizeniti » salmodianti e coperti dai loro paramenti smaglianti, brandendo le enonni croci argentee, eseguiranno la danza di Sanile dinanzi all'Arca Santa, per suscitare dinanzi a Vittorio Emanuele uno degli aspetti più suggestivi della vecchia Etiopia cristiana, rimasto bnmutato attraverso i secoli, quello religioso. II treno reale, raggiunto il ciglio dell'altipiano, scende alcun poco per arrestarsi alla stazione d'Asmara. j ' Tuona di nuovo il cannone dal forte Bàldissera, che dalla più alta collina domina la distesa dei tetti di lamiera della capitate eritrea. Poiché Asmara, come tutti sanno, non è, a cagione della sua grande altezza (2350 m.) una città tropicale, ma un gradito soggiorno dóve fioriscono perenni le rose e dove vivono parecchie migliaia di italiani. Attraverso quarantadue anni di occupazione, Asmara, sull'altipiano, è diventata un emporio completo'e'.^raffinato di tutte le attività nostre e '■ la vita che vi si trascorre non. è molto dissimile oramai da quella di qualunque centro importante .dèlia metropoli. Tutta la popolazione è per le strade. Alle 14 precise il treno si jerma in stazione.. Le mùsiche e le voci degli uomini osannano al Re che è ri¬ cevuto dal Segretario Federale Console Pucci, dal Vicario apostolico mons. Cattaneo, dal vescovo cattolico indigeno mons. Chidanè, dal Segretario generale comm. Sammurco, dai funzionari e dagli ufficiali. Quando il Sovrano esce dalla stazione e sale in automobile, la folla prorompe in deliranti applausi. Il corteo reale attraversa la capitale tra un continuo getto di fiori, recandosi al Palazzo del Governo. Qui il Sovrano riceve omaggi floreali dalle organizzazioni giovanili fasciste. Episodi commoventi si svolgono lungo lo scalone, attorno al Re. Gli indigeni rompono i cordoni di truppe e si stringono attorno al Sovrano per testimoniargli la loro gratitudine e la loro devozione. Alle 17 il Re, mentre fuori ancora non è terminato lo spettacolo della fólla acclamante, ha ricevuto le alte personalità della Colonia. A sera v'è stato un pranzo di gala e dopo, al campo sportivo, il Re ha assistito alla fiaccolata. Lo sfavillante e chiassoso corteggio di ascari, preceduto dai tamburi, è passato davanti al palco reale proiettando allegramente, roteando le fiaccole e riempiendo l'aria di canti di gioia e di omaggio verso Sua Maestà e il Ministro De Bono. La città ha un aspetto insolito: ovunque sfolgorio di luci, bandiere, arazzi. Domani il Sovrano si recherà a Quàla per la inaugurazione dell'Ossario ai Caduti di Adua. A. MORELLI.