Torino di ieri e di oggi

Torino di ieri e di oggi Le città italiane dopo dieci anni di Regime fascista Torino di ieri e di oggi Quei torinesi che, nati sul finir del secolo, partiti per la grande guerra ragazzi di vent'anni. lasciarono il grigioverde fatti uomini dalla trincea, al loro ritorno rividero fabm. . . _ nTorino come due lustri innanzi l'a-lrveva vista il poeta dei semitoni sen-jstimentali, l'ironista' un po' stanco della modestia borghese ottocentesca. Da Palazzo Madama al Valentino la rividero « come una stampa antica bavarese » ; e anch'essi, con il poeta, dissero : « E' questa l'ora vera di Torino ». Avevano patito quaranta e più mesi. Nella tenerezza delle case riaperte e rigodute, nel dólce invito dei tigli neri da ricontare di viale in viale, in quell'inverno, a braccio delle donne, qualcuno credette di ritrovare la città, se stesso, il suo mondo di quand'era adolescente; e a tutta prima non s'accorse che quel mondo era invece per sempre sparito. Qualcuno, come quel poeta, per letteraria suggestione amabile ripensò a Massimo d'Azeglio ed al Risorgimento ; e non senza una punta di compiacimento volle dichiarare — lui che aveva vissuto la Bainsizza, Caporetto, Vittorio Veneto — d'esser nato troppo tardi. Fu l'enorme, inconsapevole errore di una parte della borghesia, a scontare il quale occorsero poi quattro anni esatti, a loro volta gremiti di errori, di confusione, di pervertimenti: dall'armistizio alla Marcia su Roma. Da « Baratti » alla Fiat L'equivoco si offriva facile. Più d'ogni altra forse in Italia, la città lo favoriva. Torino già capitale e poi provincia, centro spirituale italiano dal 1821 al '64, quindi retrocessa a un rango di satellite, chiudeva da allora nelle sue stesse linee esteriori il senso conservatore; anzi, di questo senso, dopo esser stata all'avanguardia dell'ardire guerriero e dell'azione politica, aveva fatto la sua fierezza e la sua resistenza. Linee architettoniche, linee morali: che la natura intorno — il monte, il fiume, il colle — e di lontano la cupola juvariana di Superga, completavano nel quadro d'insieme. Torino restava quale il Guarini e i due Castellamonte, il Lanfranchi e Benedetto Alfieri, l'abate siciliano e il montanaro Vittone, in obbedienza a duchi, a principi, a re, l'avevano pensata, tracciando anche il camirino dei loro successori; e se ne inorgogliva. Cadevano le vecchie case, strade cedevano il luogo a piazze, quartieri interi sparivano: mutava l'abito, assai meno il corpo, sia pur crescendo. Volentieri il- torinese si diceva bógianen. Sorrideva della parola antica; alla Mónssù Pingón, mentre tra il 1904 e il 1907 ventitre fabbriche d'automobili davano alla sua città un primato mondiale in ciò che allora rappresentava il massimo del vivere veloce. Bonario ne sorrideva come di una piccola colpa nascosta, come di una piccola debolezza lusingata. Ma poi, a contatto e a confronto col milanese, col fiorentino, col napoletano, si trincerava nel suo silenzio un po' cocciuto, accarezzando in cuore un'immagine che lo ripagava di quell'esuberanza, di quell'arguzia, dì quella prontezza che sentiva mancargli: la maschera del suo Gianduja savio, che i fratelli Lupi tutte le domeniche e tutti i giovedì portavano dal ciabot di Callianetto sul palcoscenico del D'Angennes per la gioia dei bimbi, per una qualche meditazione serena degli adulti. Città definita quant'altre mai, aperta a tutte le iniziative come le sue strade diritte sono aperte ai venti della Val di Susa, eppure — strano a dirsi — di tutte le iniziative un tantino diffidente. Città di grandi imprese industriali, di grandi crisi finanziarie sempre vinte col buon senso e la fermezza, di grandi masse operaie, di grandi successi teatrali, di grandi magazzini di mode: certamente. Ma i portici di via Po restavano pur sempre il più bel passeggio del mondo, nè era concepibile miglior ritrovo dell'isolato fra Bass e Baratti e Milano. I nobili e i vìveurs (non si parlava allora ancora di vitaioli) prevalevano? Senza dubbio. Ma i limiti di quell'Eden erano tentati e poi violati anche dagli studenti, dal giovane travet cui la promozione a capo ufficio concedeva un margine di eleganza, dal giovane professore che avendo un copione nel cassetto già adocchiava « un pubblico », dalla moglie un po' ambiziosa del professionista (e vestiva anche benino la signora...) che l'amica più ricca e più esperta trascinava a prendere il vermut delle undici, in piedi, con due « bignole » e un pasticcino caldo. [(Ultime vennero le sartine, a guardare le cocottes con vaga invidia; ma .« i portici » già declinavano). Nella città di Baratti, quella specie di Listo» risultava la naturale metamorfosi dell'antico caffè degli illu làlitrIrdpdpscnflustraealagdc—TimttpmgtprzttetcpIcccsn—pdgmcaqdcdatstldzpblmTnVcsqp(ncclltrcsvpcdbmfcpetrgnvstmftafflaiuui"»" —- a— i minati, del più recente caffè dei con- aurati e dei politici. — Qu'est-ce qu'on dit au Cajé Florio? — doman- dava Re Vittorio a Cavour aprendoml'udienza del mattino. Settantanni'' dopo il « L'ho sentito dire da Baratti » era una voce ancora abbastanza accreditata, e non soltanto per il pettegolezzo del giorno. Al pomo dip Newton e al Pan~loss di Voltaire, al-;la congiura di Mazzini e alle grazie della Castiglione s'eran sostituiti i li-';stini di Borsa ed il molto galante in- trigo finanziario-mondano; ma men-'tre le piste, gli elicoidi, l'immenso corpo tutto scheletro e muscoli della Fiat Lingotto anticipavano il razio-'nalismo architettonico, le specchiere e le consolcs settecentesche, al di là dei ieratici bronzi dell'Impero, al di là dei candellieri Luigi Filippo, al di aellismo inglese, spingevano l'ombra delle loro sagome fin sui due primi decenni del Novecento di Marinetti, del macchinismo e degli untorelli cubisti. Tanto aveva potuto lo stile dei Sabaudi, delle Madame Reaà delle estreme filiazioni del preraf- cdnli, del clero guardingo, dei diplomatici di razza, delle generazioni guerriere ed universitarie. / poli di un dissidio Preistoria? Tutfaltro. Storia di re lustri fa. del '14 come del '19, della neutralità e dell'inflazione. Eppure, strano davvero, quei tre anni durante i quali la vita s'era centuplicata nelle forme più violente, eran scivolati come fumo sul volto della città. Nè donne nè ragazzi nè vecchi nè invalidi nè imboscati potevano infatti fornire il minimo spunto rivouzionario. Il fornirli e l'elaborarli spettava a quelli in grigioverde, delle rincee. Essi dovevano ritornare ed agire: allora si sarebbero visti gli effetti; prima no. Il reduce poteva ritrovar dunque agevolmente, su quella fine del 1918, a Torino gozzaniana, la cui nostalgia, nelle ore più nere del Carso e degli Altipiani, s'era fatta talora acuta fino allo spasimo, e che per lui — nella sua illusione — restava la Torino più vera e più amata. Che gli mportava se nei vent'anni precedenti le strade s'erano irradiate in ceno direzioni verso la campagna, se la popolazione s'era raddoppiata, se ai mille opifici altri mille s'erano aggiunti, se dal 1900 il reddito accerato s'era quasi decuplicato? Tanto può la forza di un sentimento, che dire Torino era quell'angolo di Palazzo Madama che a fine aprile s'infoca tutto nel tramonto mentre le rondini tagliano il cielo coi loro voli neri; era dire l'ansa del Po dorata nell'autunno come un quadro di Turner, la cupola tonda della Gran Madre, la pietra grigia di piazza S. Giovanni. Il resto, .le nuove fabbriche, i nuovi caffè, le nuove vie periferiche, non contava. Ma isolando la città nel suo nucleo centralo, egli isolava anche una visione dominante: quella della Torino sei-settecentesca sul cui schema — sul cui spirito — l'Ottocento ed il primo Novecento erano cresciuti riducendo a zero, con buona pace degli archeologi, il senso della città romana malgrado i visibili segni del cardo e del decumanus, mantenendo al costume torinese quel riserbo e quell'etichetta proprii del barocco e del rococò, vanto di epoche aristocratiche. Da un lato, dunque, l'idea della Corte, però di ima Corte che aveva lasciato il trono vuoto; dall'altro il rigoglio dell'industria in pieno sviluppo, di una borghesia attiva, intelligente, di una massa operaia brulicante, il bisogno della ricchezza, della modernità, della velocità. Piazza Castello e Borgo S. Paolo: i due poli opposti che parevano inconciliabili. Questa era stata la Torino dell'impresa libica, dell'Esposizione democratica del 1911, ed era ancora la Torino dell'immediato dopoguerra, non ostante la guerra, i morti e la Vittoria. La forma di un'antitesi, nei cui meandri la poesia decadente dei sentimentali aveva facile gioco. L'equivoco perciò di alcuni reduci, ripetiamo, si offriva facile. Saldare il popolo alla borghesia (ciò di cui il liberalismo s'era riconosciuto impotente e che soltanto il corporativismo sarebbe riuscito a compiere nel concetto superiore dello Stato), alleare l'intelligenza del lavoro con l'intelligenza delle iniziative: ecco quanto, a guerra finita, risultava indispensabile alla grande città industriale perchè potesse assumere il volto nuovo adatto ai nuovi tempi, cioè conciliare in un patto proficuo tutte le forze attive. Centro e periferia Ma il patto non era possibile finché tra la periferia ed il centro perdurasse quell'antagonismo che abbassando l'idea del lavoro> decimando i vantaggi della produzione, fomentando di continuo l'odio di classe poteva apparire a qualcuno il preludio di una rivoluzione, e non era invece che sedizione spicciola, intorbidamento quotidiano degli spiriti. Gli episodi di quella che veniva gabellata per lotta economica, alternati con gli episodi di un sovversivismo che assumeva le forme più sciagurate, sono nella memoria di tutti, nè occorre ad uno ad uno enumerarli: segnarono, con il loro infausto stillicidio, uno dei periodi più tristi della storia di Torino. Quando si ripensi che lo sciopero generale che paralizzò la città dal 12 al 21 aprile 1920 e terminò tra il disgusto delle stesse masse spinte contro voglia al conflitto, fu provocato da un fatto innocuo come quello dell'ora legale, veramente sembra di sprofondar col ricordo in un fosco mon | ' , , . t> do che anche più meraviglia per il confronto col presente, dopo soli do dici anni. Ed eran quelle moltitudimi di lavoratori torinesi, trascinate come greggi da poche volontà non- curanti di gettar nella miseria migliaia di famiglie, eran quelle moltitudini le medesime che due anni innanzi, dal Grappa al mare, trasfor- mate in legioni invincibili dal senso del dovere, avevano contribuito a creare la leggendaria epica che sgor ga dalla « Canzone del Piave », e che, ancor pochi mesi prima, con il loro impeto irresistibile avevano tra volto uno dei più potenti eserciti del mondo ed annientato un Impero, Giovinezza poteva quindi essere la loro fede. Ma a ben altra Rivoluzio- ne eran chiamate ad assistere e a contribuire. Una Rivoluzione da compiersi in nome dell'ordine, della I trdisciplina, della rinnovata coscienza ì ninazionale, della rinnovata idea del- j rivila Patria, del rinnovato concetto del lo Stato. Aliora automaticamente Torino ! esun71nn!l I O TVl nCC'O 1 ?-i r» li 'nntin i4nl rri rrn -n ' »v-zjonale, mossa anch'essa dal gigan tesco ingranaggio della nuova disciplina; e non tarderà il supremo riconoscimento del Caoo : « Torino è la mdo19uuova capitale del lavoro». Comejpogradatamente si elimina l'antitesijtàfra centro e periferia fra il nucleo'VaSi<iXn»t.;»r r nucleo, zsei-^euecentesco e la corona, sui I pmargini, delle fabbriche industriali,I tacosì spariscono definitivamente vec- tudi' (icori p. nifi rpr-pnti riwnlif^ i»neon e più recenti rivalitàI imeh in vano modo avevano favo- j arrito un regionalismo — un trop- gepo ristretto « piemontesismo » — quincompatibile con l'Italia nuova. ciCosi a passi rabidissimi Torino „„ Cosi a passi rapidissimi Tonno ^™£ ?' Pac'ficata, n^ con,cord.e la- nv^f ;.?»■** uUn umcav?lonttac.he liva da. capi della sua ammimstrazio- g?Lp filS [ C-H d~ la/"a F'd6ra" ^r£ S,fr,»«P^ T16 ^ 3--01 0r>.rnSnSn^a ,i «^SLamie'S. nera, si inserisce nel gran¬ dioso sforzo mussoliniano. L'Esposizione della giovinezza Tosto se ne vedono gli effetti. Al crollo della Banca Italiana di Sconto e delle Società da questa controllate, che colpisce nel 1921 il solo Piemonte per ben 517 milioni, l'economia torinese reagisce in modo sorprendente. Fra il 1923 e il 1927 la sua prosperità, che soltanto la rinata disciplina ed il rinato senso politico (vorremmo ricordare l'etimologia della parola, che vien da polis, città) favoriscono, esercita una singolare attrazione sull'immigrazione, senza confronti nel resto della Penisola. E' il 1926 l'anno che segna per Torino un quoziente dL eccedenza 2chnridnpomca■slizpcs1sjtdella immigrazione sull'emigrazione j mdel 49,12 per mille abitanti; e non e - e soltanto la campagna limitrofa a fornirlo, bensì tutto quanto il Paese, e particolarmente il Mezzogiorno. La città diventa un crogiuolo di idee oltre che di opere; ed è rotto l'antico incanto, sfatata l'antica leggenda di una diffidenza piemontese per il resto d'Italia. Ed il successo dell'Esposizione torinese del '28 (successo economico, intendiamoci, oltre che morale, specie se confrontato con quello della Esposizione del 1911) ne è splendido documento. Otto anni prima, in uno scorcio afoso d'estate, lugubremente echeggiavano da Vanchiglia al Lingotto le fucilate sperdute della triste sparatoria, e in una sera torbida lè pallottole rimbalzavano dai pilastri al lastrico di via Po. Adesso una città bianca ch'è tutta uno squillo di giovinezza sorge stupenda e gaia nel verde del Valentino. I giovani architetti dicono la loro prima parola per le forme dell'architettura di domani; l'industria gareggia con l'arto decorativa per affermare la sua rinascita; la folla accorre da ogni parte d'Italia. Mentre dall'alto del Colle della Maddalena, calando la notte sui meriggi sereni, il Faro della Vittoria donato dal più grande capitano delle industrie piemontesi lancia il suo appello luminoso ai vivi ed ai morti di una terra che non ha voluto accettare la lusinga di chi intendeva negare la Patria. E l'Esposizione si chiude con un attivo di quasi tre milioni. Verranno — e non sarebbe maschiezza tentare di nasconderlo — verranno due anni dopo, quando già fin dal 1929 in America è scoppiata la crisi, i giorni delle gravi prove. Ma ciò che in altro tempo avrebbe potuto esser nuova e terribile causa di sedizione, ciò che avrebbe certamente colto impreparato ogni organo dirigente, viene ora affrontato con risolutezza, con alto senso di dovere civico, e quel che più conta, con umanità mirabile. Sfogliare la relazione sul funzionamento della Opera Assistenza Invernale della Federazione di Torino, è sfogliare un documento raro di civiltà. Visitare quelle stanze dove la fatica assistenziale a prò del disoccupato si svolge dal 22 novembre 1930 senza la minima flessione nelle energie e nella volontà di vincere, è arricchirsi della convinzione che il Fascismo considera il lavoro come la più gran gioia, come il più alto premio dell'uomo, e che l'esserne da disgrazia orbato chiama tutte le cure, tutto l'affetto del Regime. Così come lo scorrer le statistiche delle Colonie climatiche per l'assistenza estiva ai figli del popolo conferma quell'altro caposaldo della nuova etica, l'indefesso studio per il rinvigorimento della razza, rinvigorimento che trova le sue forme culminanti nella novissima mentalità sportiva di un popolo che fino a ieri — non fosse ciò che di per sè la natura gli offriva — ignorava la letizia della luce, del moto, dell'acqua diaccia, della bellezza atletica, di tutto ciò che insieme con l'intelletto aveva portato l'Eliade al sommo della scala civile. Ed anche in questo Torino è alla testa: Torino che l'anno venturo avrà il suo Stadio del Littorio, degno di rivaleggiar con quello bolognese, e assisterà alle gare per i Campionati Mondiali Studenteschi. Lo spirito della Rivoluzione Il ruit hora diviene ormai simbolo, incessante mònito. Possono parer le imtslanss—-NdtdsadmssnqvdmfsvdqRsqvznqdsfe .que chilometri di autobus ed elet- trobus, costruire 250 nuove motrici' anSdpNlanctodpeatpslndcppaagtdEn1cdnvtct—cifre minuti rendiconti amministra-'tivi; ma non è vero. In meno di set-! te anni, la citta dell'antico bocjxanen.vede aumentare di diciotto chilome-'tri le sue linee tranviarie oltre cin-1 ranviarie di cui 160 di tipo moder- issimo; e tale sviluppo di rete e innovamento di materiale con serizi annessi permette di passare da éfzsercizio pari a Km. 21.700.000 nel na percorrenza -dei chilometri di - — *-_J AAA AAfl IrtOA i metri 37.000.000 nel 1930, portan-l o i 136 milioni di viaggiatori del I922 ai 240 milioni del 1930. IAll'accresciuta 4. irapidità dei tras- orti materiali si adegua la rapidi- à delle idee e del metterle in atto.'Vpcr.hi nmHomi ehe ria Hi»r°nni pmo ì zecchi problemi Che da decenni eran igramente dibattuti, sono affron- ati e risolti: via Roma innanzi a'utto, colossale e davvero paurosa »™^ mpresa, per cui la stessa polemica; rchitettonica esaita gli spiriti e getta semi per l'avvenire, se anche ui — per un complesso di note ircostanze — non sarà loro conces„ » ~: .. sistemazio- ^ ^ germinare; poi ]a siste, e dei Musei, la questione ospedaiera, quella dei mercati (il nuovo g^deVercato Ingrosso della Frut- ^ e Verdura, presso Corso Stupì- nigi all'altezza della Stazione di Smistamento dovrà esser pronto pel 8 ottobre '33) ; ma questa è cronaca he il lettore ritrova ogni giorno ella pagina cittadina, nè occorre icordare che nel primo decennio dell'Era Fascista l'Acquedotto municipale amplia i suoi impianti di produzione e di distribuzione con opere dell'importo complessivo di 42 milioni di lire; nè che — per ciò he riguarda l'edilizia — dal 1922!all'agosto 1932 il numero dei vaniìs„ 5 ,. ii>„i.j<.„„i n> icenziati ali abitazione e all'occupa- ione e di 123.016; ne che le lam-;pade per l'illuminazione pubblica che il 31 ottobre 1922 erano 6895'ono al 31 luglio di quest'anno;12.616; nè che ai 38 compartimenti scolasdci si aggiungono in quest'ili- i!timo biennio una scuola per anor-i mali psichici, una per tracomatosi, . ima, ali aperto a Loano, a fine anti-tubercolare; cosi come non e neces- sario ricordare 1 enorme somma di avoro compiuta per aumentare l'e- nergia elettrica di cui la città abbi- sogna; o ricordare ancora — pas-sando in campo totalmente diverso — che la sede torinese dell'Oneri - cne la seae torinese aen opera Nazionale Balilla e la maggior partedei Dopolavoro torinesi sono altret tanti modelli per l'attività nazionale di tali istituzioni. « L'ora vera di Torino » Ed è il caso poi di ritornare su statistiche, aride sì, ma nella loro aridità più eloquenti d'ogni pagina descrittiva? Otto nuove scuole elementari e due scuole materne, costruite ex-novo, dal Municipio, due sistemate, dieci ampliate; quattro nuovi edifici per scuole medie; cinque nuovi bagni e lavatoi ; sette nuove case economiche per una spesa di quasi trenta milioni; quattro mercati rionali, del pesce, della frutta e verdura, o sistemati o costruiti, senza contare uffici e servizi di vario genere, i due milioni dati alia nuova Biblioteca Civica, « quasi sei milioni impiegati nel TeatroRegio, l'Ossario dei Caduti, il restauro di Palazzo Madama (dovuto questo, alla munificenza di un privato), il nuovo palazzo, in costruzione, della Curia Massima, la Colonia marina di Loano, che costò cin que milioni; l'imponente complessod'opere di fognatura, canali indù-striali, consortili irrigui, condotteforzate, sottopassaggi, cavalcavia, ri»o arginature, complesso culminante nei tre nuovi ponti sul Po e sulla Stura, nell'abbassamento del piano del ferro, e in quel grandioso sotto passaggio lungo 580 metri da viaNizza a via Giordano Bruno, i cuilavori, cominciati nel 1930 ed oraavviati ad ultimazione, importeran-... j- . .,. . . no una spesa di tredici milioni; tre-centonovantasei nuove strade aper- te o sistemate per uno sviluppo dioltre centosettanta chilometri; se-dici giardini sistemati per una su perfide di metri quadrati 614.970, ed alberati 47 chilometri di corsi e aiuole; circa cinque milioni di metri quadrati di nuova o rinnovata pavimentazione; aperti o prolungati sette corsi e strade nella zona collinare; spesi nel 1931 diciotto milioni per l'igiene e sanità (una media di lire 29,90 per ogni abitante) in confronto degli S milioni (L. 16,92 per abitante) del 1921, in ciò comprendendo la mirabile assistenzaagli scolari affetti da tracoma, daadenoidi, da carie dentaria, oppuregracili, linfatici, predisposti alla tubercolosi... Questa l'opera stupenda della città in dieci anni. Ma diverso era il nostro compito. Era riassumere in pochi cenni panoramici l'antitesi fra la Torino del 1922 e la Torino del 1932, della città cioè che oggi è una vigile vedetta di tutto ciò che, inserendosinella vita nazionale, può tornar divantaggio al suo incremento, sfrut-tando ogni occasione e circostanza che ora può essere un'adunata atletica, ora un convegno culturale, ora — ed è cronaca di ieri la costituzione dell'Ente Autonomo della Mo-da — un'apparenza di mondanitàche si risolve invece in un primatoinduslriale. Era, insomma, tentare•i 1 li 3 ii c„„ „ «aliaicil tratteggio del suo nuovo volto,che altro non e se non 1 immagineesteriore del suo nuovo spirito. Diesso più nessuno dubita; sì che, sela comune coscienza non erra, To-rino è degna oggi di ricevere il Duce; e che ne sia degna, per più,. *7 "*7l segni ormai Egli stesso 1 ha lascia-ta intendere. Sarà quella, quando il Capo verrà, « l'ora vera di To-MARZIANO BERNARDI