Sul Monte Bianco al lume delle stelle

Sul Monte Bianco al lume delle stelle IT1IN ERARI EST IV I Sul Monte Bianco al lume delle stelle o o è o a i e n a COURMAYEUR, agosto. Mai come oggi l'uomo « moderno > ha ucciso, ha annientato, nella sua corsa febbrile, la Montagna. La montagna solenne, maestosa, terribile, micidiale, che tanto terrore e sgomento incuteva ai primi veliti del Lazio, ora più non esiste. Il libero grido excelsior! suonato da tutti i corni delle cupe vallate del mondo — ha distrutto le altezze superbe, ha spezzato la gioiosa ebbrezza della vertiginosa ascesa. Le vette inaccessibili sono sparite, i brividi della paura soppressi, la febbre del « più oltre » calmata. Che importa? Lo scenario ideale non muta per questo: esso è pur sempre coronato di bianco e di silenzio. Nel bianco ci si riposa come nella pace della coscienza. La neve — figlia del verno e sorella del gelo — viexie qui quieta e semplice anche nell'estuosità dell'agosto e vi porta, dono superbo, il silenzio: è il lenzuolo della natura, che vuol dormire. Cosi il grande e calmo volto del silenzio ci rinnova la vita: esso è per l'anima" ciò che Briarco era per la madre Terra. Dal suo contatto ci leviamo risanati ed armati per la lotta, perchè la terra appartiene un poco a colui che si ferma un istante, la contempla e se ne va... Il rombo della Dora Sono rannicchiato sull'uscio di un modesto rifugio occasionale: ho gli occhi ancora meravigliati pel diffuso abbacinio dei nivei fulgori e aspetto qui, in estatico silenzio, che le mie iridi si ricompongano. Sotto di me, molto in basso, romba con un fragorio formidabile ed esasperante la Dora Baltea. Strano, possente, terribile fiume, questo! Che diuturna, urlante cantafera! Talvolta mormora — spesso non vista — un'acqua in doccia stretta, piena di capricci e di sorprese. Qualche volta, apertosi un varco violento, sbuca fragoroso bianco spumeggiante da un borro e si rinasconde subito fra cespuglioni di salcerelle, di vincastri, d'ebuli, d'altee, di verghe auree e di vitalbe. Dove poi serpeggia la via tra citisi e ginestreti, ad ogni volta sbucano nuove e rumorose le acque limpide, formando ponti di cristallo, spumando leggere e respinte con agilità vaporosa dal vento. Qualche volta l'aria ci manda in viso una pioggerella trita, una polvere di acqua; ne godono l'erbe intorno, che si inverdiscono. Tutta la bella conca di Courmayeur se n'è smeraldata. Sotto le arcate dell'acqua, gli sfagni s'avviticchiano alle rupi, le chiome lunghe, flessibili, fatte purpuree dal primo brivido di gelo. Poi tutte queste acque s'incontrano come l'umanità ai bivii della storia, si uniscono, si confondono e allora il fiume si fa maestoso, solenne, terribile: bianco ed arruffato come criniera di irrequieto ginetto, irrompe impetuoso in uno spumeggiare assordante, continuo, spaventevole... L'acqua! io amo i verbi, gli aggettivi, le parole che esprimono i gorgoglìi, i movimenti, la vita, la luce, la bellezza, la irrequietezza di questo elemento. Amo IV Onda » di D'Annunzio. M'innamorano 'le cascate ■ d'argento di queste grosse correnti, ma godo pur tanto nell'udir da vicino gli stillicidii, i sussurretti languidi e quasi le chiacchierette dell'acqua fra i ciottoli di qualche fossatello e fisso l'occhio non sazio mai sui freddi specchi di questi laghi montani, sulle accolte verdi di questi grommosi mulini valdostani, tra i pioppi e le giuncaglie... Eppufe l'acqua ■—• che sotto Cesare Augusto annientò la romana città di Tnuretunum, cosi come altri torrenti travolsero Planalp sopra Brienza, Salsalp sopra Lemberbrunes — ha recato altrove la vita! Le « chiare fresche, dolci acque » di S. Maurizio di Gurginel, di Baden, di Pfeffèrs, di Lemk, di Viray, di San Vincenzo, di Aix, di S. Gervasio, e queste di Pré Saint Didier e Courmayeur, non hanno forse reso più facile, più sana, più forte l'umanità affaticata?... La malìa delle acque E' sera. L'aria punge forte. E' una grande ammaliatrice, la montagna! Qualche cosa della sua potente soavità, della sua luminosa bellezza, della sua austera innocenza ci entra sempre nel cuore e — distraendoci •— ci ritempra. Essa è bellissima e aperta, formidabile e arcana: come l'acqua. « O Suora Acqua, che Dìo fece molto utile e umile e preziosa e casta » — dice S. Francesco nel suo canto immortale. Scendiamo nella valle: saluteremo la « cerulea Dora » da vicino. Una larga fascia di vapori azzurrognoli striscia ancora in fondo agli abissi: li osservo elevarsi a poco a poco sempre più leggeri, più diafani, più teneri per fondersi — finalmente — nella limpidezza del cielo. E' il trionfo della luce. Il « Dent du Géant ». col gioco delle sue frastagliature e colle sue vaghe colorazioni, esce, internamente rio?nerato — come da un bagno di salgemma — dai raggi obliqui de! sole. In questa immensa solitudine rupestre, inebbriato dai profumi selvaggi delle piante montane, ascolto il silenzio. E' piacevole e pauroso ascoltare il silenzio in alta montagna. Quel silenzio è pieno di voci di grilli, diventate cantilene tremule, querule, monotone: con tutte queste voci, è sempre silenzio! e neppure il vento lo interrompe. « Il si'enzio degli spazi infiniti, mi spaventa » — geme Pascal ; ma io mi lascio serenamente penetrare da questo ineffabile mistero e quasi direi come De Musset, c la mia bocca custodisce il silenzio, per ascoltare il cuore che parla ». La forza dell'uomo non si misura forse un poco anche dalla facoltà di sopportare la solitudine, gustandola col proprio spirito e assaporandola con la serena fecondità del silenzio? E io, con gli occhi fissi su un punto lontano, ascolto a lungo questo divino silenzio : esso non è un riflesso del sonno e dell'inesistenza, ma un buon silenzio attivo, fecondo, dolcissimo. Dall'albero del silenzio — dicono questi montanari — pende per frutto la tranquillità. « Il silenzio è una siepe intorno alla saviezza » dicono ancora le anime sempiici, mentre Carlyle, in un impeto di ammirazione, esclama: « Silenzio, il grande impero del silenzio che ci porta più in alto delle stelle! ». Quando le labbra dormono, le anime infatti si risvegliano e si pongono.all'opera; e come le api non lavorano che nelle tenebre e il pensiero non lavora che nel silenzio e la virtù nel segreto, così su queste alte montagne, il fremito che ci sfiora il cuore è simile alla carezza silenziosa dell'antocari — la tremula messaggera della primavera — all'ul¬ tftsspdldlpstaefsntnlpgsdrqcdtdmtrttldlpnldn timo oucaneve : una musica. E la manifestazione dell'infinito nelle forme fluite della creazione, non sembra essa stessa una musica silenziosa e visibile? Guardo in fondo valle e mi trovo triste. Penso. La notte, dicesi abbia il privilegio d'essere generatrice e custode delle cose tristi e delle cose arcane: la notte è dell'incompreso, dell'infinito, di Dio. Il giorno diminuisce il mondo.e la vita, nasconde l'universo; la notte apre la cortina dei cieli e chiude le nostre labbra. La parola interiore, ha detto Egger, è il linguaggio del pensiero attivo, personale, ohe cerca, che trova, e s'arricchisce del proprio lavoro. E* forse per questo che — spesso — vi sono certi stati d'animo tanto finì da non poter essere nominati, tanto spirituali da non ammettere una espressione sensibile. Cosi, su queste montagne, l'anima semplicetta che sa nulla, trapassa via correndo vestita di veli... Cammino fra l'alta erba della montagna che proietta la sua ombra sullo specchio metallico del Lago di CombaI: duemilaottocento metri mi separano dal risucchio isocrono dell'onda marina. Su questo verde dosso scampanano al sole centinaia di buoi. M'è vicino — e mi fa da guida — un giovine poeta della montagna: uno di quei miti pastori che dalla primavera alle prime bacche vermiglie conducono il gregge per gli interminabili fratturi e — tra i soffi di resina che reca sibilando il vento e il tenue tremore delle genzianelle — cantano canzoni nostalgiche. La piena solitudine — colle sue illusioni di forza e di libertà — scioglie in libero volo la loro anima assetata. Essi hanno sempre la voce piena di strane modulazioni, voce che conosce tutti i recessi della fievole Eco e gli occhi tristi e lucidi d'un azzurro intenso, come se specchiandosi continuamente nell'arco del cielo, ne avessero rubato il ohi aro fulgore. Amano la vita e il silenzio. Sanno che si nasce per morire, che le rose si sfogliano col primo vento, che la neve è bianca perchè bianca deve essere la nostra anima; e che le stelle sono tremule perchè vi passano — palpitan» do — gli spiriti eletti della terra. Il racconto del pastore Il mio mite pastore mi dice come gli armenti salgano all'alto pascolo; una singolare forma primitiva di cooperativismo, che mi ricorda un buon studio teocriteo del Ferrerò. — Le famiglie di Verraud, di Morgexm di Pellésieurx — mi spiega con voce morbida — tengono durante l'inverno il loro piccolo armento, ma di primavera i capi di casa si associano, uniscono insieme le mandre, assoldano i vaccari, i formaggiai, i pastori é conducono le cose in comune. Così, col primo alito caldo, tutto questo mondo sciama verso i pascoli saporosi ed altissimi. E prosegue: — Quando le vacche di diversa provenienza si trovano insieme per la prima volta si guardano con sospetto, con inimicizia. Le battaglie a colpi dì corna fon frequenti e non è raro che una o. l'altra delle bottatrici si ritiri^ coi fianchi sanguinanti a muggire-ftom-^messamente in un cantuccio ombroso. Ben presto però le cose si agglustano.n.1— Come in una società di uomini... — Già: si formano gruppi che vanno insieme per naturale simpatia e si suggellano amicizie forti. Vi sono anche i solitari. Nell'armento però una bestia conquista subito un posto di signorìa che le altre riconoscono, cedendole libero il passo dovunque ella se ne voglia andare; quando bruca i fiori più profumati o lambe l'acqua più dolce. Ebbene, questa creatura privilegiata si chiama « regina » e la battaglia per la corona — che si compie al novel tempo del pascore — è davvero un grande avvenimento per l'alta montagna. — Sicché questa « regina »... — Si riconosce dal contegno altero, dalla maggiore libertà di movimenti e dalla piccola coorte di ammiratrici che sempre l'accompagna. Come le api, così tutte le comunità necessitano di questa legge vivente che è il re, ch'è il dominatore; sono trascinato a pensare ai moderni sicofanti. Ma * ?osa di poco momento. — Dimmi, che fai quando sei solo solo sulla montagna e il gregge riposa? — chiedq al giovane pastore. — Parlo forte. L'eco porta lontano le mie parole e io ne godo: mi pare cosi di parlare con tutto il mondo. Verso sera mi seggo sul ciglio del sentiero e guardo in basso finché le stelle — occhi aperti nella notte — non mi illuminano la via del ritorno. — Niente: tutto. Parlo con me, raccogliendo degli « edelweiss x> e dei rododendri... In quella strada piena di solitudine e di frescura incontro sempre Dio. E quante cose Egli dice a me, ed io a Lui! Poi viene la notte ed io dormo senza sentirla. Quando la neve ha ricoperto tutto il fianco di questa montagna, saluto il mio modesto « rifugio » e scendo in paese. Solo durante l'estate, qualche alpinista della città mi parla del mondo. — Fosti alla guerra? — Sì: sono caduto quasi subito, a! primi colpi; mi portarono via come se non fossi più io: sono tornato sulla montagna che mi reggevo appena... — Vuoi dirmi una tua canzone? — Si. Quella del profugo della montagna? — Quella che vuoi. La giovine guida si siede sopra una grossa pietra dai riflessi di fuoco e piamente comincia: « Vorrei rivedere l'abete e 11 larice e i ghiacciai iridescenti e i camosci; «Vorrei udire suonare le campanelle, quando i pastori conducono il gregge sulla montagna, quando non un agnello resta nella vallata; « Vorrei salire sulle vette gelate dei monti più alti e di là guardare il lago limpido ove vanno a cadere i torrenti schiumosi, guardar di là il mio caro villaggio ; <; Vorrei... ». Una scintilla — partita da una freccia d'argento dalla cima del monte — è venuta a ferire i miei occhi: simile c. quella stella che avendo perduta la strada era scesa a posarsi sulla spalla del giovane pastore provenzale del Daudet, essa — la più fulgida, la più fine — è venuta a dormire presso di me. La gente della montagna chiama questa pioggia luminosa d'agosto, le layrìme di S. Lorenzo... La valle dorme già in un vapore latteo glaciale. , ALFREDO ROTA.

Persone citate: Carlyle, Cesare Augusto, D'annunzio, Daudet, De Musset, Dent, Eco, Egger

Luoghi citati: Baden, Brienza, Courmayeur, Lazio, Pré Saint Didier