Viaggi in Liguria

Viaggi in Liguria Viaggi in Liguria Ricordo che qualcuno mi aspettava a Pisa che doveva condurmi per la prima volta verso quella regione disposta sul mare. Il paese lo conoscevo per averlo visto sulle carte, conoscevo l'arco simmetrico e il gran golfo che le prime Alpi disegnano e il primo Appennino, sapevo quali frutti desse la terra, e che non v'era pianura: se ne avvantaggiava la linfa d'ogni pianta, abbarbicate queste in un suolo breve e tutta sostanza. In attesa di calcare tal suolo aspro e felice erano simili rimasugli scolastici che mi offrivano immagini c pensieri, e credo che allora, oltre l'ansia del nuovo, davvero nient'altro esistesse in me, dico una volontà di confronto, la critica. Allora tenevo ciò che vedevo per come m'appariva; il giuoco intricato di come avrebbe dovuto o potuto essere e di come fosse veramente sotto quella apparenza fallace, e se l'apparenza fosse o non fosse fallace, e via via l'infinito dedalo dei corollari, non faceva parte delle mie possibilità ; questa nobile smania me la son venuta conquistando più tardi, col tempo, con qualche esperienza e con un assiduo cogitare. Allora tutto era più semplice e niente da rifare. Gli è che non avevo ancora venti anni. Che non avessi ancora venti anni dovette risultare evidente per chi mi vide prendere quel treno, in quell'estate millenovecentoventiquattro. Ricordo com'ero attrezzato, vestivo di grigio, ma di un colore grigio che ammorbidiva quella tinta fredda con più calde sfumature tra il verde e il marrone: il tono risultante era distinto per eccellenza; calzalo guanti grigi assai più chiari, e in testa il cappello di feltro leggero ne aveva dettato la misura: il colletto inamidato era basso, schiacciato, sfuggente e rotondo alle becche, che me ne aveva offerto il modello una fotografia di mio nònno, d'antica data non importa dirlo. Un cravattino a fiocco, nero, si annodava fra le becche sfuggenti, e le sue estremità accuratamente di stese erano condotte a ricoverarsi sotto l'ali bianche di quel colletto ri costruito a fatica come un pezzo da museo. La valigia era quella che adopero tuttora, ricoperta di tela, ma sotto braccio quella sera recavo un libro uscito di fresco, un grosso tomo per dirla col suo autore, una copia del Venturiero senza ventura. Lo recavo con disinvoltura, con disinvoltura lo venivo sfogliando di lì a poco nello scompartimento che imbottiva la corsa esterna metallica di suoni raccolti, voci, volti, gesti raccolti in scarsa luce, noncurante come di chi sia avvezzo a simile nutrimento eli sio. E questo particolare più dell'ac^ conciatura, sarà guiderdone per chi oggi legge, della mia età di quel giorno. Già a quel tempo i miei com pagni di adesso avevan detto l'ultima*"parola, parola severa e quanto giusta, sull'opera del venturiero; di fronte ad essa avrebbe arrossito di vergogna il mio volto fanciullo, e il tomo pesante, quadrato d'ogni lato come un mattone da fondamenta, sarebbe doventato d'impiccio, avrei tentato di nasconderlo, fagotto sgraziato che attira sguardi ironici. Ma io non sapevo a quel tempo di questa parola, nè tampoco che esistessero quei miei amici futuri, per cui me ne andavo tronfio e senza sospetto. Sfogliavo lento cullato dalla fuga sussultante del treno tra i colli di Serravalle e della Pieve a Nievole; ove alzassi lo sguardo al finestrino già mi apparivano i lumi di Montecatini alta, e allo sboccare da una minuscola gola incominciava lungo la strada ferrata la teoria delle casette costruite rapidamente nel dopo guer. ra per ospitare la rigurgitante affluenza delle stazioni estive : preso entro lo stretto corridoio ululava il vento della corsa, allargandosi e tacendo improvvisamente sopra orti addormentati. Stavo composto nella luce mediocre, evitavo di guardare i miei compagni di viaggio, persuaso che 1' astenermene conferisse al mio atteggiamento un di più, che io stesso prima degli altri, potevo gustare, sicuro come ero che non si trattava di timidità, nè tale poteva apparire. Rileggevo la cicala vespertina, innamoravo della città nativa e della bella pagina, tuttora ignaro dello scoglio malfido in cui avrei cozzato, arenando, un paio di giorni dopo : intendo, le quattrocento pagine del secondo amante di Lucrezia Buti. Stavo chino sulla sirenica prosa andando verso Pisa. A Pisa trovai chi dovevo, mi feci incontro alla Liguria. » * * Conobbi un paese quale veramente non me lo sarei immaginato, e se dicessi che non mi deluse direi il falso. Conobbi una terra arsa ove credevo di trovare acque dolci e freschezze, e il gran rigoglio di certa vegetazione rivierasca, la turgidezza dei frutti e d'ogni pianta accrescevano quel senso di secchezza del suolo : lo avevano prosciugato inesorabilmente. Conobbi anche, sopra quella terra troppo generosa di sè, dei cieli magnifici, inesorabilmente puri, e aperture d'orizzonti marini che fermano il corso del tempo e chiudevano il mondo in poche leghe. Vi fu anche per me per qualche giorno un paese dalla fisionomia inconfondibile che si chiamava Liguria. Poi tutto questo sparì dalla presente memoria e ritrovarlo in seguito precisato in immàgini, costò fatica, pur restando in una chiarità abbagliante seppure senza luogo, quanto mi aveva dato quel senso di affocamento, d'incendio senza fiamma: sole, sasso, mare. Finche, quattro anni dopo, vivendo io a Milano e ormai relegati fra i trascorsi giovanili, l'ostentata lettura di tomi d'annunziani, i guanti estivi, i colletti inamidati ottocenteschi, un volume mi capitò fra le mani. Fu un libro che mi conquistò alla prima, dei cui meriti tanti han parlato, e d'accordo, che proprio non tocca a me che non faccio critica, che non tguzduscffputrdttmaqlmstcsrlcddtaepadspadgqpcsrdaprqbccrvcetdClpmalpp a o l o e a ; o a a e o l i a i o o , a . o o i e . o , ho voce in capitolo, metterci bocca,' e con tanto ritardo. Ma questo volevo dire : a sfondo di una umana desolazione che si conosce in ogni latebra e si ripete le proprie eterne ragioni, che appunto perchè fornita di uno sguardo implacabile non ignora zone di rassegnata pace, le dolcezze della sofferenza radicata nei ricordi, un mondo vedevo sorgere che mi sembrava di avere abitato, nè l'efficacia della rappresentazione lirica, la fermezza dei toni, 1' evidenza delle fabbriche e delle vegetazioni accampate di gitto e si stabilmente sopra una terra senza nome ma dai caratteri recisi, mi persuadevano di dovere ad esse soltanto quell'impressione decisa. Erano secchi greti ad orlo di terreni bruciati dal salino, orti assetati chiusi da muri roventi in cui un meriggiare pallido e assorto portava a riconoscere al solingo la voci di quell'arsa natura: schiocchi di merli, frusci di serpi, e più lontano tremulo dai calvi picchi, largo e impassibile il canto delle cicale: a volte, tacendo questo canto diffuso, un'unica cicala tentava il silenzio, debole sistro preda dei venti ; era il palpitare lontano di scaglie di mare e vicino la dolce risacca sulle prode, erano i ciottoli che il mare volve, mangiati, dalla salsedine, e indietro, respinti dalle rive, oltre le macchie dei vigne; ti e delle pinete, oltre poggi d'olivi a cerchio sui minuscoli golfi, petraie e gibbosi dorsi di collinette; strade per essi menavano a radure ignote, a botri, dilungavano in recessi madidi di muffe, d'ombre coperti e di silenzi. Stetti su quelle pagine in.attesa, poi mi decisi a dimandare del poeta a chi sapesse. E fu allora la certezza del mio secondo incontro con la Liguria. Fu dal tuo libro, Eusebio, e da quel giorno la memoria non l'ha più perduta. Anche se l'avesse perduta, ecco che di nuovo a quattro anni di distanza, di nuovo per merito tuo, la ritroverebbe. Voglio dire per merito della tua Cara dei Doganieri e delle altre liriche che Vallecchi ha stampate in una bella edizione dal numero di copie limitatissimo, centocinquanta come reca l'indicazione bibliofila, e che è di già rara! E giacché ci sono e poiché non faccio il critico e quindi non ho l'obbligo di,cercare il pelo nell'uovo, nè di tacere la verità, ovvero pur dicendola, di circonfonderla di capricciosissimi veli, ed ingegnosi, dietro i quali al coperto menar tranquillo il can per l'aia, dirò anche come si sembri che la Casa dei Doganieri sia la più bella lirica scritta in questi ultimi anni da poeta italiano. Il dado è tratto e non me ne pento. E mi scusino tutti gli altri amici poeti. D' altronde voglio lasciar giudicare al lettore, e dò qui per esteso questa ventina di versi. Tu non ricordi la casa del doganieri sul rialzo a strapiombo sulla scogliera: desolata t'attende dalla sera in cui v'entrò lo sciame dei tuoi pensieri e vi sostò irrequieto. dmnqmtsndp"lnnncnclcudcmfioqmbIdLibeccio sferza da anni le vecchie mura e il snono del tuo riso .non è più lieto: la bussola va impazzita all'avventura e il calcolo dei dadi più non torna. Tu non ricordi; altro tempo frastorna la tua memoria: un Alo s'addipana. Ne tengo ancora un capo; ma s'allontana la casa e in cima al tetto la banderuola affumicata gira senza pietà. Ne tengo un capo ;. ma tu resti sola nè qui respiri nell'oscurità. Oh il segno dell'occaso dove s'accende rara la luce della petroliera! Il varco è qui9 (Ripullula il frangenti ancora sulla balza che scoscende...). Tu non ricordi la casa di questa mìa sera. Ed io non so chi va e chi resta. Qui e nelle poche altre liriche com prese in questa raccolta ho ritrovato Eusebio, il tuo paese, e questa poesi; che è fatta dello scavo più attento i profondo nella più vera sostanza del • l'uomo, che tien d'occhio la fuga de'; tempo e si lamenta che quanto avvenne e fu gioia non torni, o sia gioia soltanto nel ricordo, sì che allora come ora mancò la fiducia e l'abbandono per goderne, che limita all'infanzia la vita vissuta e del tempo che segue fa un continuo rievocare e dolersi, che è insomma complessa come poche, questa poesia, per quel suo saper restare oltre tutto legata a una realtà cosi semplice, primitiva, mi assicura della propria capacità di vivere. Per essa ho ritrovato l'arco lunato delle Cinque Terre che nasce dopo Portovenere e muore contro i dirupi del Mesco, ho ritrovato Riomaggiore, Manarola e in alto Corniglia, di poi Vernazza, Monterosso, vigne e oliveti marini, ho ritrovato a notte l'occhio del Tino cerulo e ogni luce dei cinque porti. Ho visto il retroterra brullo che finge strani luoghi come a margine di deserti, e ancor dirimpetto al mare, ho riconosciuto i Santuari di Montenero e di Soviore, ho incontrato al Passo del Bracco la via maestra che conduce alle cittadine del centro del golfo. Ascoltando la tua voce, Eusebio. Domani, ritornando in Liguria, avrò in tasca per viatico un libriccino di cento pagine, non certo il tomo dei miei venti anni. ALESSANDRO BONSANTI. FtrlpldJnllfid

Persone citate: Corniglia, Lucrezia Buti