A Port Arthur con un generale giapponese superstite dell'assedio

A Port Arthur con un generale giapponese superstite dell'assedio VIAGGIO 1 IN ESTREMO ORIENTE A Port Arthur con un generale giapponese superstite dell'assedio Dal nostro inviato speciale DAIREN (Manciuria), maggio). Ho riveduto Dairen, l'antica Dalny russa, che significa « lontana », cioè che rappresentava per l'Impero degli Zar qualche cosa al di là della quale non si poteva pensare di an manrnadare. Oggi quel nome non ha più si- ggnifìcato, soprattutto per i giappo-unesi. Infatti Dairen è uno dei punti'.die mancesi cheìmci a e n o e terminali delle ferrovx sui consimili della vicina Corea ha il vantaggio di essere presso a poco al riparo dalle violenze tifoniche ed assai più prossima a Mukden. Decadenza di Vladivostok Dairen oggi è in gran voga, avendo da poco tolto a Vladivostok tutte le prerogative. Infatti, a parte la chiusura che si può considerare definitiva della ferrovia dell'est mancese (Harbin, Pograniskaia, Vladivostok) la quale portava sino al principio dell'anno corrente i due terzi dei prodotti mancesi nella provincia marittima sovietica, Vladivostok si è uccisa privandosi della mano d'opera cinese insostituibile nel porto. Le Autorità sovietiche della « Sokolflotte » dopo essersi incamerate le rappresentanze delle Compagnie marittime straniere che mandavano i vapori a caricare i cereali di Manciuria a Vladivostok, pretesero di pagare i « coolies » cinesi in rubli mentre prima, nella zona del porto franco, essi avevano sempre percepito dai caricatori non russi moneta nipponica. E' stata una fuga generale di cinesi dalla provincia marittima per tutte le strade che menano in Manciuria e Corea. I sovieti tentarono di impedirla ma non vi riuscirono malgrado impiegassero largamente la mitragliatrice, Conclusione: Vladivostok che sino al gennaio scorso superava Dairen di due terzi nelle esportazioni di cereali anche per la maggiore capacità dei vagoni russi (sino di 40 e 50 tonnellate) in confronto a quelli giapponesi e per la più moderna at'rezzatura del porto ch'è effettivamente superlativa, assiste impotente al risorgimento di Dairen divenuta si può dire il solo sbocco mancese in condizione di sostituire il rivale del Pacifico Che a questo mirassero i sovieti è difficile supporlo, ma in Estremo Oriente essi sono nella condizione di dover subire passivamente le con sequen.e della creazione dello Stato mancese. Fra le più evidenti sta pre cisamente la decadenza fulminea di Vladivostok dove sono bastati, pochi mesi per ritornare alla condizione di cinque o sei anni fa, con le montagne di materiale americano che arrugini scono sulle calate assieme a migliaia di tonnellate di sale abbandonate a fondersi sotto la pioggia, con le strade della città simili a terreni bombardati, i cento chilometri di rotaie e do Vladivostok al confine traballanti sulle traversine marcie e la linea del l'Amur dove i treni procedono a dieci chilometri all'ora. Subire il Giappone! Ecco la vera condizione dei Sovieti da queste par ti. Di tutto l'immane lavoro compiu to dalla Russia rossa per rivoluzìo nare l'Estremo Oriente era lecito attendersi come risultato minimo l'avvento di una repubblica socialista mancese-mongola che si sarebbe aggregata alla Confederazione sovietica. Viceversa persino Vladivostok, dove s'era concentrato lo sforzo siberiano maggiore del piano industriale sta per morire e i comporta menti russi di fronte all'espansione nipponica sul. Continente hanno il carattere delle misure affannose c spesso errate nelle quali si cerca di salvare il salvabile. Quindi ritiro del materiale ferroviario mobile, loco motivo e vagoni dalle linee russo-cinesi del nord-Manciuria, materiale che era l'alimento principale di Vladivostok, ed ingiunzione ai russi che vivevano in Manciuria di rientrare nei confini siberiani. Questi provvedimenti vennero interpretati in Occidente come prodromi di guerra, viceversa non furono che il frutto della genuina paura russa dinanzi al grande risveglio nipponico: la ripresa cioè della formidabile partita con il nemico ereditario. Russi e giapponesi Ma l'esodo dei russi di Manciuria in Siberia traduce pure la fissazione sovietica che la salvezza della Confederazione risiede unicamente nella prosecuzione del piano industriale. I russi di Manciuria erano per la mas- i e n .'\sima Varte tecnici della ferrovia. La . 'penuria in Russia di cotesta specie idi persone è tale che il ritorno in pai tria di diecimila tecnici controbilan a eia a giudizio sovietico il disastro - morale e materiale delle rmuncie in £-l¥JSS5S^^J^£^ * °gm HSs1rcbtdtsbllrdnarplzDcontatto diretto con la Cina. Ma chi può credervi? Chi riesce nell'esamina degli elementi in gioco a persuadersi che la futura produzione industriale russa già sin da loro compromessa dalle condizioni di a Vladivostok e in generale delle co- e o municazionì siberiane, varrà da sola a neutralizzare l'azione giapponese nel Continente? Prima ancora che i russi riescano a rimediare all'insanabile congestione di Vladivostok e a rabberciare in qualche modo la lun ghissima linea ferroviaria dell'Amur, u giapponesi saranno sull'altopiano '.di Cita al quale si adduce così facilìmente da Harbin per Tsitsihar ed i e a a e i a a , e l c i l e e e n , o l n a e a I - a e o n m Hailar. E quando le bandiere % del Sol Levante sventoleranno lassù, ci si domanda che cosa rappresenterà 10 spiegamento dei Corpi d'esercito rossi lungo il gran fiume, ottenuto con tanta pena. Le armate bolsceviche potranno bensì tentare un'avanzata diretta attraverso l'aspro impervio boscoso e disabitato Heilungkiang per combattere una grande battàglia decisiva sulle rive del Sungari attorno Harbin, sperando in una vittoria che sola potrebbe rimediare al taglio delle loro comunicazioni con la Siberia centrale ed il resto della Confederazione derivante dalla conquista nipponica di Cita, ma neppure i nord americani, grandi sostenitori odierni, delle qualità belliche dell'esercito rosso, osano attribuirgli simili propositi offensivi che farebbero fra l'altro il gioco dello Stato Maggiore giapponese. Queste ed altre simili considerazioni aleggiano oggi nell'atmosfera di Dairen, enorme città con pochissimi occidentali, una grande popolazione giapponese e vasti quartieri formicolanti di cinesi e di coreani. Città commerciale e industriale anzitutto, ricavata dal nulla, cioè costruita su sterili roccie c divenuta a furia di pozzi artesiani e di bacini raccoglitori di acqua piovana, stazione di villeaaiatura. r, spiaggia fra le più attraent-' d'Estremo Oriente. Città, aggiungo, che rappresenta 11 prototipo di quelle che il Giappone medita di costruire in Manciuria ex-novo, come ha fatto in Corea, man mano che il suo grandioso progetto economico-sociale relativo al nuovo Stato sarà tradotto in atto. E' in Manciuria che l'Impero verrebbe trasportare tutte le sue industrie, ioglieiìdo dal territorio nazionale la causa principale delle agitazioni interne cioè riconducendo alla terra ed al mare le classi operaie che ne furono avulse nell'ultimo trentennio. Programma ciclopico Per raggiungere i suoi alti destini egemonici, il Giappone deve rimanere per un secolo almeno un popolo dì mldati c <li marinai, un generatore pressoché inesauribile di uomini di lotta provenienti in maggioranza dai contadini e dai pescatori. L'officina, secondo i giapponesi, compromette le qualità militari della razza e la grande industria favorisce pericolosamente il diffondersi nel popolo delle degenerazioni occidentali. Inoltre il trasferimento pressoché totale delle industrie dalle isole in Manciuria con l'impiego della mano d'opera cinese, diminuirebbe grandemente il costo dei prodotti, aumenterebbe l'emigrazione cinese nel nuovo Stato e quindi la sua popolazione e porrebbe i centri di produzione a diretto contatto con i mercati della Terra Fiorila. Basta enunciare In lince essenziali di questo ciclopico programma pronto ad essere integrato da una azione militare capace di demolirei ogni velleità di riscossa sovietica, affrontando anche una guerra il cui indubbio risultato sarebbe la perdita da parte della Russia della costa del Pacifico e della- Siberia orientale sino al lago Baìcal, per misurare la mediocrità de! piano industriale sovietico in Siì>cria, mirante anch'esso ai mercati cinesi, ina che astrae da ogni azione di difesa gianponese in Manciuria c presuppone la durata indefinita in questo paese del suo particolare disordine politico, accanto a quello vastissimo dell'intera Cina. Nessun straniero che arriva a Dairen ricorda che il territorio è ancora almeno nominalmente cinese; i giapponesi, dopo la vittoria sulla Ricssia, l'ebbero in affitto dalla Cina ver 99 anni, di modo che nel 2003 dovrebbero andarsene, ma c'è ptepfgrPdgpgfMndrdi mezzo fra l'altro il Manciukuò,cioè la Manciuria nipponica che Zoe o a i - reclamerà prima. Ma oneste sono considerazioni oziose. La verità è che non esiste un punto del continente tanto giapponese come Dairen, anzi esso è la vera zona sacra del nipvoncsimo. Per convincersene. b'soana vedere arrivare qui daVGianvonc inoltrarsi nel velica no a Port metri da Dc>rc.n. sull'estremità dél-la penisola del Kuantung nonghmtadaun istmo ai TAaotuva, cioè aTl'ap-he chiudependice della Marrtwrin oli al nord il nólfo dì Pecili. Port Arthur è il Carso del Giap- pone, anzi i giapponesi non ammettono che la grandezza dell'assedio e la carneficina per la presa della piazzaforte siano state superate da fatti consimili durante la grande guerra in Europa. L'affermazione è ridìcola solo che si consideri che a Port Arthur caddero in undici mesi di lotta 14 mila russi e 20 mila giapponesi, vale a dire meno delle perdite di una sola giornata nelle grandi battaglie attorno Verdun e fra italiani e austriaci sul Carso. Ma l'Europa è lontana ed i giapponesi hanno un culto molto mediocre dei meriti altrui specialmente guerreschi slnpbvlmlcmnctdIn ogni modo a constatare com'è\dconservata Port Arthur che ì nipponici chiamano Ryojun, si direbbe che la guerra nivpo-russa del 19041905 è finita ieri. Una magnifica noda larghissima conqiungono Dairen alla piazzaforte. Secondo l'ufficio turistico di Dairen, l'ima e l'altra non hanno paragoni al mondo per l'amenità dei luoghi che attraversano. Ma l'incallito viaggiatore occidentale riserva la sua ammirazione alla sola Port Arthur che la merita effettivamente per la stranezza di quella baia ovale lunga cinque chilometri, larga due, chiusa come uno scrigno, circondata da presso dalla fungaia delle sue colline tragiche, irte di tutti i loro forti dai nomi che corsero il mondo e collocata proprio all'estremo del vaese, della Manciuria, che torna ad essere la terra della grande disputa fra Oriente ed Occidente. I forti delle colline hanno cessato di rappresentare una funzione multare qualsiasi, sono unicamente cimiteri di memorie, lasciati nelle drammatiche condizioni degli assalti che li fecero cadere; non così le batterie a mare munite di cupole corazzate e di cannoni abbastanza recenti c di lunga portata. Due città, la Vecchia Ryojun e la Nuova, divise dalla collina sormontata dai tempio scintoista ai caduti giapponesi e dall'ossario russo, s'affacciano alla baia e contano complessivamente 130 mila abitanti. C'è anco ■ ra qualche cosa di russo nella fiso nomia della città vecchia, costruzio ni massiccie, di stile siberiano, presenza delle tipiche troike moscovite trascinate dagli ispidi cavallucci mancesi, con Z'ivolsci, il cocchiere, in palandrana di velluto stinto. Soltanto il cocchiere è cinese. La città nuova è atnpia, moderna, ordinata ed. incolore come Dai- ferrovia elettrica ed una aùtostra-\tf, .rcn. La prima visita c al Musco del-\1 assedio nella citta vecchia, che ?c-\cupa l antico Circolo degli ufficiali\russi. E collocato nel fondo di una\specie di imbuto, al congiungimenAio delle ertissime strade che mena-\no alla corona dei forti orienta!i\che il pellegrino nipponico e i sol-)dati destinati in Manciuria v>sitanotulti, salendo e scendendo da uno all'altro muniti d'una buona scortadi branche verdi da deporre comeomaggio nei punti abbondantemente imbevuti dal sangue generoso de<tliassalitori. Nel Museo è riunito tutto, ma assolutamente, tutto ciò che ha servilo nell'assedio. Non mancano neppure gli isolatori del telcarafo e le sputacchiere degli ospedali, nonché una collezione abbondantissima di divìse imperiali russe ed una scric di ritratti dei rapi giapponesi e russi spaventosi d'orrore e di fattura. Il gen. Hirose In una sala del Musco si dà il soffitto. Si alza lo sguardo e si scorge nel tetto un buco e l'azzurro del cielo. E' il foro fatto da una granata nipponica caduta sull'edificio... Il particolare può dare un'idea della diligenza con la quale i giapvonesi cercano di conservare nell'intera piazzaforte la « voce parlante delle cose » com'essi dicono e nel caso specifico, quella dell'assedio. Mentre visito il museo vi entra il generale Hirose, comandante di una fresca divisione arrivata ieri a Dairen dal Giappone destinata a Harbin. seguito dal suo stato magaiore di ufficiali solidi, quadrati, tozzi, dalle fisonomie dure, starei per 'dire spietate. naso contro un cartellino appeso ul// quadro è suggestivo perchè inopinatamente mi dà la sensazione umana di che cosa sono questi alti comandi nipponici, penmsi di bushido sino alle midolla, cioè della co- scienza clic lora del Lriavpone 6V.suonata, l'ora imperiale *cllc grandi \che, entro lo spazio di pochi anni a-fard resa insostenibile la posizione\di. ogni competitore in Estremo O-.riente. Gli ufficiali sono ineleganti, ma correttissimi. Ascoltano ad occhi socchiusi la parola del loro generale che al tempo dell'assedio era tenente. Vado incontro ad Hirose e mi presento. E' un uomo piccolo, glabro, asciutto, d'età indefinibile e dal viso assai bruno. Tiene la destra alla visiera del berretto durante il mio piccolo discorso d'introduzione, la toglie per prendere la carta di corrispondente di guerra rilasciatami dal Consolato Generale giapponese di Shanghai e la guarda bene come per convincersi della mia identità. A convinzione avvenuta, mi prodiga un piccolo sorriso cerimonioso, una stretta dì mano e: — iVoi partiamo domattina — mi dice: — L'autorizzo a viaggiare nel nostro treno. Sarà un'onore per me ospitarla nel vagone del Comando della Divisione. Vado con Hirose sulla collina dei s,nntu<ari, il miglior nunto per contemplare le due città, la corona dei forti sulle colline e sopratutto lo specchio azzurro della baia chiusa. - Ryojun — mi spiega il generale — che i cinesi chiamano Lushum — venne battezzata Port Arthur dai franco-britannici nel 1857 quando la scelsero come asilo delle] loro flotte che allora stavano « inducendo » la Cina ad aprire i suoi porti settentrionali e il Giappone a fare altrettanto. Sulle navi inglesi si trovava il Principe Arturo, diventato poi Duca di Connaught e per questo il porto prese il suo nome. — Ma è vero che la Cina lo fortificò magistralmente, sino dall'88? — E' verissimo. Li Hong Chang, il grande statista cinese comprese subito che il luogo era il più adatto a dominare il Mar Giallo settentrionale e ne fece la base della flotta cinese del nord. E' per questo che nel 1894, allo scoppio della guerra fra Giappone e Cina, noi dovemmo investirlo e conquistarlo con un disperato assalto durato un giorno. Ma la Germania, la Francia e la Russia ci costrinsero a restituirlo alla Cina e ad assistere impotenti, due anni dopo, all'insediamento moscovita nella baia e a Dairen. In otto anni la Russia ne fece quel capolavoro di fortificazione che ci impose durante l'assedio del 1904 le più ardue e sanguinose prove. Esse furono però quelle che « resero note le buone attitudini militari giapponesi nel mondo ». — Lei conosce Vladivostok? — chieggo al generale. — Sì, la piazzaforte sovietica è molto più importante di Ryojun che .in fondo è una baia ristretta, men\tre Vladivostok è ampia tre volte, \egualmcntc chiusa e più moderna\mcnie fortificata. \ „ . . . . . . ... A ~ Cred.e lei chc % Giapponesi di\v?rrann° >»."»! Prossimo futuro an\che vadrom di Vladivostok? ) — Chi può dirlo? E' una doman\da alla quale forse potrebbe rispon dcrc solo il marchese Saio (il Primmo ministro giapponese succeduto lal collega ucciso dagli ufficiali della marina imperiale per le sue ten,denze agli accordi pacifici con la Russia) che non ha voluto saperne di patti di non aggressione con la Confederazione delle repubbliche socialistiche sovietiche. cazione — Lei era tenente all'assedio di Port Arthur? — Facevo parte delle due Divisioni che a quattro riprese fra il 19 ed il 24 agosto 1904 tentarono di prendere d'assalto la linea nord-est \dci forti. Eccoli là! Sono cinque, tut¬ ti ad est della ferrovia. La piazzaforte era già isolata per mare e per terra, la baia era stata bloccata da ■navi commerciali fatte affondare all'entrata, ma quel primo assalto generale fu infruttuoso. Vi perdemmo settemila uomini e d'allora s'iniziò l'attacco metodico con le gallerie... E il generale Hirose continua nell'evocazione. Ha il braccio teso nella direzione del forte di Tung Chi Kuan sugli spalti del quale, lanciato in aria dallo scoppio delle formidabili mine russe, scomparve il generale Samejima che precedeva la sua brigaita all'assalto. Hirose pronunzia a vo-fatarti nipnonici immolatisi a Port ^A^ihurT'circo^fon^Ye^aridc còli 'turo chiamati dalla voce di Hirose \ceneraie oianponesc superstite delh'assedio di Port Arthur accorrono ^sull'estrema punto 'iella Manciuria! ce alta il nome del caduto mentre gliuffidali della Divisione s'immobiiiz-zanocon la mano al berretto. Unvento violento ci percuote, agita lernrrlp timholichn del tnr rhp enanrAcorae simooncic aei tor aie segnal'enlrata alla spianata del santuario contenenti le ceneri dei ventimila l ARNALDO CIPOLLA.

Persone citate: Consolato Generale, Hong Chang, Port, Principe Arturo, Tung