Hairaddin Barbarossa e Andrea Doria

Hairaddin Barbarossa e Andrea Doria CROCE E MEZZALUNA SUL MARE DI PREVESA Hairaddin Barbarossa e Andrea Doria La flotta Cristiana agita al vento 1 cimolle del Sud stendardi e gonfaloni. | mSono 144 galee e 51 navi, montate da sessantamila uomini di mare e di terra e amiate da 2590 cannoni. Romani all'avanguardia. Genovesi e Napoletani al centro, Veneziani alla retroguardia: le navi a vela a marevia, in due stuoli — genovese l'uno, veneto l'altro — prueggiano verso le coste azzurre di Prevesa, sotto il comando di Andrea Doria. E' il 25 settembre 1538: il sole gitta fiamme vermiglie sul verde cupo dell'acque. Sulla Capitana sparvierata, presso il Castello centrale — dove governa il Sopracòmito — il vecchio principe di Melfi, l'audace espugnatore della « Briglia », forse per la prima volta, è pensieroso. La sua volontà, che chiara lucida e veemente comandò finora al suo grande cuore, è oggi fredda, incerta, quasi inerte. Dinanzi a sè — oltre la sua nave forbita — egli non vede che nera foschìa... Non sono l suoi settantadue anni quelli che pesano òggi sulla sua complessa e alta statura! Di fronte a lui, la terribile armata di Hairaddin Barbarossa, spalmata a Chio e disteso sul Castello di poppa della nave ammiraglia lo stendardo del Gran Signore, aspetta, impaziente; l'urto nemico. Sulla Capitana dell'Osmano Corrono anni di straordinaria ventura per gli Ottomani: non v'è marina pari alla loro. Non solamente le armate del Gran Signore scorrazzano i mari; ma il « corseggiare » è in fiore in tutto il Mar Nero, sulle coste d'Africa, d'Asia e d'Europa. La Barberia e le bgacil'dzaamvfumtetiplaebrmbnscrgfCgaatdverdi isole dell'Arcipelago, forniscono*dmarinai eccellenti; le navi sono sempre sparvlerate e forbite e corrono veloci i mari Cdri^artigirèMe' numerose e potenti. Epoca di gioventù, di azione e di audacia. Alle piccole sovranità municipali, è succeduta la faticosa formazione delle grandi monarchie. Ma le « gesta eroiche » continuano nei tornei. Vive tuttavia la cavalleria nel secolo di Baiardo e di Gastone di Foix. Ma risaliamo sulla Capitana di Hairaddin Barbarossa. Ai due timoni, lunghi remi accavalciati a scalmiere: stanno i Sottocòmiti attenti al cenno del Còmito ritto sulla prua, mentre i remieri — seduti al banco e constretti dallo spazio — sono tutti tesi nell'ansia. Ormai sulla galea corsara, dalla poppa vermiglia e dalla prora guernita di cannoni e di colubrine, non più le giovani scolte di guardia — chiuse nelle lucenti corazze — ascoltano l'eco festosa del conversare del Signore sotto il ricco tendale. Ora anche il Condottiero di Solimano, è molto pensieroso. H grande Osmano, fa ora l'appello del suo Passato. Figlio di un marinaio di Parga, allevato sulle coste della Dalmazia da corsari turchi, Hairaddin era divenuto — il 27 giugno 1523 — ministro ottomano. « Quando Dio dà una carica — dicono i Turchi — dà anche la capacità di coprirla ». Cosi Ibrahim Pascià, gran Visire e la bella Rosselana dal crin di viola come Saffo — moglie del Sultano Magnifico — avevano accolto il giovane audace con pompa grande in Stambul. Ora la voce di Hai raddin può giungere fino sulle mura di Galata ed egli può sedere da Signore alla presenza del « grande reggitore di tutte le cose di terra e di mare », il Gran Bascià. Di capelli fulvi, di barba folta, lo « schiumatore » si nota per il suo lab bro pendulo, che lo fa alquanto bleso nel parlare e gli dà l'aria del perfetto predatore. E' superbo, vendicativo, spietato; ma sa assumere, quando occorre, maniere gentili, affabil femminee, massime nel sorridere con volto composto a dolcezza. E' un grande attore, ma è anche il più grande amico dei suoi subalterni. Hairaddin non è quindi un volgare intrigante: ricco di una fiorita squadra di galeotte e di fuste, parla molte lingue, è dottissimo sul corso delle stelle e si compiace di avere ora fra gli schiavi delle sue galee « forzate », taluno che studiò la gaia scienza e la volle più gaia nel menar vita gaudente ad Arli Ai Provenza, dove le donne son cosi vezzose... La « schiuma » del mare Tale è il re dei pirati, che « schiu ma » le marine dell'Arcipelago, di Sicilia, di Napoli, di Genova e che mDqcsDilrcdcppmdAottcsmtmiscdrmv—dcdsmcSsdtvivepgddmtgnissfHsptscrive la parola « fedeltà » nelle irre- tquiete acque del Mediterraneo. Hai-.rraddin ha raccòlto ora attorno a sè tutta la « schiuma » del mare : Assanagà, rinnegato sardo, per suo luogotenente; Haidine delle Smirne, detto il « Cacciadìavoli », per Caposquadra; il Giudeo per Capo di Stato Maggiore; Tobach, Solech, Mani-rais per suoi aiutanti. Ha fatto imbarcare gli Angariati per i primi, quindi i Raisi, capitani di galea; infine gli Azapi e i Giannizzeri d'ogni grado. I Raisi hanno cinquanta aspri al giorno, gli Azapi otto aspri e i galeotti cinque aspri. Allorché il sole sta per piegare verso ponente, Hairaddin fa venire vicino a sè i musicanti.: pifferi, nacchere, trombe e tamburi. Egli pensa con Marin Sanudo che « nessuna cosa incute .terrore al nemico e coraggio agli ami- rdpszgzdàtEgrpt quanto il suono menti ». dei bellici istru- Improvviso il grido di «Allah akar! » echeggia insieme al fischio luno del Còmito: il tonfo dei remi in cqua, il clangore metallico delle bùcine, il rullo cupo delle nacchere e urlo saraceno Aur — ripetuto in caenza tre volte — seguono con irruena veemente e fragorosa. La prima essere investita, è la/nave di Condulmiero. Ma Andrea Doria — improvisamente — lascia il «passo» e a uria di remi si distacca rapido dalla mischia. Non è la sua una mossa straegica. E' la fuga. Perchè? I Condotieri di Roma e di Venezia sono stu iti, sono atterriti. Si precipitano sula Capitana, che raggiungono a fatica, supplicano il Duce di investire suito il nemico. Il Condottiero supremo isponde calmo, sicuro: — Tornate a bordo e aspettate i miei segnali. E alla sera, il Capitano che in Bareria aveva catturato nove galee, otto e aveva incendiate liberando mille chiavi cristiani, tornando a Genova ol principato di Melfi e il Toson d'Oo, mentre riprende la brezza dal largo dà al Sopracòmito l'ordine della uga: — Sciogliere le vele e rotta Corfù! L'eroe invitto di cento battaglie fugge. Perchè? Gli Osmani non credono ai loro occhi. La Flotta Cristiana si allontana intanto veloce, a lumi speni. Si direbbe che sia una strana fuga di fantasmi. Hairaddin Barbarossa respira. Poi per divenuto faceto, dice forte sU prìncipe Andrea non vuole lumi che gli rischiarino la fuga. Cosi finisce la giornata di Prevesa. Dal Vilajet di Giannina giungono quando a quando col vento della notte anti di gioia. Tutta la Cristianità è intanto scosa da febbrile indignazione. Di Andrea Doria, dice uno storico, non è messa n dubbio la naturale intrepidezza, ma a fede. Solo Carlo V è contento. U e che già nel torneo di Valladolid reava, appena diciassettenne, sulla gualdrappa ricca d'oro e di gemme del suo cavallo il motto Mondila — dice con profondo senso di gratitudine: — Il Pontefice può aver fallato, io posso aver fallato, i Vepeziati pure, ma non può aver fallato messer Andrea! II mistero di una battaglia Come mai tanta sollecita difesa? Andrea Doria agì dunque in virtù di ordini-segreti? Si deve forse alla sotile politica del re malinconico, tendene ad accordarsi col Barbarossa anziché a concedere a Venezia un trionfo ul mare, se la battaglia di Prevesa mancò così stranamente? Si vuole inatti che Carlo V, dopo aver compromesso Venezia in una guerra contro l Gran Signore, non pensasse che di ottrarre la sua flotta dal cimento, accordandosi segretamente con Hairaddin. Luigi XIV, alleato dell'Inghilterra, nel 1673 non raccomandò forse al maresciallo d'Estrée — allorché lo Inviò a raggiungere il principe Rupert — di lasciare le flotte inglesi e olandesi a distruggersi a vicenda, ponendo, can manovre abilmente false, la squadra del re fuori dell'azione? Ma Andrea Doria ha profondo senso « pratico » ed è uno di quegli uomini che lasciano viva traccia nei secoli. Egli è l'uomo più discusso della Storia; ma è l'uomo dei suoi tempi. Il suo pensiero e quello di Machiavelli, di Carlo V, del Borgia, di Clemente Vili. Egli appartiene alla « primavera italica ». Dicono gli orientali che regni hanno le primavere come le vite umane: tutto loro sorride allora, e niente eguaglia il fascino di questo periodo troppo corto, ove i popoli ringiovaniscono nella persona di un seducente sovrano. E il motto famoso di Barrére si direbbe che corra pel mondo: «Periscano le Colonie, piuttosto che un Principe! ». Andrea^ Doria sa che il genio dei grandi Capitani consiste soprattutto nel presentire la parte che prenderà l nemico e sa che la strategìa non è, spesso, che una applicazione giudiziosa del calcolo delle probabilità. Ed è forse per questo che tutte le volte che Hairaddin Barbarossa e Andrea Doria si trovarono di fronte, evitarono sempre uno scontro decisivo? Perchè si trattarono sempre con singolare cor- esia? Volevano entrambi non porre a rischio la loro bellta fama di guerrie ri invincibili? Era cavalleria? Fra i due uomini ci fu sempre un accordo prestabilito? E', questo, un mistero storico;.. Tuttavia nel campo delle supposizioni, tutte le ipotesi sono possibili... E mentre Andrea Doria saldamente garantisce alla Spagna la preponderanza marittima nel bacino occidentale del Mediterraneo, l'armata ottomana àncora a Vado e alla Spezia e rispetta cavallerescamente averi e persone. E poiché tutti ne menano meraviglia grande, Hairaddin Barbarossa dice fieramente: « Non farò mai niente in danno del principe Andrea, che mi ha risparmia-to a Prevesa!... ». ALFREDO ROTA.