La Torre e il Torro

La Torre e il Torro La Torre e il Torro EEro la treI lavori di via Roma avanzano; e chi li osserva progredire si domanda come mai ci vollero settanta annetti, in cifra tonda, per risolvere un problema che, all'origine, probabilmente, non era cosi spinoso come divenne poi. Ma rimane un altro monumento, e più vene- | l'arabile, della... furia con cui si proce- ; disdeva a Torino; ed è quello spigolo del nePalazzo di Città all'angolo di via Cor-!C]lte d'Appello, che va pian piano assu-|su mendo l'aspetto di un rudere nell'at- regramvirrondi costusimnigiqutodetesa sempre vana di trasformarsi in torre comunale. Sanno i miei lettori da quanto dura quell'attesa? Da 143 (diconsi centoquarantatrè) anni! Enfoncée via Roma! Proprio cosi: l'anno degli immortali prìncipii e della presa della Bastiglia quel mozzicone di torre, iniziato l'il novembre 1786 sui disegni dell'architettò Filippo Castelli, aveva già raggiunto lo stato in cui tuttora si trova. Gli immortali prìncipii hanno oramai ripassato le Alpi (buon viaggio!), i Re di Sardegna sono Re d'Italia, Torino non è più Capitale, la popolazione è passata da 92.000 abitanti a 600.000, l'a3petto della città è in gran parte mutato, ma il mozzicone è sempre là, tale e quale, ad attestare che... non è deposta l'intenzione, una volta o l'altra, di portare la torre al suo compimento. Progetti non ne mancano; ancora nel secolo XVIII, oltre a.l Castelli, ne avevano fatti il Bonvicino, il Giay, il Barberis, il Viano ed altri architetti, e l'Archivio civico ne conserva gli interessanti disegni. E poiché oramai fortunatamente sono passati i tempi dell'inerzia, io spero che tra le riforme che il Podestà intende fare al Palazzo Civico possa trovar posto, in un avvenire non troppo remoto, anche questa, * s * Della più antica torre comunale posta all'angolo delle vie Garibaldi e San Francesco d'Assisi non possiamo farci un'idea molto precisa, perchè tutto quel che ne sappiamo si riduce... al nome di Gioanetto, che ne era il custode nel 1335, e alla retribuzione di questo benemerito funzionario, che era di cinque fiorini. Sembra però che il monumento affidato alle cure del buon Gioanet non fosse di troppo solida costruzione, visto che il Comune non si arrischiava ad appendervi una campana: quando aveva bisogno di convocare la Credenza maggiore, faceva suonare dalla vicina torre dei Bor- l'apltomtuqupeunavme rinlizè PadegeCasttaiscPinimtebegesi. Ma circa il 1375 si cominciò a'geinnalzare un edilìzio più robusto, che'.Dverso il 1389 doveva essere finito o quasi se vi si potè in quell'anno collocare una campana, acquistata d'occasione dall'abate di San Mauro. Sarebbe lunga la storia dei rimaneggiamenti subiti da questa seconda torre, alla quale non tardarono ad essere aggiunti un orologio e una cuspide o agucchia, che nel 1575 fu decorata con fregi di rame e sormontata da una gran croce in bronzo dorato, l'asta della quale attraversava il corpo eli un toro rampante, anch'esso di bronzo, con le corna e la coda inar gentate e l'arme di Savoia. Il buon bestione (che gli Ordinati del Comune chiamano un torro grosso come un gran mottone) era vuoto; e il vento 18tuafsesuanfugidochmvegprscnee passando nelle sue viscere gli faceva}*emettere degli strani rumori che oggi farebbero l'effetto di un discorso trasmesso per radio, e a quei tempi si chiamavano muggiti. A chi passava per la via quel bizzarro bovino doveva fare un'impressione singolarissima, perchè se veramente la torre era alta, come dicono, diciotto trabucchi cioè 55 metri, e se il torro aveva soltanto le dimensioni di un gran mottone, visto dal basso doveva sembrare appena un gattino, animale che non suole muggire... Ma il Comune fu soddisfatto egualmente, tanto che a ciascuno dei quattro mastri da bosco che avevano lavorato a mettere a posto il torro fece dono di un cappello del valore di 8 fiorini. Verso la metà del Seicento la povera torre, benché non fosse poi tanto vecchia, era di nuovo in cattivo stato; e perciò nel 1666 — l'anno in cui nacque Vittorio Amedeo II fu necessario uno tuspdeapdhmsochpcomadi quei restauri che equivalgono ad ad"cntqztdr£ostr=e. Se qS'cosa deT suna l'antica struttura medioevale si era conservato fino allora, in quell'occasione ne furono distrutte le ultime tracce. Nell'assedio del 1706 la torre servi, naturalmente, di vedetta; vi si stabilì un tal Giuseppe Chiaves, deputato per \osseruare col canociale li andamenti de? nemici, insieme con due aiutanti, Giuseppe Forte e Paolo Massa. Quella continua sorveglianza, che riuscì molto utile, non era priva di pericoli perchè i francesi — è superfluo dirlo — prendevano continuamente di mira la torre, facendole gravi danni; e non fu certo immeritata la gratificazione accordata, ad assedio finito, ai tre osservatori, in più della paga pattuita di 30 soldi al giorno. Il Chiaves ebbe 225 lire, il Forte 100, il Massa 50. Il torro invece non corse nessun rischio; fin dalla metà di giugno, cominciato appena l'assedio, fu calato e messo in salvo in un magazzino, dove stette fino al 1713. Dispiacque al fiero animale quel vedersi cosi costretto a far la figura dell'imboscato, o avvenne qualche guasto nel trasporto? Il fatto è che, disceso al pian d'i) babi, il toro non volle più saperne di muggire; e furono necessarie amorose cure per restituirgli la favella. Trovo infatti in un Ordinato della Congregazione civica in data 22 luglio 1713 che qualch'uno d& nostri signori conseglieri haueua dato il disegno per un ordegno da mettersi dentro del Toro, qual l'hanerebbe fatto muggire quando ui sarebbe vento, come faceua quando è stato colocato soura dett'agulia; e più tardi il consigliere auocatto Croce, d'accordo con alcuni matematici, propose ancora una modificazione al congegno in modo che •.il bravo toro dovesse muggire anche quando stavano per suonar le ore. La 'proposta fu approvata; fu poi eseguita! ,' Non lo so. Certo è che la mattina del UpdpaanvfAsbcliddlmgqlgopdnlsI2 "settembre 1713 i buoni torinesi vi- j dero con immenso giubilo il cornuto ' I emblema riprendere il suo antico posto, I secondo la predizione di quel D. Ta- ! rizzo che nei non elegantissimi versi ' piemontesi dell'Arpa discordata narrò'a'modosuo Fa storia dell'assedio e che, • quando aveva visto portare in basso il toro, aveva sentenziato che Alfln de l'historia Exaltabitur cornu eiug in gloria. fPoiché mi è venuto sotto la penna il f ome di questo Tirteo dell'assedio, ciiamo un altro passo dell'Arpa, in cui si parla delle cure che si prestavano ai feriti, fra le quali c'era quella D'ajutejo con do cordiai E de loie bei ve de quand en quand El Bossoli del S. Durand. Questo sor Durand era un acquavitaro che aveva bottega a pochi passi dalla torre, e che fece fortuna, a segno che trentanni più tardi, quando si iniziò l'allargamento di "Bora Grossa," f suoi discendenti poterono costruire, proprio nello stesso luogo, il magnifico palazzo C]le ora porta il n. 23 di via Garibaldi su disegni del grande architetto monregalese Francesco Gallo. Con ciò i rampolli del quondam acquavitaro, in virtù dell'Editto 27 giugno 1736, poterono trasformarsi nei conti Durandi di Villa. Questa famiglia si estinse nel 1791 con Felice Nicolò, uomo coltissimo e studioso di letteratura, la cui ricchissima biblioteca avrebbe dovuto divenir proprietà della. Città di Torino. Ragioni molto discutibili impedirono che quell'ottimo divisamento avesse effetto; ma è giustizia ricordare il nome del benemerito cittadino. Ma l'Editto del 1736, che ordinava l'allargamento di Dora Grossa, fu implicitamente la sentenza di morte della torre, che sporgeva sul nuovo allineamento e guastava la visuale. Si sperò tuttavia un momento di poter evitare quella penosa necessità, quando si seppe che a Crescentino, il 29 marzo 1776, un semplice muratore, Giuseppe Serra, aveva spostato un campanile alto 40 metri. Il Serra fu chiamato a Torino e studiò un progetto; ma vi si dovette rinunziare perchè richiedeva la demolizione di altri fabbricati. E siamo alla fase finale. La vecchia tonvdivpprosepfeducmra23sufutamvillarilamc torre avrebbe dovuto essere abbattutanon appena fosse compiuta quella nuo-va; arenatisi, come ho detto, i lavoridi questa, tutto rimase in sospeso. Poivenne la rivoluzione, e cominciaronopeggiori guai; nel 1798 le lastre dipiombo che rivestivano Vaqncchia fu-O(,om«t«. „„i <v,-„^ aìm rono strappate; nel giugno dell'annoseguente, quando ì russi di Souwaroff,padroni della città, scambiavano... conafetti coi francesi asserragliati in citta-della, la povera torre ne buscò dagliuni e dagli altri In quella confusione l'orologio, già cosi celebre per la sua precisione, si mise anche lui a fare i caprìcci, come racconta il nostro amico Don Bertetti: Chi Fa. prchò l'ariosi dlt dia Tòr Fr fé ch'ai fa.sso a va pi gnente bin? A lo arancio matr'ara sta mutili E peu a la seira as fa pi non onòr. N'imperfession paria, l'cu propi por Ch'a riarsa dop ch'a l'è vnù Giacobini Prima l'era tut autr, ma *l birichin Prnticand ehi sa chi l'ha cambia umor.Ma. pr autr, esaminane! sua maladia Ch' vira volta l'obligli- sempre a coro I decido ch'a l'è «dissenteria.»: E coni mal ven sovens ria pur spavent, E dcò a sarà prchè, fra j'aitre dmore, Nost Goern veul lvè à la Tór i i'onriameut.Don Maurizio fu facile profeta; il 23 aprile 1801 il povero Torro, con un supremo muggito, lasciò la guglia e fu calato abbasso. Doveva essere portato al Museo Nazionale, ma probabilmente prese la strada della Zecca, dove già erano andate tante campane, e il bellissimo stemma di bronzo, modellato sotto Emanuele Filiberto da Mario d'Aluigi, che stava sulla porta della cittadella, e l'altro gigantesco stemma che ornava il Palazzo di Città. La torre cadeva sotto il piccone pochi giorni dopo. Quando la vedremo risorta? E. B.

Luoghi citati: Assisi, Crescentino, Italia, San Mauro, Sardegna, Torino