Piacenza per l'arte italiana

Piacenza per l'arte italiana GIORNATE DELLA « SETTIMANA » PIACENTINA Piacenza per l'arte italiana Piacenza, 9 notte. '« Primavere » o « settimane », Giugno genovese, Biennale veneziana, Moda torinese, Bue grasso novarese, In questo scorcio ira primavera ed estate mezza Italia è un invito a uscir di casa per andarsene da luogo a luogo, un invito a interrompere la monotona vita sedentaria con qualcosa di inaspettato e di fresco, a ricercare amici lontani e dispersi, insomma a conoscer meglio questo nostro Paese benedetto che più lo si percorre e lo si studia e io si ammira più lo si ama e se ne trae sorprese, come avviene per | le persone che ci sono più care e ri- ] mungono quindi ragione inesauribile | di commozioni nuove. Ma che proprio Piacenza oggi avesse da venire a ri- ( cordarci fino a qual punto la passione per l'arte possa raggiungere forme di nobiltà, di generosità, di purezza, questo, ecco, non l'avremmo creduto. Torto nostro, ma torto anche d'una delle tante pigre abitudini del pensiero chej purtroppo impastoiano metà della nostra vita spirituale, errori o pregiudizi che si vogliano chiamare, e dalle quali invece converrebbe scuotersi per finirla di truccar la verità con quei ,« sentito dire > che sono il troppo facile sapere degli ine ili. Ci ricordavamo d'una Piacenza sonnolenta ed àtona, adagiata sulla sua campagna piatta, d'una città intravVista fra due treni militari nei giorni che tutti quanti s'era in grigioverde e su questo colore quindi avevan spicco soltanto i grandi fatti, le grandi azioni, le grandi parole. Poi l'avevamo riattraversata in tempi di squallore e di rinunzia, che le città — non fosse stato che nell'anima — ahimè si assomlgliavan tutte. Perciò i « sentito dire » avevano anche maggior presa, e quando udivamo parlare d'una Piacenza senza risalti, senza fisionomia inconfondibile e netta, d'una Piacenza da andarci in pensione frusti da una qualunque carriera, non ci veniva spontaneo di reagire, neppure In omaggio al superbo Duomo, alla possente mole lombardesca del Palazzo del Popolo, o ai due sontuosi giambologneschi Cavalli del Mocchi da Montevarchi. I nomi del Tramello, di Gian Paolo Pannini, di Gaspare Landi, di Stefano Bruzzi restavano realtà a sè, Isolate dalla loro patria; nè la grandezza antica romana, la prosperità comunale che di qui creava traffici di tessuti (specie il fustagno) con tutta Europa tanto che l'origine di alcune famiglie piacentine è da ricercarsi in Iscozia e in Germania, le pittoresche 0 tragiche vicende dei Visconti, degli Sforza, dei Farnese, giovavano con le loro reminiscenze culturali a scuotere un'indifferenza torpida per questa città che invece tanto diversa dalla sua falsa immagine ci è apparsa stamane nella serenità del giugno finalmente maturo. SI che ancora una volta riconfermiamo la necessita di muoversi, di uscir dal chiuso, di andar proprio là dove meno è di prammatica andare ogni volta che si fanno le valigo, perchè questi luoghi un po' negletti — appunto — sono quelli che poi riservano le sorprese più grate e più cordiali. **" '' Un mecenate '* "E''là Cordialità di Piacenza s'è manifestata completa oggi ch'era la quinta giornata della «settimana» organizzata dal podestà colonnello De Francesco, un soldato che ha tre medaglie d'argento sul petto, allo scopo di infonder, si, maggior vita alla sua città, ma soprattutto per render popolare in Italia la Galleria Giuseppe Ricci-Oddi, per additare come un esempio il gesto magnifico di un mecenate autentico, merito del quale è se Piacenza ha questa volta da esser posta all'ordine del giorno dell'arte italiana. Perciò il Podestà aveva invitato a visitar la Galleria un nucleo di artisti, di buongustai delle cose belle, di giornalisti venuti da Torino, da Milano, da Genova, da Brescia, da Bologna, da Cremona e da altre città ancora. ' Chi fosse il nobile Giuseppe RicciOddi anche prima che donando ai suoi concittadini una raccolta cominciata quasi a caso e facendosi iniziare al gusto della pittura dall'amico Carlo Pennaroli, rendesse noto il suo nome al gran pubblico, ben lo sapevano i più valenti artisti italiani che nel riseryatissimo e silenzioso gentiluomo avevano trovato, meglio che un compratore, meglio che un ricco largo di aiuti, un amico ed un giusto apprezzatore. Se la sua vastissima corrispondenza trentennale coi pittori e gli scultori nostri' potesse venire integralmente pubblicata, ne verrebbe fuori un'infinità di aneddoti Ignorati, gustosi e rari. « Desiderando giovare al suo nobilissimo scopo, vorrei pure offrirle l'occasione, se vi consentirà, di vedere alcuni studi e quadretti del mio indimenticabile maestro A. Fontanesi, 1 quali potrebbero essere ceduti da un mio condiscepolo ed ameo, e ad ogni modo le riuscirebbero interessanti », scriveva nel 1913 Marco Calderini al Ricci-Oddi, ed era questo il suo primo approccio al grande paesista emiliano; e Medardo Rosso, dal canto suo, iniziando una corrispondenza metà francese e metà italiana e meneghina col gentiluomo piacentino, incideva sulla cera dell'Ecce Puer a punta di chiodo queste parole: «A te Ricci el to Rosso »; mentre Pietro Fragiacomo, Mario De Maria, Michetfci, Mancini, Carena, Tosi, Canonica, cento altri giovani e vecchi (e molti d'essi sono oggi scomparsi) usavano con lui espressioni dalle quali traspare ora l'affetto, ora la gratitudine, sempre la grande e schietta considerazione. A poco a poco, cosi, in comunione Ideale con gli autori, la bella raccolta andava crescendo. Venne alfine il gesto nobilissimo, l'offerta del 6 marzo 1924, e tanto semplici ne furono i termini, che davvero vai la pena di riferirli come un esempio: «Premessa la mia ferma intenzione di donare al Comune di Piacenza la mia, raccolta di quadri contenuta in apposito edificio che io costruirei a mie spese, qualora il Comune me ne apprestasse, gratis, l'area sufficiente e conveniente, delego con questo biglietto il slg. comm. Giulio Arata, architetto, e il dott. Torquato Vitali, notaio, ad iniziare per mio conto le eventuali trattative col Comune stesso pel raggiungimento dello scopo suddetto ». Sette anni dopo il bell'edifìcio dell'architetto Arata, con sull'ingresso i bassorilievi del Marami, sorgeva sul terreno comunale di via S. Siro, e la Galleria Ricci-Oddi diventava una pubblica ricchezza di Piacenza, una delle belle cose che si possono vedere in Italia. Non è questo il momento fe del reato il tempo ce ne mancherebbe) di il¬ luune chLvivetrdaNditeè seni(esicenenealtagacotalisgluntotidnspcmnremgMnsVdricgddAtrspzlissccdrcl'pqtoTdtqFcSFabtptnLrsglVptlnglBStMMmFvcmnDgvssAadgbtlèsqdsNpsgqcdspifggI I 'sI i' ustrare o di commentare criticamente n complesso di 423 opere di scultura di pittura che — ad eccezione di pohe tele straniere (Villegas, Egger Llenz, Vogel, Le Page, Koopman, Raier, Menard, Diaz, Delaunols, De Aendano, Moser, Klimt, e qualche alra) riflettono aspetti dell'arte italiana all'Ottocento di Hayez e di Gigante al Novecento, di Tosi, di Salietti, di Funi, i Carrà, di Campigli, sempre tuttavia enendo conto che il maggior sviluppo dato alla pittura c alla scultura del ecolo scorso, o quanto meno alla «maiera» ottocentista. E' il caso piuttosto e ne persuade anche una visita brevisima a queste più di venti sale) di acennare al gusto che guidò la formazioe della raccolta. Non un eclettismo geerosamente largito alla buona firma, l bel pezzo, alla tendenza rappresenativa, come potrebbe verificarsi in una alleria civica qualsiasi dove troppe oncessioni si debbon fare, e non solanto all'arte; ma un criterio personassimo ed aristocratico che faceva sceliere questo Carena e non quell'altro, n Fontanesi di specialissimo significao, poi un Mose Bianchi di sapore paricolare, e del Michetti o del Mancini o el Ranzoni o del Cremona o del Carevali prediligeva certe forme, certi apetti, certi momenti. La Gallerìa Ricci-Oddi Ne è venuto cosi un tutto organico, che ha l'impronta di un uomo e giustamente, oltre che per l'antica proprietà, ne porta il nome. Molte di queste opere sono ormai celebri (o notissime almeno presso tutti gli studiosi e tutti gli amatori d'arte), dal Morticino di Michetti (replica del Morticelli che sono a Chicago) ora esposto nella retrospettiva michettiana della Biennale di Venezia, al Ritratto del cav. Bianchi del Cremona, dal Giardino Reale di Torino del Calderini alla Partenza dei coscritto di Gerolamo Induno, dai Cugini di Cesare Tallone a Le fumatrici d'oppio del Prevlati. Ma ciò che si deve dire ben forte, è che la sala dedicata ad Antonio Fontanesi, trenta dipinti e rentaquattro acqueforti rarissime, studi, schizzi, disegni, carboni, è la più perfetta, la più completa documentazione dell'arte del maggior paesista itaiano dell'Ottocento, dopo la raccolta esistente nel Museo Civico di Torino. E saremmo persino tentati di aggiungere che il Giappone rustico, una delle pochissime testimonianze del soggiorno ded Fontanesi in Giappone, che Sulle rive del lago dì Ginevra, opera ancora curiosamente acerba e dipinta sotto 'influenza diretta del Calarne, sono pezzi di interesse anche superiore a quello di qualsiasi altro complesso fontanesiano. Insomma, chi vuol studiare oggi il sommo pittore emiliano, dopo Torino deve rifarsi a Piacenza. E non è dir poco. Qualche nome? Segnaliamo innanzi tutto — per la rarità — Ravier, che ha quattro piccole tele da gareggiare col Fontanesi; poi, alla rinfusa (si tenga conto che qui la divisione è regionale) Stefano Bruzzi, macchiaioli a iosa da Fattori a Cristiano Banti, da Signorini a Boldini, da Lega a Sernesl ad Abbati; nove Mancini fra i quali il Ritratto del padre e un Pastorello della prima maniera napoletana ch'è un portento; un caro Raffele vecchio di almeno quarant'anni, un Pasquini, Pasini, Luigi Serra, Morbelli, DeUeani, Calderini (quei giovanotti che guardano le sue pitture ed un poco sorridono vengano a Piacenza a fermarsi davanti alla Vài d'Aosta), Quadrone, Pellizza da Volpedo, Pollonera che non sappiamo perchè non sia stato messo coi piemontesi, Grosso, Avondo (e sotto un Follini che ne regge il confronto), Ranzoni, Cremona, Segantini, Canonica, Pagliano, Conconi, Faruffinl, il Picelo, Gola, Gignous, Bazzaro, Belloni, Wildt, Barabino, Innocenti, Gigante, Morelli, Spadini, Carena, Zandomencghi, Trentacoste, Palizzi, una mezza dozzina di Michetti, Fragiacomo, Ciardi, D'Orsi, Medardo Rosso, e via via moderni come Spadini, Carena, Carrà, Boccioni, Funi, Tosi, Salietti, Campigli. E' davanti a questi morti e a questi vivi, che Carlo Carrà ha tenuto la sua conferenza sull'arte contemporanea. H miglior pubblico piacentino (assistevano il prefetto S. E. Selvi, il podestà De Francesco, il dott. Anguissola segretario federale, il comandante la Divisione generale Bes, il console De Cesare, l'on. Giarratana venuto da Brescia, il direttore della Galleria, il slg. Ambrogio, che è un poco il factotum artistico di Piacenza, artisti numerosi da Tosi a Monti, ed un gruppetto di giornalisti) era curioso di ascoltare il battagliero pittore che qui è rappresentato da una tela di inconsueta cordialità coloristica. Ed il discorso del Carrà è stato largo e vario, ricco di ricorsi storici e di spunti polemici, personale quando il tèma volgeva all'oggi, rivendicatore di primati italiani quando s'addentrava nell'esame del passato, Non ci è possibile consentire su ogni punto con quanto ha detto questo artista che quando scrive sembra battagliare per il suo credo di pittore, e quando dipinge sforzarsi di dimostrar coi colori le sue teorie; allo stesso modo che francamente dissentiamo dalla sua pittura quantunque oggi non trovi più contrasti. Ma è certo che il suo, in molti tratti, è stato un esempio di franchezza, e di una rudezza di cui oggi la oritica, più ancora che dell'intelligenza, avrebbe bisogno. Da Bruzzi al Medioevo Infinitamente placida, dopo la schermaglia oratoria, ci è apparsa la pittura del mite Stefano Bruzzi, piacentino, di cui s'era qui allestita forse la prima importante mostra postuma. Placidità di pascoli, quiete di animali brucanti od in riposo, umidore di teneri boschi, silenzio di lontani paesaggi. Un piccolo ideale espresso con candore commovente, un macchiettismo talora un po' trito e oleografico (dove andarono i ricordi della battaglia macchiatola?), ma una sincerità illustrativa inesausta, che si ripeteva con ostinazione modesta. Ventun anni sono ormai passati dalla sua morte, e dopo tanta polemica recente, questi ritorni paiono riposi un poco tristi, immagini d'un tempo pacato e raccolto, tanto diverso ormai da questo nostro vivere di lotte e di pericoli. Non un grande artista, certo, ma un uomo sincero, che non truccava le sue debolezze, e talora saliva alla I poesia. I Accanto a lui i giovani pittori pla'centini avevano allestito una loro mostra, dove le trentaquattro pitture di Osvaldo Bot, futurista, scoppiavano coime fuochi d'artificio. Il Bot non esitò a farsi fotografare, con la sua chioma 'da aeropittore, tra le gentili abitatrici dadimstecouncofinnotracotecepeavapcaLvepidisucimrocasacdeleè toavlicivofil'asanlidsasc0 zoOddridfagbaccccinbddcvplaphcaagtc1dpapmvpmccpdpmtgSetblnbtdmmtncgcadpgogrtmsmadnnplèulmltptrigpt di Grazzano Visconti vestite in costumi del Duecento e Trecento, durante la visita al curioso borgo che il capriccio erudito del conte Visconti di Modrone ha creato a sedici chilometri da Piacenza in stile medioevale; e certo il contrasto fu del più anacronistici. S'andava girando, sempre guidati dal podestà De Francesco che si dimostrava un ospite squisito, tra queste architetture Due e Trecentesche, con un senso di profondo stupore. Là un distributore di benzina occhieggiava col suo rosso fiammante a lato d'un finto gotico, qua una targa per telefono pubblico faceva bella mostra di sè tra due lampade di ferro battuto. Una cosa da far ruggire dì furore gli architetti razionalisti, Marinetti e il Novecento. Ma la messinscena — ove solo per questo aspetto la si considerasse — aveva una sua grazia, e cosi schietta appariva la falsità del belletto, cosi candido il trucco, che ogni bollore po¬ a o — a i ¬ lemico si placava dinanzi all'ingenuità del maestro di scena. Qui erano le stanze di Ettore Sartori, « Bottega d'arte antica, Mobili in stile antico », là quelle di Cesare Leonardi, « Lavorazione artistica del ferro battuto in istile antico »... Si entrava, e si vedevano dei giovani garzoni addestrarsi a scolpire il 't^H6 ai?attfn Al sotti°1,U.seff?0 stilistlco di sei o di sette secoli fa. Ma sopra un tavolo scorgemmo un volume Illustrato, di dove i ragazzi toglievano modelli : Otto von Falko, « Deutsche Mobel des Mittel Alters und der Re nalssance ». Ahimè, che da un tedesco s'andava a Imparare l'imitazione dello stile che fu di Firenze c di Siena... Ma ciò può esser materia d'altro discorso E il pittoresco dell'ambiente forniva una nota varia alla bella giornata che Piacenza aveva dedicato all'arte italiana. MARZIANO BERNARDI.