"Apocalisse"

"Apocalisse"s"Apocalisse" Negli ultimi anni della sua vita, trovandosi a villeggiare nei dintorni di Firenze, già attaccato dal male che doveva condurlo alla tomba ancor giovane, il romanziere D. H. Lawrence si era appassionato alla vita ed ai costumi del popolo etrusco, di cui aveva visitate le vestigia a Roma, a Orvieto ed a Volterra, ed aveva in animo di scrivere su di essi qualcosa di molto personale: un romanzo o. forse, un lungo saggio fantastico ed evocativo, nel quale potesse effigiare il suo grande amore per la vita, che in quel popolo ammirava grandemente. Non so s'egli sia arrivato a soddisfare questo desiderio avanti che la morte lo cogliesse. Comunque fu da quella passione etnisca e in genere da quel suo compiacimento per remote lontananze storiche che nacque e prese corpo in lui l'inspirazione di scrivere alcune pagine su ^Apocalisse di S. Giovanni di Patmos : questo grandioso poema allegorico, vendetta di un cristiano colpito dalla legge romana e nello stesso tempo atto d'accusa contro la paganità trionfante. E Apocalisse è appunto l'ultimo libro, un libro postumo dell'autore di Sons and Lovers, oggi tanto discusso in tutto il mondo letterario. E' un libro non lungo e che non vuol essere nè un'esegesi scientifica nè un'analisi storica di quel sacro testo, ma, un poco come tutti gli altri libri del Lawrence (ancorché in questo di Simbologie e agiografia si ragioni a volte), pretesto a liberare e ad esporre idee care all'Autore, a farvi fiammeggiare un po' dappertutto una festa d'intuizioni e di paradossi, spesso sorprendenti e geniali. Ancora qui vi trionfa l'ardente fede del Lawrence nella bellezza e continuità della vita, il suo fondamentale concetto netta libertà dei sensi, che negli ultimi anni era diventato per lui alcunché di propriamente ossessionante, come una specie di religione che aveva per Iddio l'istinto e il sesso. Apocalisse però, è tanto più difficile a riassumersi poiché, come si rimane esitanti se qualificarlo un saggio fantastico o una confessione, cosi la materia densa e poetica dei pensieri che vi si affollano gli conferirebbero il carattere quasi di un testamento letterario e spirituale ; e che ci è tanto più prezioso se lo consideriamo come documento vivo di una tumultuosa vita d'artista e di moralista che si chiude : a splendici valediciion, come ben lo definisce Richard Aldington che per questo volume postumo del Lawrence ha scritto un'affettuosa prefazione sotto forma di lettera alla compagna di lui. Apocalypse insomma, si riallaccia a quei libri di filosofia introspettiva, passionale ed egotista che il Lawrence veniva scrivendo in margine alla sua attività di romanziere, come Fantasia and the Unconscious, ed è pieno di quel maschio fervore spirituale che nella vita e nell'arte gli faceva anteporre la qualità dei sentimenti e l'intensità delle sensazioni alla supremazia dell'intelletto. Verso la fine della sua vita il Lawrence scrisse due libri, che ancora sono poco noti al pubblico : The Man who Died e Apocalypse, ed in questo egli raccolse, per così dire, un ultimo sforzo per farsi comprendere dai molti che l'ascoltavano o che non erano riusciti a capire il suo credo. Assai probabilmente il Lawrence era stato affascinato dalla gloriosa bellezza della simbologia pagana che risplende nélY Apocalisse di Giovanni: e come poeta era stato attratto a scriverne qualcosa. Oltreché egli deve aver veduto in quella grande Imagerie l'espressione poetica e profetica di un'umanità primitiva, ancora in pieno contatto col Cosmo, « breast to breast with the Cosmos :> : rara qualità e privilegio, egli afferma, che si è venuto perdendo coi tempi e che può esistere solo in epoche di grande e perfetta plenitudine di vita : al di fuori, cioè, di quello che egli chiama il nostro Ciclo, « il ciclo della filosofia platonica, spirituale, della_Cristianità e della scienza ». "Che vigorose ed alate pagine suggerisce al Lawrence il concetto di questa vita solare degli uomini antichi ! La sua rude prosa acquista in quei punti gli accenti dell'inno, della lamentazione, e forse mai la sua voce ci è apparsa tanto purificata come quando ci descrive questi perduti mondi di santità e bellezza terrestre. « Noi e il Cosmo siamo congiunti in uno. Il Cosmo è un vasto corpo vivente, di cui noi siamo ancora una parte. Il Sole è il grande cuore i cui brividi scorrono attraverso le nostre piccole vene. La Luna è il brillante centro-nervoso da cui noi riceviamo le nostre sensazioni vitali, per sempre... Ma noi oggi abbiamo perduto il Cosmo. Il nostro Sole è affatto differente dal Sole degli antichi, più triviale. Il grande Sole simile ad arrabbiato drago odia la bizzosa ed egoistica coscienza ch'è in noi. E tutti costoro che prendono bagni di sole dovrebbero pensarci su perchè essi alla lunga si fanno disintegrare dal sole, che dovrebbe invece abbronzare le loro carni ». Ma il Sole, simile a leone, ama il rosso, vivido sangue di vita e può infinitamente arricchirlo, se noi sappiamo come accoglierlo in noi. Ma non sappiamo, perchè abbiamo perduto il Sole. « Ed anche la Luna ». « Gli amanti che a notte si colpiscono a morte, nel terribile suicidio d'amore, son resi pazzi dall'avvelenate frecce di Artemide : la luna è contro di essi». «Noi abbiamo perduta la Luna, nella nostra stupidità, noi la ignoriamo, ed essa arrabbiata guarda giù su di noi e ci colpisce con la sua frustata nervosa ». Nel complesso, però, non essendo rApocalypse opera di erudizione, le sue pagine più belle, quelle che potremmo isolare per nostro compiacimento e vantaggio intellettuale sono le pagine idilliche o quelle dove_ il Lawrence elabora personali intuizio-eOSrfvmleSctlsEllrdntptmlscni: poeta e stilista adorabile egli v e i l e a i , n a i a afferma il suo disperato amore di vita, la sua cosmica, poetica sensualità, e in omaggio a queste è portato spesso a rovesciare brillantemente valori e concetti comunemente accettati. Originali certi suoi apercues sulla Santità. Il Santo per troppo desiderio e furore di dominare il mondo nel futuro, negando i poteri presenti diventa malefico. «Ogni Santo diventa malefico nel momento ch'egli tocca la collettiva personalità degli uomini, e perciò è un pervertitore. I grandi Santi sono per l'individuo soltanto e cioè per un solo lato della nostra natura : poiché nei profondi strati della nostra natura noi siamo degli esseri collettivi : e di qui non si esce ». E mirabili pure le pagine dove parlando dei cavalli dell'Apocalisse effonde un inno alla bellezze spirituale del cavallo, di questo nobile e storico compagno dell'uomo, e le altre dove ci discorre della poesia emozionale dei primi uomini. Egli ha voluto illustrare un doppio tema : il tema della grande avidità di potere che sta in fondo ad ogni dottrina cristiana e l'audace ipotesi che molta parte della simbologia dell'Apocalisse è stata tolta da antichissime cosmogonie precristiane. E questi due temi si alternano e s'intrecciano nel libro con vivace abilità letteraria. Cosa notevole è poi, come osserva l'Aldington, che in questo libro, che è il libro di un morente, vi appaia tanta energia, energia di stile, di affermazioni, di eloquenza poetica. Raramente come in questo libro il_ Lawrence ha dimostrato con maggior vigore ed evidenza la sua disperata e spasimosa aspirazione verso la vita alta e nobile degli antichi, che, ignorando ogni sopraffazione dell'intelletto, campavano in relazione melodiosa con le forze elementari del creato. Il libro sì apre con alcune tenere pagine descrittive in cui l'autore ci narra le prime esperienze religiose della sua puerizia nella cupa chiesetta annessa ad una miniera del Derbyshire, dov'egli era nato : ricorda la voce monotona e reboante del Pastore che spiegava all'adunanza le invettive dell'Apocalisse contro i ricchi della terra, contro ì detentori del potere terrestre. Poi ci mostra questo desiderio del potere vibrante nella predicazione cristiana, questa bramosia di distruggere Babilonia, simbolo della potenza e della magnificenza del mondo, e con essa come questo grande vangelo di odio si- sia infiltrato tra gli altri Vangeli d'amore. La religione di Cristo, egli dice, è religione di individuo, ma gli uomini amano vivere in collettività, e alla collettività non basta l'amore di Cristo : la collettività adora la splendida gerarchia dei potenti. Così attraverso la lunga analisi dei « vecchi simbolisti » e delle loro cosmogonìe, Lawrence ci propone una spece di suo credo che, secondo l'Aldington, si potrebbe definire brevemente in sei punti : i) Nessun uomo può esser un puro individuo soltanto. 2) Lo Stato, o ciò che chiamiamo Società come un tutto collettivo, non può avere la psicologia dell'individuo. 3) Lo Stato non può essere cristiano. 4) Ogni individuo è un'unità di potere mondiale. 5) Come cittadino, come essere collettivo, l'uomo ha il suo compimento nella soddisfazione del suo senso-di-poten za (Power-sense). 6) Avere un ideale per l'individuo che miri solo alla prò pria entità individuale e ignori la propria entità collettiva è, alla lunga, fatale. Forse per la prima volta nell'opera del Lawrence appare questo concetto dell'individuo considerato come collaboratore della collettività, come frammento, non isolato ma efficente, del grande aggruppamento umano. Ed è mirabile pensare che questa visione sia venuta a lui negli ultimi anni della sua vita, sul termine cioè di una vita d'artista che fu sempre solitario, innamorato di una sua solitaria concezione dell'uomo, o che tale almeno " sempre era apparso al mondo dei suoi lettori. Quantunque, a ben osservare, pure nella disordi nata passione sensuale che infiamma, come lo spirito di una nuova e stra-^ na religione dell'istinto, le pagine dei suoi romanzi tanto letti e tanto be stemmiati dalla pruderie anglosassone vi era già in embrione un nucleo di poesia che tendeva ad allargarsi verso una più ampia e generosa inspirazione d'umanità. In fondo quelle forme di feticismi sessuali, nel loro crudo e disperato attaccamento alla vita, alla sua bellezza e al sano furore dei suoi stimoli primordiali erano assai più prossimi ad una grande passione d'umanità quanto ne sono lontani oggi le morbose e sinistre rappresentazioni dei pornografi da salotto o da taverna. « Ciò di cui l'uomo occorre più appassionatamente è il suo vivere in pienezza, il suo vivere all'unisono, e non per la isolata salvezza della propria anima... Per l'uomo la più grande meraviglia è ancora l'essere vivo. Per l'uomo, come pei fiori, per le bestie e per gli uccelli il supremo trionfo è di esser vivo nel modo più vivido e più perfetto possibile... Io sono parte del sole come gli occhi sono parte di me. Che io sia parte della terra lo sanno i miei piedi, perfettamente, e il mio sangue è parte del mare. La mia anima sa ch'io partecipo della razza umana, la mia anima è parte dell'organismo della grande anima umana, come il mio spirito è parte della mia nazione». CARLO LINAT1. sfsTsapsocclIopsdcèdptcpdmlqttsMamplsmfdtmatccdzzaz

Persone citate: Aldington, D. H. Lawrence, Richard Aldington

Luoghi citati: Babilonia, Firenze, Orvieto, Roma, Volterra