" La còntrà dle Marole,, e la storia vera di Gabriella de Mesmes de Marolles

" La còntrà dle Marole,, e la storia vera di Gabriella de Mesmes de Marolles " La còntrà dle Marole,, e la storia vera di Gabriella de Mesmes de Marolles Tre sorelle... di cui quattro virtuose e una pecorella smarrita - La giovanissima favorita di Carlo Emanuele II - Dal Palazzo dei conti di Cavour in Piazza San Carlo alla « Vigna di Madama Reale » - Il figlio salvato dal capestro Non è certo impossibile che qualche torinese anziano frugando tra 1 ricordi infantili rammenti che nel tempo dei tempi certi vecchi più tenacemente attaccati alle antiche denominazioni chiamavano cantra die Marole l'attuale via Principe Amedeo (escluso però il tratto medioevale tra via Roma e piazza Carignano che era contrada del Putetto e poi della Verna). Il Governo napoleonico aveva ribattezzato la strada in me de Tilsit; dopo 11 1814 si disse borghesemente contrada del Teatro d'Angennes; e loro, i buoni cari vecchietti, sempre impavidi a ripetere contro, die Marole, con quella magnifica ostinazione con cui certi loro nipoti fino all'ultimo respiro chiamarono ambarcadero 'd Novara la stazione di Porta Susa. Ma chi erano, o cos'erano queste Marole? Una corporazione di mestiere, o dei vegetali, o l'insegna di un'osteria, soliti padrini 'delle vie torinesi? Una confusa tradizione parla di tre sirene diaboliche, tre maliarde allettatrici, splendenti di luce sinistra nella galante e festereccia corte di Carlo Emanuele n — tre creature che stavano fra Messalina e Madame de Pompadour, e forse peggio — e queste Circi del Seicento sono le tre Marole. Tante per cominciare: i tre moschettieri erano quattro, ma le tre Marole ■ erano cinque; proprio cosi, le cinque figlie del marchese Francesco de Mesmes de Marolles, Cavaliere dell'Annunziata, prode e onorato gentiluomo, francese di nascita ma passato ai servigi del Duca di Savoja fin dai tempi di Carlo Emanuele I. Di quelle cinque sorelle una sola peccò, l'ultima; di modo che, a conti fatti, su tre Marole ne avremmo quattro irreprensibili, il che mi sembra un vero record. Monsieur Prudhomme sentenzerebbe che non tutte le famiglie possono dire altrettanto, ed avrebbe ragione. Nell'antro della sirena Comunque, veniamo alla quinta delle Marolles, a Gabriella, la peccatrice; e dove la tradizione ci dipinge un mostro, si scopre... una pecorella smarrita. Una sirena c'è veramente, e della peggiore specie: Giovanna Maria di Trécesson, amica di Carlo Emanuele II (al quale aveva dato due figlie e un figlio) e moglie del compiacente e arrendevole marchese Pompilio Benso di Cavour, il che non le impediva di far contento anche un terzo, il marchese de Villecardé de Fleury (Il palazzo De Fleury era al n. 4 di piazza S. Carlo, quello di Cavour al n. 6; e la virtuosa dama aveva fatto aprire un passaggio segreto dall'uno all'altro). Morto nel 1662 il marchese di Marolles, la vedova con le due ultime figlie, Teresa e^kkbrieUs-tie-due-prime-errano già sposate, la terza si fece monaca nel '63 a Chambéry) si diede a frequentare continuamente la Trécesson; e fu in quell'ambiente corrotto che il Duca mise gli occhi sulla Gabriella, ancora quasi bambina — era nata nel 1651 o '52!. — Cosi, a maggio dei 1665, in occasione del suo matrimonio con Maria Giovanna Battista di Savoja-Nemours, egli nominò Gabriella de Mesmes de Marolles figlia d'onore della nuova Duchessa. Di 11 a pochi mesi un clamoroso scandalo travolgeva la Trécesson, co stretta a fuggire a Parigi; e il Duca non fu tardo a sostituirla con la Marolles, alla quale forse pensava già da tempo. La povera fanciulla aveva per. duto qualche mese prima la madre; priva di qualunque appoggio, a'.levata in quella scuola di virtù che era la casa della marchesa di Cavour, fu facile preda di un conquistatore esper to, affascinante, seducentlssimo, e non è affatto meraviglia. n Duca, che non soleva far mistero delle sue passioni, mise a disposizione della nuova favorita la Vigna di Madama Beale, sulla collina di fronte al Valentino, dove già aveva dimorato la Trécesson; e più tardi le trovò anche un marito, Carlo delle Lanze, conte di Sali e Vinovo. Il matrimonio fu celebrato il 3 dicembre 1667, e il 30 luglio 1668 nacque un pargoletto, Carlo Francesco Agostino (delle Lanze, non dimentichiamo!). Il figlio della colpa Chissà quante congratulazioni aifortunato papà di quel precoce rampollo! Ma 11 bravo Conte aveva buon carattere; prese tutto con filosofia, e fece bene perchè una certa filosofia è molto utile in pratica; prova ne sia che due anni dopo gli capitò il Collare dell'Annunziata ! Vuole taluno che la contessa delle Lanze abbia dato al Duca un secondo figlio, detto il cavalier Carlino, ma il Litta ed altri gravi storici lo negano e fanno il Carlino figlio di una popolana, soprannominata to piatta; solo la malignità popolare avrebbe tirato in ballo la Marolles. E la storia è tutta 11. Non è, siamo d'accordo, un raccontino morale da introdurre in un libro di ammaestramenti per la gioventù; ma da questo romanzetto alle abbominazioni inven. tate dall'odio popolare, sempre implacabile contro le favorite, ce ne cor re! Aggiungo che gli ultimi anni di Gabriella de Marolles furono molto tristi, per opera proprio di Agostino delle Lanze, il figlio della colpa. Questi, è inutile dirlo, era cresciuto negli agi e nelle mollezze, nell'intimità con la famiglia ducale, ed aveva otte nuto sempre più alte cariche statali, finché nel 1721 fu nominato governa, tore della Savoja. In quell'alta posi uqtiuedisfvrCdtdgsgfisfBitvlmtosaeMsscanzione "egli avrebbe potuto essere'pie-namente felice, con la moglie e 1 duefigli; la cupidigia del denaro lo rovi-nò. Nel 1724, mentre la Provenza eradesolata dalla peste, merci provenientidalla zona infetta riuscivano a entra-re, in quantità non piccole, in Savoja e un'inchiesta rivelò ben presto che il Conte delle Lanze aveva accettato forti somme per chiudere gli occhi su queste importazioni. Investito del relativo processo, il Senato di Piemonte, il 19 febbraio 1725, condannò il figlio di Carlo Emanuele alla decapitazione ed alla confisca dei beni. Il briccone però p^':è salvar la vita; e qui di nuovo interviene una tradizione assai curiosa. Vuoisi che Vittorio Amefleo n adolescente avesse chiesto ad a n o a o i o o o à , un astrologo il proprio oroscopo e quello del conte delle Lanze suo fratellastro; ed ebbe in risposta che lui, il Duca, sarebbe morto arrabbiato in una gabbia mentre al conte doveva esser mozzata la testa. Impressionato da una così allegra prospettiva (sfido io!) Vittorio Amedeo avrebbe avuto sempre davanti alla mente quella prò. fezia; quando, molti anni dopo, già di venuto Re, vide che stava per avverarsi quella parte che riguardava il Conte, avrebbe temuto che lo stesso dovesse accadere anche dell'altra parte; e per conseguenza avrebbe cercato di stornare da sé il destino mandando a vuoto la predizione col lasciar fuggire il condannato. Sarà vero? La trista fine di Vittorio Amedeo nella prigionia di Moncalieri corrisponde cosi esattamente allo strano vaticinio da far pensare che tutto questo sia stato inventato più tardi (le profezie e posteriori sono sempre le più sicure); il fatto è che il conte potè rifugiarsi a Bologna, dove campò oscuramente e in miseria fino al 1749. Punire severamente il colpevole e tanto più severamente quanto più elevata era la sua posizione, era giustizia e nulla più; ma il popolo, in tutta la storia, più ancora che il castigo dei prevaricatore, non vide o non volle veder altro che il disdoro e l'avvilimento di colei che sessant'anni prima era stata la favorita, e che oramai, vecchia e stanca, viveva tutta occupata di opere caritatevoli. Vedova di Carlo delle Lanze aveva sposato in seconde nozze Giacinto Scaglia di Verrua, marchese di Caluso, munifico benefattore di Case religiose e segnatamente dei Preti della Missione fondati da San Vincenzo de' Paoli; e si deve in molta parte alla generosità dei due coniugi la costruzione della bellissima chiesetta della Concezione in via Arsenale, disegnata dal Guarinl e purtroppo sempre chiusa. Perduto poi, nel 1718, anche il secondo marito, la vecchia dama ne aveva continuato le buone opere, fors'anco per riparare al male fatto in gioventù — e improvvisamente si vide, per le colpe del figlio, travolta da un'improvvisa ondata di odio, avvilita, offesa, schernita, consigliata villanamente a spaìire, colpita a un tempo dai rancori del patriziato e dalla cieca avversione della plebe. Ma più di tutto l'amareggiava il pensiero del figlio lontano, in miseria, forse malato, e che non si poteva in alcun modo soccorrere; perchè il Re, avesse o non avesse agevolato la fuga, non aveva però perdonato e vietava anzi, sotto le più dure sanzioni, che al conte delle Lanze venisse inviato qualsiasi soccorso; e proibì persino alla Marchesa di Caluso di testare a favore del figlio o di comprar beni per lui. La vìa ha usurpato il nome Ma l'amor materno è ingegnoso; e le opere ch'erano state beneficate dai Marchesi di Caluso consentirono di buon grado ad assecondare le pietose astuzie della vecchia signora per far pervenire di nascosto qualche sussidio all'esule e per salvare un po' di patrimonio ai figli di lui: Gabriella, che sposò Imperiale di Saluzzo conte di Verzuolo, e Vittorio Amedeo, il futuro Cardinale delle Lanze, che, ultimo del nome, ne riabilitò l'onore. Gabriella de Mesmes de Marolles sdvcmdv_finl di soffrire U 22 febbraio 1729; chia-m<S PrPrlo nnivprqnlp la rasa dellp Mia- lilo erede universale la casa aeue Mis siom di S. Vincenzo, e volle esser se-polta nella chiesetta della Concezione. Per finire: nessuna delle tre (o cin-que) Marole abitò mai nella via cheda loro prese il nome. Ma il marchese Giuseppe de Marolles loro fratello, fra il 1683 e il 1689, fece costruire su disegni del capitano Garve il bellissimo palazzo al n. 34 di via Principe Ame- deo, ora proprietà Nasi; e morto luiimi ia«s in bum nasin in nrrmrietà nel 1865 la casa passo in proprietà delle tre sorelle superstiti, Clara con tessa di Martiniana, Teresa marchesa di Dronero e Gabriella marchesa di Caluso. La cà die tre Marole fu poi, com'è noto, dei marchesi di Breme, che nel '700 la fecero rimodernare elegantemente dall'architetto Castelli; indi passò ai TapparelU d'Azeglio, e vi nacque, il 24 ottobre 1798. Massimo d'Azeglio, il pittore letterato che do¬ veva aver il vanto - lui poliUco im- provvisato — di ricondurre il Piemon- te sul retto sentiero dopo Novara. Ufl compendio di Storia Ma di ricordi storici contra aie ^<t-d ij can, nelle Stansse a msè Edouard l'Interprete dell'anima piemontese fieramente avversa ai dominatori d'oltr'alpe. Al n. 22, il palazzo che fu Rémlnlac d'Angennes, ricorda la bella e nobile figura di Monsignor Alessandro d'Angennes, Arcivescovo di Vercelli, senatore e Collare dell' Annunziata, consigliere devoto e leale di Carlo Alberto in un'ora gravissima per la Monarchia sabauda. Più su, all'angolo di via Bogino, un altro palazzo rammenta il primo Capo del Governo costitu-Izionale in Piemonte, Cesare Balbo, e e suo padre Prospero, e il conte Bogi- no, il grande Ministro di Carlo Ema alnuele III — e poi c'è il gruppo dei i fabbricati che costituivano la sede dei --principi di Carignano, il palazzo cherole è piena. Al n. 48 è la Caserma do-ve, nel 1836, il capitano Alessandro La Marmora istmi i primi bersaglieri, e dove ebbe sede quel Battaglione Avia- tori che fu il primo nucleo dell'Avia- zlone italiana. Al n. 41 è la casa na-talo HpI mù grande fra i nostri Doeti tale del puigranoerrai nostri poeti Edoardo Calvo, che dapprima, come tanti altri, credette agli immortali pnn- cipit ma poi quando ebbe visto aJl'ope- ra liberté égalìté fraternità (i franseis an carossa e nói a pè, completava il popolo) divenne veramente nelle me-rnvlp-lioiP Favole moraì nella vetissiùn ravighose tavole morai, nena pensswn l o 9 i e d Emanuele Filiberto, il sordomuto sagace, fece costruire verso il 1680, e la piazza che ne era il giardino, e il vecchio edificio delle scuderie, tutto quell'insieme cosi ricco di memorie che vanno dal Principe Tommaso a Vittorio Emanuele n — e vi sono l'antica e la nuova sede del P. N. F. Sopra un percorso di neppur otto-cento metri, c'è in compendio la sto-cento iiicm, . ..,T. rla moderna del Piemonte e dell Italia.E. B.