Meini regola in volata a Firenze Guerra Binda e Stoepel

Meini regola in volata a Firenze Guerra Binda e Stoepel La più lunga tappa del Giro non lia mutato la classifica Meini regola in volata a Firenze Guerra Binda e Stoepel Oltre quaranta corridori irrompono in gruppo sulla pista delle Cascine - Le salite non hanno selezionato la compatta schiera dei concorrenti - Pesenti, giunto con i primi, è sempre detentore della « maglia rosa » - Demuysère non ha tentato l'offensiva contro il « leader» - Ilritiro'di Ganazza, P. Magne e Menegazzi (Servizio speciale dei nostri inviati)= Sono proprio commosso! Firenze, 30 notte, laDevo dirlo o non devo dirlo? uUno, due, tre, lo dico: oggi la novestra macchina è stata applaudita dai'gsimpatici ed entusiasti sportivi to- hscani. vSono proprio commosso! tAdesso che l'ho detto sono già ppentito. Veramente volevo, prima di iniziare questa corrispondenza, in-l viare un saluto appunto ai toscani e un complimento. Essi hanno saputo essere con i corridori di una gentilezza squisita, mantenendo, pur nella foga della loro passione per questo o per quest'altro corridore, una disciplina direi quasi deferente. Ho assistito a delle scene che non mi avevano per nulla edificato. Le accoglienze di oggi mi hanno fatto dimenticare e il mio animo si è avvicinato come non mai alla folla, sempre così pronta alla generosità. Credete voi che un corridore il quale comincia ad avere duecento chilometri nelle gambe possa avere la volontà e Ja pazienza di scendere magari di macchina a stringere la mano di uno sconosciuto o di riceversi sul viso quando non lo richiede un secchio d'acqua che gli toglie il respiro o un mazzo di fiori sulla testa che, data la sua eccitazione nervosa, lo stordisce, o, magari, una spinterella che invece di aiutarlo lo getta per terra? Evviva i toscani! Oggi ho veduto che i campagnoli idei Cimino si sono comportati come delle signorine. A tutta prima, scorgendoli di lontano, tutti affannati a correre su e giù per i prati tutti indorati di ginestre, ho avuto paura che succedesse qualche disordine. E' successo invece una cosa gentilissima. Quei vecchissimi uomini hanno cosparso la strada di petali gialli e profumati, poi, ordinatamente, si sono ritirati e hanno lasciato sfilare in santa pace il plotone che tirava il collo su per il ripido e lungo pendìo. Qualcuno, si sa, preso dall'entusiasmo e dalla pena, non ha potuto tenersi di spingere il corridore che gli passava vicino, sfiancato dalla gran fatica. Ma l'ha fatto con garbo e senza badare — questo mi è piaciuto più di tutto — se il ciclista al quale porgeva un momentaneo aiuto era italiano oppure straniero. Da Siena poi, anzi ancor prima di Siena, sino a Firenze, migliaia e migliaia di-persone hanno assistito al passaggio dei corridori; schierate sul ciglio della strada come se fossero dei soldati tenuti d'occhio dal loro comandante. Bravi toscani! Questa si chiama coscienza sportiva. E pensate che tutto ciò è avvenuto nella terra del Chianti, dove il vino è buono, e il paesaggio è così bel lo da mettere subito nello spirito una gioia, un'estasi frizzante, appe na contenuta dalla visione dei cipressetti allineati sulle colline. Cipressetti che hanno una punta di malinconica pensosità e che fanno da guardia alle vigne come per non la sciarne esplodere tutta l'esuberanza. A me piacciono tanto i cipressi e oggi ne ho veduti sfilare a migliaia durante la corsa della nostra automobile. Non so se a voi vi facciano lo stesso effetto, ma a me danno l'idea, quando li scorgo stagliarsi nel cielo, delle canne di un mistico ed immenso organo, dal quale quasi quasi mi pare poi di udire sprigionarsi come un'armonia larga e morbida, dilagante per il silenzio del cielo. Questo, lo so, non è ciclismo, ma abbiate pazienza se talvolta mi lascio prendere la mano dalla fantasia. Eppoi la corsa d'oggi, detto fra noi, è stata una gran noia. Per dieci ore abbiamo camminato dietro al plotone ad una velocità che vi preciserà fino al minuto secondo il mio amico Ambrosini. Sveglia a suon di scarpe Premetto che siamo stati svegliati alle 2,30 non so bene da chi. Io non ho udito battere all'uscio: ho sentito soltanto il tonfo di una scarpa del mio collega che, come al solito, con gentile pensiero, mi ha lanciato sul guanciale. Ricevere la scarpa, balzare dalle lenzuola, uscire dal letto, immergermi nel bagno, riuscirne, massaggiarmi e farmi il nodo dell'ultima cravatta che mi rimane è stato l'affare di un minuto. Io non so perchè il comm. Colombo, con tante ore che ci sono in una giornata, vada a scegliere proprio le più piccine, quelle che, quasi quasi, per pescarle, occorrerebbero le pinzettine dell'orologiaio e per pesarle la bilancia di un farmacista. Le ore antelucane sono invero piccole e leggiere, ma viceversa, poi, vi pesano sul cervello come dei blocchi di piombo. Dal cervello poi vi discendono nello stomaco e voi siete fritti. Ho detto voi, ma invece avrei dovuto dire io, perchè scommetto che neppure uno dei miei lettori, a malgrado del Giro d'Italia, ha avuto in mente di alzarsi prima del sole. Se aveste veduto come erano ben chiuse le finestre delle ultime ville della campagna romana, quando i commissari hanno dato il « via » ai corridori. Erano chiuse come le palpebre sugli occhi di un uomo che dorma come si deve e con la coscienza tranquilla. Non ho mai invidiato tanto come questa mattina, anzi come questa notte, i proprietari di ville con le finestre chiuse. Sul piazzale di Ponte Milvio, dove è avvenuta la partenza, c'era, per vero dire, una discreta folla, ma era composta dei soliti nottambuli accompagnati dalle solite nottambule. C'era anche un fotografo, il quale deve essersi specializzato nelle aurore e che, tratto tratto, per fare le evcdrhcHGggapteFtcqigCqtdEpggssctbdrqFcgnmmvpaslosdedmpìstgdmsltdLclgcrdcdpmrBmmpcfislsfialiMmnlcreccndrt lampo di magnesio per un povero uomo che, sdraiato dentro una macellina, abbia ancora il cervello impigliato nei dolci veli del sonno. Non ho mai mandato tanti accidenti in vita mia quanti ne ho mandati al fo- tografo ultra-mattiniero e ultra-lam- peggiànte. Sono ancora ta. e i i . e a e r a . e e Come al solito, fra un barbaglio e l'altro, il collega Ambrosini voleva ad ogni costo che aprissi la bocca e che ingoiassi un sorso di brodo caldo. Questa mattina mi sono ricusato ad una simile tortura ed ho chiuso i denti e ho chiuso gli occhi per non bere e per non vedere Ho già imparato durante questo!Giro a fare tante cose così strava- ganti che a volte mi domando se seguito ad essere io oppure comincio ad essere un altro. Sarebbe ora che cominciassi a parlare della corsa, ma francamente oggi non me la sento. I trecento e più chilometri della tappa RomaFirenze si sono presentati con tanta crudele imponenza davanti ai corridori schierati al traguardo, che questi hanno subito deciso di ingoiarli adagino adagino, come uno spaghetto interminabile. Vi ricordate Charlot nel film Le luci della città, quando è alle prese con uno spaghetto che poi si trasforma nel nastro di un'interminabile stella filante? Ebbene i « girini » hanno fatto proprio come Charlot e, adagino adagino, hanno cominciato a mandar giù chilometri e chilometri di nastro stradale, senza dimostrare nessuna fretta di terminare un pasto così pantagruelico. Noi in automobile abbiamo dovuto seguire ogni episodio di questo banchetto, abbandonandoci ad un dormiveglia dal quale ci hanno po risvegliato gli applausi di Siena e quelli più insistenti e clamorosi di Firenze. Apro subito una parentesi per accontentare i « tifosi » che mi hanno gettato nell' automobile una lettera nella quale mi si prega di non dimenticare Bellandi. La lettera è firmata « Fulmen ». Non so che diavoleria pirotecnica nasconda questo pseudonimo, ma sono felice di poter additare agli ammiratori del ciclismo l'isolato Bellandi, che è stato l'unico - a distinguersi nella tappa odierna. Egli ha condotto il plotone sulla salita del Cimino, su quella di Radicofani lunga 35 chilometri e su tutte le altre che hanno resa durissima la Roma-Firenze senza mai mollare. Bravo Bellandi e complimenti ai suoi amici « Fulmen ». ì quali però terminano la loro missiva in un modo piuttosto brusco, trattandomi con mano di ferro e guanto di velluto. Essi mi dicono, dopo alcuni complimenti che non merito, ma che accetto con ricono scenza: « Attendiamo il tuo resoconto della tappa odierna e in tale aspettativa ci è grato ossequiarti ». Dio mio, i « Fulmen » mi attendono ! Ma che cosa vorranno da me ? La mia responsabilità come semplice cronista ignoto del Giro d'Italia, comincia a diventare troppo grande. Gli sportivi mi incutono un certo timore per il modo piuttosto rude col quale mi trattano. Chiedo tante scuse se sbaglio, ma che c'entro io, col Giro d'Italia? Prima di iniziare questa corrispondenza ho precisato la mia posizione e non demordo, anche se dò del tu a Guerra e se prendo il caffè che mi offre Binda. / Le simpatiche « tifosette » Le donne, invece, oh le donne come sono gentili! Br*ave « tifosette », mi piacete molto perchè avete compresa la mia passione. Se sentiste con quanta delicatezza mi scrive una fiorentina abitante in via Centostelle! Via Centostelle! Quando ho letto un tale nome che sa di frescura notturna, mi sono persino rifiutato d'entrare nel bagno dentro al quale il tirannico Ambrosini voleva ficcarmi per la seconda volta in questa giornata. Macché bagno! Mi sono sdraiato sul letto ed ho cominciato a ripetere ad alta voce il nome di questa strada: « Centostelle, Centostelle, Centostelle... ». Ma che diamine li una costellazione sarà mai questa? Fra tanto brulicare e palpitare di astri, chi sa che non ci sia anche il mio e quello di colei che mi ringrazia. La viareggina, poi, della quale non faccio il nome e che mi attenderà a Viareggio sul viale Marghe rita, dove ci sarà il rifornimento, riceva le espressioni della mia gratitudine. Sicuro, accetterò la bottiglia d'acqua minerale che mi offre e la berrò tutta da me, a piccoli sorsi, e non ne offrirò neppure una goccia al collega Ambrosini. La viareggina termina la missiva con questa esclamazione: « Dio benedica il nostro tifo ! » Perchè, signorina Wanda, disturbare Dio per una tale benedizione? Ci sono tante cose più belle da benedire, oltre al tifo\ Sì, sportivi, cari sportivi pisani io sono con voi e voi siete con me per il grido di dolore e di protesta che lanciate all' indirizzo del buon Gerbi. Fate bene a spezzare una lancia in favore di questo vecchio cam pione: farò presente alla Giuria dei Giro il vostro desiderio, che è anche il mio. Gerbi prosegua e il cielo lo protegga. Sono cascato un' altra volta, ma proprio senza accorgermene, nel comodissimo e piacevolissimo tranello che la corrispondenza mi tende ogni giorno. Ma come posso uscirne? Pro- Marinelli, Carlo Battai, Guido Brandolese, Gerolamo Devoto, Enzo Ricci, Gray Giuseppe e alcuni altri, che mi avvertono di attendermi nell'atrio dell' albergo, per una intervista. Ah, no, questo è troppo. Come devo comportarmi? Che cosa devo dire? Se almeno avessi un'idea! Ma non ne ho. La signorina di via Centostelle mi suggerisca qualcosa lei! Ecco, ci sono. Mi sdraio un'altra volta sul letto e penso a questa favolosa costellazione. Oggi, ho proprio condotto il can per l'aia, mi sono incantato mentre attraversavo le dolcissime colline toscane e non riesco, come si dice in gergo ciclistico, ad attaccare la mia ruota a quella di un tecnico. Ambrosini, lui sì che è bravo. Adesso è al tavolo e batte sulla macchina da scrivere, velocemente, la sua corrispondenza. Batte la macchi «a come batterebbe ì tasti di un pia¬ noforte, ed io sento che dal ritmo saltellante, un poco secco, un poco troppo meccanico, ne vien fuori come una specie di sinfonia, alla quale io metto il titolo: «Media 27 chilometri e 320 metri ». ERNESTO QUADRONE.