L' ultima tappa del Santo

L' ultima tappa del SantoNel "VII centenario aixtora.isa.iio L' ultima tappa del Santo -(Dal Nostro Inviato Speciale )- PADOVA, maggio. Cinque o sci anni fa, lavorandosi n restauri agli Eremitani ed essendosi abbattuta una parete della cappella antecedente a quella del Mantcgna, sulla /accia del pilastro che divide la cappella Ovetari da quella Dotto, comparvero alcuni decìmetri quadri di sconosciute pitture. Sì fece il nome di Giorgio Schiavo7ie. Ma sarebbe azzardati) riferirsi all' antico giudìzio dello gtyarcione: « Questi non soho uomini mh statue»; sarebbe bastato insisterj sull'incisione e sul rilievo scultoreo delle figure perchè sull'affresco brillasse il nome di Andrea Mantegna. pera della primissima giovinezza, certo avanti i vent'anni; un saggio,orse, mirabile e di virilità sorprendente, per dimostrare al Pizzolo, a Giovanni d'Alemagna, ad Antonio da Mu - tgrado d'assumersi, alla pari con loro, una porzione del lavoro lasciato dalia disposizione testamentaria d'Antonio Ovetari. Ma per una città che audacemente sì adoperi a costruire pel domani, non è una gioia ed una garanzia di saggezza questo rinvenire — se appena si volga a ciò che già costrussa un tempo — segni di così alta noiltàl Così è dì questa Padova operosa che utta intenta a ingrandirsi, abbellirsi, arricchirsi sfidando una crisi economica che qui sembra gravare ceni minor peso — che tutta 'tesa verso l'avvenire e verso il mare (ora che la creazione del nuovo Porto Marghera, l formidabile complesso di lavori in orso d'attuazione sulla terraferma di Venezia, ha cementato la sua definiiva alleanza con la Dominante) — rova continue occasioni di rispechiarsi nella sua gloria antica. La consegna delia Basilica Mai però forse come quest'anno, come n questi giorni ansi, a Padova la cronaca quotidiana mutevole e làbile si equilibra e si elabora sul vecchio ceppo della storia. Mentre le celebrazioni antonìane stanno per toccare ii culmine con la venuta del Legato pontiicio tutto si adegua con disciplina magnifica al passato, die non appare più un'eredità pesante da tollerare, ma un aiuto sereno nell'azione ed un sempre presente consiglio. Tutto, ancora una volta, rientra nell'ordine logico predisposto da secolare sapienza, si ifà alle origini, e ancora una volta Roma rivendica i suoi diritti, riprende l suo posto dì maestra assegnatole da un destino più forte degli uomini. Quel comunicato breve che, accennando ad tino degli articoli del Concordato, nformava che la complessa e delicata ituazione sorta fra la Santa Sede e Italia nei riguardi della Basilica del Santo, coi suoi annessi, e dell'Ente ella Veneranda Arca di S. Antonio, ra stata felicemente risolta e definita n un regolamento recante le firme del Nunzio Apostolico mons. Borgoncini Duca, dei. Ministro Rocco e del Presidente Capo della Veneranda Arca, sarà orse sfuggito al lettore frettoloso. Ma al di là dei paragrafi pur di grande mportanza amministrativa per la Sana Sede, al di sopra della legittima soddisfazione dei cittadini padovani per a conservazione dì un Ente laico c.ol benemerito come quello della Veneranda Arca (se anche, ormai, più nessuna ingerenza potrà avere nella raccolta e nell'amministrazione di tutti i proventi della Basilica) ta un fatto profondamente significaivo: la Chiesa del Santo vien ceduta al Vaticano con tutti i suoi annessi, e a consegna verrà fatta con cerimonia imbolica e solenne prima della venuta a Padova del Legato pontificio. Domani infatti, giovedì, il Presidente apo dell'Arca riceverà mons. Borgonini Duca all'ingresso della Basilica, e ne consegnerà le chiavi d'argento. Il iù grande santuario italiano, con quelli i Assisi e di Loreto, ritornerà cosi nel rembo della Santa Sede, nel dominio ndiscusso e pieno di Roma. Non ci addentreremo — a proposito i questo rito simbolico — in una tratazione che involgerebbe la storia stesa della Chiesa romana e delle sue reazioni con gli Ordini religiosi sorti inorno al suo tronco glorioso; storia che elativamente all'Ordine francescano otrebbe es'ser fatta risalire fino al rimo abboccamento del Serafico con Papa Innocenzo III nella primavera el 1210, e siiccessirameiite ai conigli del cardinale Ugolino al tenace Poverello, ed infine alle angoscie moali ed alle disperate amarezze di Franesco durante la travagliata elaboraione della Regola. Diremo semplicemente che ta figura, tanto strapazzata a certi storici, di frate Elia sembra risorgere, non per le sue legittime amizioni di popolano elevato al sommo 'una gerarchia, non pei la rude vioenza con cui respingeva gli zelanti he volevano spezzare la coppa di porido collocata a raccogliere le offerte ei- l'erezione del tcynpio d'Assisi, bensì come emblema di un'azione spirituale costante unificatrice e disciplinatrice di Roma, di una funzione supremamente giuridica presa ad esercitare dalla Chiesa romana fin da quando — fra il cinismo di Bisanzio e la barbara inesperienza dei Goti — il successore di S. Pietro si vedeva costretto a raccogliere una delle eredità del crollato Impero. Ma dall'alto della sua gloria puramente ascetica, la memoria del Taumaturgo vigila anche su questo rito; nè questa sua memoria — di lui che fu l'umile fra gli umili, che per timore di importunare i fraticelli di Campqsampiero con la sua morte, volle, moribondo, farsi trasportare a Padova su un carro da contadino — può esser turbata dal fasto, dagli osanna, dal coro dei fedeli, dai tuoni degli organi, dal profumo degl'incensi che lunedì saliranno alle cupole della Basilica e si spanderanno per la pia~za e avvolgeranno la città intera durante il Pontificale solenne. E l'Ecce Sacerdos che accoglierà il Legato all'ingresso del tempio non sarà che l'eco del grido di giubilo di Francesco : « Habemus episcopum! » dopo la rivelazione del genio di Antonio a Forlì, settecentodieci anni or sono. Da Camposampiero alI'Arcelia Gloria di santo, ma gloria anche di popolo. Quel tumulto terribile che scoppiò per Padova e dilagò fin oltre Gapodiponte non appena la .notizjp, si sparse della morte dell'apostolo, quella fiera-tracotanza, che spinse i cittadini contro i borghigiani, e questi a prender l'armi contro i fratelli, lo spasimo e i pianti delle Clarisse tremanti nel convento dell'Arcella che si toccasse il padre loro, quel cupo tpersin protervo terrore di tutti che in un modo o nell'altro la salma sacra venisse trafugata, non sì spiegano soltanto con forme deliranti e inaudite d'una fede che toccava il fanatico parossismo, ma è jiccessario invocare an che l'orgoglio d'una gente che da due anni ormai aveva il privilegio di ascoltare quasi ogni giorno una voce che blandiva, incuorava, vituperava e bollava le infamie, esortava al bene, fugava il male, castigava i potenti, sublimava gli umili, avviliva il ricco, indicava al povero la porta della celeste letizia. In virtù di quella voce che non conosceva limiti d'armonia nè limiti di pregiudizi mondani, annose discordie di famiglie rivali s'erano sopite, le tregue d'armi seguivano le tregue degli animi, podestà, consoli e vescovo erano spronati alla giustizia, i drammi domestici che insanguinavano i blasoni dei Salinguei~ra, dei Camposampiero, degli Estensi, dei Da Romano, dei Sambonifacio, parevano non più richiedere le consuete vendette, su tutta la Marca, insomma, una inusitata pace serafica sembrava discesa. E tutto ciò era opera, di un uomo senz'armi, che aveva persino rinunziato all'alta cariaa di Ministro Provinciale, ch'era venuto dalle rive lontane dell'Atlantico dopo aver inutilmente cercato il martù-io in Marocco, che dieci anni prima aveva chiesto come un favore ai frati dì Montepuolo di poter lavare le loro stoviglie, di un uomo che in un'epoca di ferro — vestito d'un saio bigio e con Una corda alla cintola — non disponevo, d'altro mezzo che la persuasione, d'altro strumento che la sua eloquenza, d'altra guida che la sua sapienza, attra verso la quale vedeva Dio. E quest'uomo nel cui nome ì ciechi riacquistavano la vista, i muti la favella, gli storpi gettavan via le stampelle, i pargoli moribondi sorridevano alle madri, questo Taumaturgo che il popolo diceva esser capace di far ritrovare il cuore degli avari non nel loro petto ma fra le monete dei forzieri, questo Veggente che il Signore consigliava, ora agonizzava. E non aveva che trentasei anni. Sembrava ingiusto, inumano; ed era invece il compimento di un destino. Troppo aveva camminato, sulle vie del mondo e dello spirito. I suoi piedi avevano ancor le cicatrici dei ciottoli delle strade di Sicilia, del Lazio, dell'Umbria, delle Marcile, dell'Emilia, della Lombardia, del Veneto. Da Monteluco sopra Spoleto a Vercelli, pres so Tomaso Gallo, si indicavano i luoghi delle sue soste brevi. Nel turbine albigese, in Provenza, aveva portato la sua parola ài conciliazione, la sua opera di temperanza, almeno fin là dove era stato possibile: grandi e piccoli miracoli avevano coinciso con le sue tappe, dalle rane improvvisamente taciutesi a Montpellier (anche questo era un ricordo di San Francesco) per non turbare una sua lezione di teologia, alla sfolgorante visione della Vergine nella gloriosa luco del Figlio, preannunzio nella .lontana Tolosa alla definizioìie dogmatica dell'Immacolato Concepimento data, oltre sei secoli dopo, di Papa Pio IX. Il soggiorno a Camposampiero, confortato dall'amicizia del fido conte Ti- li so, dall'umiltà affettuosa dei pochi frati, gli aveva recato conforto all'anima, non al corpo inguaribilmente op presso dall'idropisia, a quel suo tozzo corpo di portoghese sanguigno ch'egli, fin dall'adolescenza, aveva domato con cilici e digiuni in tutti gl'impeti della sensualità. Forse la natura prepotente si vendicava adesso su questo povero ottame limano che cercava un poco di sollievo tra le frasche verdi del noce presso il conventa, nella pace suadente della primavera veneta. Era la prima settimana del giugno 1231. Una sera, chiamato alla mensa dalla campanella del convento, le forze lo tradirono più del consueto. A stento si lasciò scivolare giù dal fido albero; cenò ugualmente per non inquietare i fratelli, poi si gettò sulla nuda tavola di pioppo che gli serviva da giaciglio. Passarono alcuni giorni; Antonio non respirava più, soffocato dall'alma; vide prossima la fine. Solitario nell'intimo come tutti i condottieri di uomini, certo avrebbe avuto caro morire in quella pace; non volle affligger troppo i compagni; e chiamato fra Ruggero pronunziò le supreme parole di umiltà: «Se tu lo approvi, fratello, io me ne andrei al nostro convento di Santa Maria in Padova, per non essere di aggravio a questi poveri frati ». Si cercò un carro e una coppia di buoi, e il triste viaggio si iniziò. Il sole sfolgorava sulle messi mature. l «Video Dominum oieum! » A Padova intanto qualcosa doveva esser trapelato se poco prima di varcare il fiume si fece incontro al corteo un monaco — fra Vinnoto — che srecava appunto a Camposampiero a visitare Antonio. Vide il malato, si spaventò del suo aspetto, consigliò tosto a Ruggero di fermarsi presso i frati che avevan cura spirituale delle Clarisse dell'Arcella, lì a due passi dalla città; vi sarebbe stato più quiete che non tra il popolo padovano. Ormai all'infermo tutto era uguale, di ciò che accadeva intorno a lui; ogni s'uo pensiero era rivolto a Dio, a quell'ingresso in un mondo ignoto, ma certo, che già a Coimbra — nel Portogallo natio — aveva vagheggiato ardentemente vedendo tornare nel monastero agostiniano di Santa Croce i miseri resti dei cinque martiri del Marocco; i cinque Poveri d'Assisi che con il loro sacrijìcio avevan determinato la sua salita al vicino convento francescano di Monte Olivaes. Il male precipitava, anche nella quiete dell'Arcella: il servo del Signore chiese i Sacramenti. Parve allora che una sconfinata serenità gli scendesse nel cuore: si illuminò in volto: la voce gli ritornò chiara e squillante, ed intonò — nella cella angusta, in mezzo ai pochi inoliaci costernati —■ il canto che gli era più caro: « O gloriosa Domina Excelsa super sidera... ». Poi stette assorto, lo sguardo rapito; e a un frate che gli domandava cosa mai scorgesse, sorridendo rispose: «Vedo il mio Signore ». Furono le sue ultime parole; finiva il giorno del venerdì 13 giugno. Lontano dal Brental nel suo convento vercellese, il saggio abate Tomaso Gallo studiava i sacri testi: forse — complice il vespero — s'era un poco assopito sulle Scritture. Ed ecco l'antico suo discepolo comparirgli dinanzi con aspetto d'insolita lietezza: « Signor abate, addio. Ho lasciato a Padova il mio asinelio, ed ora m'affretto a raggiungere la mia patria ». Il buon Tomaso pensò d'aver sognato. II grido dei bambini Ma nel quartiere popolare di Padova, ì bimbi giocavano ancora per le strade, godendo quell'ultima ora di luce. D'un tratto, senza ragione apparente, si sparsero in frotte vocianti pelle vie e le piazze gridando : « E' morto il Santo! E' morto il Santo! », e diedero l'allarme alla città. Di tutti ì miracoli del Taumaturgo e certo questo il più gentile e vivo. A quell'infanzia ch'egli aveva educato, risanato, amato persino nell'aspetto del Dio fanciullo, ora commetteva d'annunziare la sua morte e to sua gloria. Potevano gli uomini tumultuare intorno alla sua salma; potevano le armi essere impugnate per la contesa del corpo e delle reliquie : quel grido di fanciulli purificava l'insania, quella verginità di spirito già chiedeva il perdono dei troppi errori, del soverchio fasto, d'ogni fanatismo. L'ultima tappa di Antonio, del camminatore infaticabile, si compiva così nel cuore dei suoi fedeli pili ingenui. Selteccnt'anni sono passati, sei volte questo transito si è celebrato con solennità, eppure ai credenti sembra ancora che il Santo marci pel mondo verso gli affiati. Come oggi; più che mai oggi, in questo centenario: che i dolori son tanti, e le speranze infinite.MARZiANO BERNARDI.