Limiti dell' umanità

Limiti dell' umanitàLimiti dell' umanità Ho invano cercato nel Viaggio in Atalia di Johann Caspar Goethe impressioni sulla musica, e specialmente su quella italiana, per dedurne quale avviamento all'estetica musicale abbia potuto derivare Volfango dalle esperienze paterne. Soltanto notizie vi ho letto, riguardanti le esecuzioni. Poiché quel lavoro trentennale fu una grande raccenda familiare, il giovane sentì certo parlare più di una volta dei metastasiani melodrammi, l'Adriano in Siria con musica di Antonio Giaj e la Cleonice, opera dello Hasse, rappresentati in Venezia, l'uno al S. Giovanni Crisostomo, l'altro al S. Angelb, alla, cui vista suo padre era rimasto « di stucco », poiché « colà dentro musica, abbigliamenti, variazioni di scene, l'orchestra di 40-50 buoni suonatori, il vestir dei personaggi principali, tutto era superbo... » ; e della « ben inventata macchina, sopra la quale i ballatori e le ballerine, 14 insieme, venivano di su in giù al fine d'ogni atto, dove si ballava » ; e della primadonna Fumagalli, protagonista nel melodramma di Hasse, « non men bella di voce che di persona »... Se altro di men che d'esteriore notasse il viaggiatore non sappiamo. Ne dubitiamo. Accennando ai « chiostri veneziani » degli Incurabili, della Pietà, dei Mendicanti, egli ne riferiva, come il suo contemporaneo De Brosses, la singolare istituzione, accogiente le fanciulle « che non ammettono altro padre che l'amore », e i loro concerti vocali e strumentali. Aggiungeva solamente : « Vi sqno, fra le altre virtuosissime, una di violino e l'altra di organo; e due cantatrici, che meriterebbero una lode particolare... Gli italiani sono matti per la musica, onde facilmente s'innamorano di questi prodigi dell'arte e della natura, il che non si vede in tutto il resto d'Italia ». Più volte ritornò Johann Caspar in quegli ospedali « con indicibile piacere », ammirando nelle donne le « virtù musicali, particolarmente nella voce che sopravanza ancor quella degli uomini, di gran lunga ». Ricordava « il famoso e virtuoso sig. Hasse, detto il Sassone », uno di quei « maestroni di musica » che « non si vergognarono di servire » in quelle scuole. Delle musiche forse udite a Roma, a Napoli, altrove, non un cenno. Se nel discorrere con i suoi familiari Giovanni Gaspare sia stato più eloquente e profondo non sappiamo. Nulla dunque aggiunge la recente pubblicazione, di cui ha riferito in Queste colonne Mario Bassi, alle indagini sulla formazione musicale del giovine Goethe. Il quale, dicemmoattivamente operò, fin verso il_ 1800, nel campo del Lied e del Sinqspiel, influendo su i musicisti Breitkopf, Kayser e Reichardt. Nell'ultimo trentennio della sua vita, passando a contemplare le mi steriose. forze dell'atte— .musicaleGoethe^'-iafndò allo Zelter, musiciftà assai limitato ma non del tutto arido nè volgare, colto e laboriosocui la Germania molto deve per la diffusione del canto corale, e con lui tenne assidua corrispondenza intorno a compositori e a opere antiche e moderne. E' questa la parte più nota dell'interessamento di Goethe per l'arte musicale, e anche quella che ha inspirato capitoli biografici più romanzeschi che veritieri. Sta di fatto che Zelter poteva informare Goethe delle musiche che egli conosceva a Berlino, mentre la capitale musicale era Vienna ;_e che il poeta, invecchiando, rinunciava ad ascoltare le nuove opere musicali, dcui lo spirito romantico e lo sviluppo sinfonico gli risultavano sempre più sgraditi. Sembra che dei grandi viennesi suoi contemporanei Goethe abbia ascoltato a Weimar poco o nullaDi Haydn gli oratorii, soltanto. DMozart soltanto le opere. Beethoven gli era appena noto, quando la Brentano glie ne parlò, nel 1810. D'altra parte, Zelter, che aveva fiutato in Beethoven il romantico, uno dquei « fuochi fatui sorti all'orizzonte del Parnaso, talenti della più grande importanza, che, com'egli dicevabrandiscono la clava di Ercole peammazzare una mosca », non avrebbmai voluto raccomandare a Goethe un tale musicista. Nel luglio del '12com'è noto, trovandosi insieme a Teplitz, Beethoven annota, e ci sembrava di sentirlo urlare di gioia e ddesiderio : « Goethe è qui ». S'incontrarono, si frequentarono poche volte, quante bastarono a chiarire la reciproca inconciliabilità dei loro caratteri e delle loro concezioni musicaliAvversarli, si conobbero, e, guardandosi negli occhi, ciascuno, meravigliato, sentì nell'altro una grandezza maggiore e insospettata, tale che avrebbe meritato d'essere penetratainvasa, conquistata. Beethoven non poteva cedere. Goethe, che sentì in Beethoven il più concentrato dominatore di se stesso che mai avesse conosciuto, non seppe, non potè avanzare. Si lasciarono così, a un angolo di strada, come due mortali, dai quali il mondo nulla debba attendere. E non si videro più. Di Schubert ignorava forse anche il nome, quando nricevette in omaggio i Lieder dell'op. 19, nel 1825. Insomma, audizioni,casuali, quali gli erano consentitdalla solitudine, divenuta sempre pinecessaria ai supremi lavori ; incontrfortuiti, sovente schivati, con i nuovmusicisti.. A tanta scarsità di fattcorrisponde, negli epistolarii e nelltestimonianze, un'abbondanza di pensieri frammentarli, di accenni, dmotti, che è da accogliere con moltcautela. Non si deve scambiare lsplendore dell'immagine poetica coil dato psicologico, con l'intensitdella certezza. Dal complesso delle osservazionsaremmo indotti a distinguere iGoethe due pensieri, anzi due presentimenti : uno, della musica, amplissimo, illimitato, vigoreggiante nellastrazione; l'altro dell'arte musicala angusto, debole nella esiguità del l'esperienza concreta. Entrambi restarono privi di precisione, di sviluppo, di sintesi. Nella vita musicale di Goethe ne echeggia il dualismo. 11 godimento estetico di alcune opere d'arte musicale potè essere in lui gocthianamente squisito, per l'eccellenza della sua totale ricettività, ma certo fu goethianamente limitato, in quanto egli lo subordinava al rigore del controllo mentale, al metodo della sua conquista culturale. 11 prisma e lo scarabeo, la pietra e l'osso mascellare gli avevano sollecitato volta a volta riflessioni e scoperte gioiose. Le forze sonore e le loro estetiche vibrazioni non destarono in lui altrettanta curiosità. L'occhio, che per naturale squisitezza e per l'esercizio era riuscito a scandagliare oscurità e recessi, non gli giovava a decifrare le pagine musicali. L'orecchio non era divenuto altrettanto esperto e indagatore. In rapporto all'occhio, l'orecchio, disse, è un « senso muto » Sfuggita la musica ai suoi accertamenti fisici, l'arte musicale rimaneva una incognita nel campo della sua dominazione spirituale ; neppure consentivano entrambe un preciso vocabolario, che avesse rappresentato il possesso istituito dalla mente sulle sensazioni percepite. Astrattamente lasdigvdm«geztupsptmlAslaedsatfsl a musica giganteggiava. Nella musica sentiva occultamente fremere un demone analogo a quello che sentiva n se stesso ; assunse perciò un'atteggiamento di sorpresa e di cautela, severo contro i rapimenti e gli abbandoni. A ottantanni proclamava la musica una forza demoniaca che «nessuna forma d'intelligenza uguaglia e della quale nessuno può darsi esattamente ragione ». La quale forza demoniaca non tumultuava soltanto nelle complessità di un Bach o di un Haendel, nè da esse sole prorompeva; miracolosamente egli l'aveva sentila palpitare in un Volkslicd, in poche battute di Reichardt o di Zelter, in una pagina di Mozart; ugual mente misteriosa, turbatricc, esaltan le, calmante, estasiante. Musica? Astrazione! E la concreta arte musicale? Egli non pervenne a costituir le in una unità analoga a quella ehaveva scoperto e mirato nel segreto eli altre arti e di altre scienze: unità di natura e di poesia, verità suprema. Consentendolo le forze vitali, egli si sarebbe pacatamente accinto anche alla scoperta della musica, cioè all'intuizione d'ogni suo elemento scientifico ed estetico. E assai gli sarebbe slato caro di esercitare le sue virtuali attitudini anche nell'inesplorato cmcvcds campo, di assorbire anche quell'elemento naturale, per travasarlo e integrarlo nel tutto, di cui ebbe il profondo presentimento. Ma egli disse che nella capacità di limitarsi si rivela il maestro. E nella forzala sua rinunzia al concreto possesso dell'arte musicale ci sembra di ascoltare più che l'amaro rimpianto dell'uomo e dell'artista, la saggezza d'un dio consapevole dei limiti dell'umanità. Ecco perchè egli ci appare un contemplativo, nell'ultimo trentennio. Cessata intanto l'attività immediata, la potenza del suo spirito lirico irradiava vibrazioni e onde nel mondo della musica. Noi che sentiamo eterna la vita dell'arte sua, andremo oltre la limitazione delle date c la fine della sua vita, e penseremo con ineffabile riconoscenza, e più ineffabile gioia, alla potente azione che la sua poesia e il suo pensiero esercitarono su i musici che, nativamente grandi o minori, certo si alzarono a più alto volo per aver attinto dalla sua arte accenti di poesia universale. Mentre l'ottantenne vegliava al secondo Faust, le sue canzoni, che erano già una Sprechmusìk, una musica della parola, sciamavano, ovunque fossero sensibili amatori di musica. Che a uno sembrassero già tanto musicali da non sopportare altra musica, c un altro, Beethoven, per esempio, le giudicasse le più atte a essere intonate, non era affar suo il discriminare. A Rochlitz, che lodava i Lieder intonati da Reichardt, aveva scritto: « Poiché di fronte alla musica io sto ascoltatore, non giudice, accolgo volentieri i pensieri dei maestri e dei conoscitori ». Al quesito se nell'intonare la Rosellina fosse convenuto dar rilievo alla parte sentimentale o a quella umoristica, rispose : « Come si vuole. Non esigo che tutti vedano le mie cose attraverso la stessa lente. Ciascuno prende ciò clic vi trova. E questo sarà per lui iì vero ». Ecco, i suoi canti erano per lui stesso divenuti quell'eterno vero, del quale diceva : « Per tutto son troppo vecchio, non per il vero », quel vero che sempre egli scrutò con occhio e intelligenza folgoranti. Egli le lasciava andare, le sue liriche, non più amandole come particelle della sua fantasia, ma contemplandole come elementi della grande natura, vivente e immortale. A. DELLA CORTE.

Luoghi citati: Berlino, Germania, Italia, Napoli, Rochlitz, Roma, Siria, Venezia, Vienna, Weimar