Il Taumaturgo nella gloria del popolo

Il Taumaturgo nella gloria del popolo INel VII centenario antoniano Il Taumaturgo nella gloria del popolo Dal nostro inviato speciale Padova, 23, notte. Mentre Padova brulica di pellegrini e giorno e notte romba di rumori, siamo tornati a Camposampiero ed òlla Arcella, le supreme tappe mortali del Santo. Divampava un meriggio d'alta estate sulla campagna verde del Brenta, e una calura degna del luglio velava il Grappa, assopiva nel silenzio alberi ed acque: gli Euganei soli alzavano sulla pianura piatta i loro modesti coni simmetrici, ricordo romantico di Piero Maironi; e parevano sorgere da un mare àtono, indifferenti isole nell'assorta immensità. Eppure il noce — 1/ noce del miracolo — sfarà spoglio e secco come in pieno inverno, insensibile ai richiami delle linfe: conte ogni anno si coprirà di fiori soltanto fiat qualche giorno, dal piccolo tronco agli ultimi rametti, per unirsi al grande coro degli uomini e delle, cose osannanti a l'ingresso d'Antonio nel cielo dei beati. Non squillarono forse tutte insieme a festa, senza che mano umana le toccasse le mille campane delle chiese di Lisbona proprio nell'ora stessa in cui a Spoleto il vecchio pontefice Gregorio IX, celebrando la Pentecoste nella cattedrale che Filippo LAppi avrebbe poi trescato, dichiarava iscritto nel novero dei santi il frate lusitano che aveva rinnovato la gloria del Serafico? Era il mattino del 30 maggio 1232, settecent'anni fa; ed il messaggio volava così traverso l'Europa dalla chiara valle di Francesco alla sponda battuta dall'Atlantico, dalla Patria adottiva del maggiore apostolato alla terra della nascita e delle prime visioni. Tutto nella vita di Fernando da Lisbona — il santo Antmiio di Padova — è prodigio e miracolo; tutta la illumina la presenza di Dio, continua, edi ficante, sfolgorante in ogni detto, in ogni azione. Per questo il popolo ere dente ha fatto di lui il Taumaturgo senza rivali: per questo invoca il suo nome quando scienza, fatalità, violenza sembrano aver pronunziato il loro verdetto; per questo milioni di mani, appoggiandosi all'Arca della Basilica mentre le labbra mormoravano la preghiera, hanno reso l'antico mai~mo verde liscio come una seta; e la si guarda, questa pietra levigata, come se in essa si specchiasse il destino stesso della umanità: il rifiuto a soggiacere all'inesorabile, il bisogno di sperare ancora, anche nel naufragio di tutte le speranze. Il voto più umile Tappezzate di ex-voti, lo si sa, son le pareti delle due cappelle, quella dell'Arca che tutt'in giro ha i nove stupendi rilievi marmorei, e l'altra della « Madonna Mora », per cui si accede al resto antico di Santa Maria Maggiore, dove Giusto de* Menabuoi lasciò il suo capolavoro. Son questi oggetti le forme tansribiJi dei pàlpiti supremi, dei folli aneliti che si osa esprìmere, non confessare. E ne rammento uno, notato tanti anni fa, eppur fresco di commozione nella memoria: un vestitino bianco di bimbo, chiuso sotto il vetro di una cornicetta. « E' questa la vesti na di morte della mia bambina — di ceva una scrittura ingenua tracciata da mano inesperta di donna; — ed io te la offro, buon S. Antonio, perchè non hai permesso che la mia creatura andasse sotto terra, e me l'hai ridata vi/va quando già era distesa nella bara ». Delicatezza infinita di un pensiero materno in quest'offerta pia della vesticciuola più bella; e pareva, guardando, di, riudire la voce della madre manzonìaìia, e la raccomandazione ai monatto, e l'accorato addio alla piccina. Anch'essa l'aveva vestita del vestito più bello; ma chiedeva ormai altro e più facile miracolo. Qui a Camposampiero, invece, nella cella che la tradizione vuole esser stata quella abitata da Antonio nei giorni di poco precedenti la morte, i muri sono nudi; i recenti restauri hanno rimesso in luce il rosso cupo del mattone romanico di questo avanzo di convento che il conte Tiso di Camposampiero aveva donato ai frati Minori fra il 1227 e il 1230, appunto per la grande venerazione in cui teneva il Taumaturgo, e l'unica pittura ò un ritratto in piedi del Santo, attribuito ad Andrea da Murano e dipinto su una tavola di pioppo sulla quale dicesi si stendesse la notte a riposare Antonio, già inguaribilmente affetto da idropisia. E' la così detta « Cella della Visione », la stanzetta dove il conte Tiso — per una volta indiscreto verso il grande amico — l'avrebbe sorpreso con il Pargolo Divino fra le braccia, in quel celestiale colloquio con la Divinità più gentile che doveva fornire ah l'iconografia antoniana il tèma favorito. Narra infatti la leggenda riferita nel Liber miraculorum lasciatoci da un ignoto scrittore della metà del Trecento, che il buon Tiso : « essendosi avvicinato devotamente e piamente al luogo dove il Santo se ne stava solitario in orazione, vide guardando nascostamente dalla finestra un bellissimo e giocondo bambino nelle braccia del beato Antonio, il quale lo palleggiava e lo baciava con serafico ardore, conr templandone il volto divino. Quel si- gnore, attonito anch'egli e stupefatto dalla bellezza del bambino meraviglioso, andava pensando fra sè donde fosse venuto. Ma il Celeste Bambino, che era lo stesso Signore Gesù, rivelò al beato Antonio che era stato visto dall'ospite, e perciò il Taumaturgo, scomparsa la visione, lo chiamò a sé e gli proibì di manifestare lui vivente ciò che aveva veduto. Quando il Santo fu morto, il felice testimonio di questo prodigio lo raccontò in pubblico con lacrime di tenerezza, dopo aver toccato le sante reliquie per meglio accertare la verità delle sue affermazioni ». L'ingenuità dell'anonimo narratore è pari a quella del credere popolare; e sebbene questa celletta difficilmente possa essere identificata con quella di un miracolo attribuitn anche alla Beata Angela da Foligno, a S. Felice da Cantalice, a Santa Caterina da Bologna e a S. Gaetano da Thiene; sebbene il Liber miraculorum parli della Visione avuta da Antonio ospite di un tal borghese » (quidam burgensis: e Tiso era invece un nobile signore), « in quadam civitate 2 non meglic precisata (tanto che i francesi rivendicano a Ch&teauneuf-la-Fàret il fatto prodigioso); è giusto che il precipitare quasi drammatico delle ultime vicende antoniane raduni qui. fra Padova, Camposampiero e l'Arcella, la somma maggiore degli eventi soprannaturali.E si comprende meglio, allora, il significato veramente simbolico dell'unico ex-voto appeso nella cella della Visione: l'ex-voto più umile, senza riscontro forse nelle cronache delia fede. E' un semplice mattone, con sulla faccia più larga una scritta a punta di chiodo: «Nicolò per amor de la gratta»; e la scrittura sembra risalire al secolo XIV. Un povero muratore, certo, questo Nicolò. Nulla doveva egli possedere, se per riconoscenza della grazia ricevuta non aveva niente altro di meglio da offrire al Santo implorato. Ma questo ignoto che roz zamente intendeva sdebitarsi, non sa peva di compiere col suo gesto oscuro un rito altissimo; non sapeva di ritornare alle fonti stesse della purità e della povertà evangelica per le quali Antonio medesimo aveva tanto lottato centro i traviamenti del suo Orditida così poco tempo nato; non sapeva soprattutto di volgarizzare stupendamente, facendo voce di popolo quella che era stata voce di Dio, il motto iniziale del Maestro: « E su questa pie tra edificherai la mia Casa ». Come nell'Abruzzo di Michetfi Pochi passi più in là, fuori della riedificata chiesetta il cui campanile nuovissimo sarà inaugurato lunedi venturo dal cardinale Michele LegaLegato del Pontefice per le solenni celebrazioni padovane, sorge il santuario del noce famoso. Fanciullesca figurazione, pur nella perizia pittorica, quella della celebre pala di Bonifacio Pitati, posta dietro l'altare. Il noce è piccolo, il santo è grande: e si ritorna allo spirito candido di certe eloquenti sproporzìoìii giottesche. Seduto sulla biforcazione dei rami, Antonio parla alla folla adunata ai suoi piedi, e in primo piano, a destra, ascolta anche il conte Tiso, dalla bella testa fiera: già è avvenuto certo il miracolo delle messi, cresciute e maturate d'improvviso in una notte, e tutte falciate il giorno dopo perchè le genti, accorrendo intorno al Taumaturgo, non avessero a danneggiare i raccolti. Desiderio quasi bambinesco, questo del frate, di farsi costruire» dal suo benefattore una specie di cella coti tavole di legno fra i rami di un albero annoso, dove ritirarsi lasciando di quando in quando il vicino convento e la società dei compagni. Ed anche issarsi lassù, benché aiutato da fra Buggero e da fra Luca Belludi, doveva tornar faticoso ad Antonio, già inalato grave, e corpulento ormai per gli assalti dell'idropisia. Ma egli era stancooppresso nel respiro, desideroso di pace, di verde, di silenzio. Splendeva intorno, come oggi calda, la primavera cordiale della campagna patavina. Tra quel fogliame che gli uccelli al tramonto empivano di lieti pigolìi, forse gli pareva di tornare il bimbo ch'era stato sull'estuario del Tago; una tenerezza immensa, nella pace della naturagli alleviava il cuore affaticato, e forse la saudade portoghese gli popolava l'azzurro d'indecise nostalgie. Sapeva — oh, certo sapeva — che non era peccato contro Dio il riandare col pensiero agli anni primi, quando guardando la grande spada del padre guerriera sognava di combattere con altre armgli infedeli. Anche questo era pregarementre col calar dell'ombre il gorgheggio dei passeri s'affievoliva; era un modo di riconoscere il Creatore in tutte lo creature, come già aveva riconosciuto il suo Francesco. Poi adagio scendeva, e tornava all'altra cella, necoiii'euto. La morte lo attendeva pros-sima; e pur lo beava questa sosta. Nonbisogna, nei santi, rinnegare quel tan-lo d'umanità che conservano, e persinoalcune debolezze, se si vuole a picnoeompreiiderìi. Qualche pellegrino intorno a nocercava il noce. Il noce non c'è piùche oggi avrebbe più di mill'anni. Staal suo posto, l'altare del Santuario; ma non lungi un figlio di quel noce ripete d'anno in anno il prodigio della fioritura fuori stagione; ed un'altro rampollo prospera accanto alla Basilica, specchiandosi in uno dei rami del Bacchigliene. Fedeli da ogni parte: quanti mai ne vide Padova, adunati qui da tutto il mondo, come in quest'anno santo che ormai sta per spirare, chiuso fra il centenario della morte (13 giugno 1231) e quello della beatificazione (30 maggio 1232) del Lisbonese? Seicentocinquantamila pellegrini in dodici mesi: una media di oltre millesettecentottanta al giorno. Cominciò Gorizia; poi seguirono i pellegrinaggi regionali, quello del Mugello diretto da padre Massimo di Porretta, recante gli stendardi di tutte le congregazioni terziarie di Toscana, quelli d'Alessandria, di Ventimiglia, di S. Pietro in Molitorio, l.e diocesi meridionali inviavano falangi, in costumi pittoreschi, con stuoli di bimbi vestiti da fratini. I cappuccini gareggiavano nel guidar le schiere più numerose; monsignor Assoni di Torino, il canonico Priero di Alba, monsignor Pescarmona di Asti tennero a loro volta il primato. Migliaia di bimbe vestite di biaìico giungevano da tutte le diocesi del Veneto ed in lunghe coorti s'avviavano alla Basilica salmodiando; dall'alto della scala il cerimoniere con spadino e berretto rosso, riceveva le piccole ospiti ansiose di appoggiar le palme sulla pietra verde dell'Arca. E calavano gli stuoli dalla Francia, dalla Svizzera, dalla Baviera, dal Belgio, come gli studenti cattolici di Louvain che sfilarono per le vie cantando le loro canzoni fiamminghe e facendo ondeggiare al sole gli stendardi rossi e gialli. Stupendo fu il pellegrinaggio della Carnia — quello della Carnia Fidelis — giunto in un treno fiorito di stelle alpine, con i nomi dei paesi scritti sui vagoni, con le donne dai fazzoletti variopinti e gli uomini recanti coccarde tricolori sotto il distintivo antoniano. E l'Associazione dei Figli d'Italia in America mandava da oltre oceano i suoi iscritti che ancor parlavano il dialetto natio come i compae sani di Cagliari, di Palermo o di Scanno che qui ritrovavano dopo tanti anni. Allora fede, entusiasmo, gioia di un ritorno forse Jnsperato assumevano forme divampami: e come nell'Abruzzo michettiano, come nella scena tragica ed eroica del Voto, questi fedeli si gettavano a terra davanti all'altare dell'Arca, prostrati invocavano alto il nome del Santo, strisciavano sui marmi lagrimando mentre i cori intonavano il « Si quaeris » e l'incenso saliva alle sei cuvole. Ricordo del Mc-ndego Oggi l'ora precipita. Alberghi d'ogni categoria rigurgitano, compresa la Casa EeZ Pellegrino, provvidamente istituita dal Comitato antoniano. Il Legato del Pontefice è atteso per sabato sera, e domenica e lunedì si avranno le più solenni funzioni. Pure sabato deve giungere, guidato dal Metropolita di Scutari, il pellegrinaggio albanese, in costume regionale, con una scorta di cento guerrieri della montagna; lo precederanno d'un giorno i pellegrini d'Olanda, che vogliono sia intitolata al loro paese una cappella nel peribolo della Basilica, e il l.o giugno saran qui anche le rappresentanze di Ajaccio, di Malta, quelle portoghesi. Padova tutta è piena di folla; lingue e dialetti s'incrociano con varietà sorprendente; e chi non viene pel Santo viene per la Fiera, ed il sacro e il profano, lavoro e fede sembrano conciliarsi in questa sonante festa cittadina. Persino i quattro chiostri della Bar silica paiono stazioni di tappa. Ieri mattina alcune ragazze, all'apparenza affrante, si riposavano sotto gli archi dai ricordi romanici del Chiostro del Noviziato. Una, distesa su una panca, guardava fisso davanti a sè, con quei suol grandi profondi occhi di veneta. « Veniamo da Rio S. Martino, rispose alla domanda; siamo partite a mezzanotte, e abbiamo fatto trenta chilometri a piedi ». Ancora la fede vince la lunghezza dei cammini. E ad un anno di distanza rivedevo la quieta Coimbra, in Porto gallo, di dove — dal convento di Monte Òlivaes — anche Antonio era mosso iniziando il suo instancabile marciare Rivedevo il fluir lento del Mondcgo nella luce calante del tramonto dolcissimo, fra due file verdi d'alberi immoti. MARZIANO BERNARDI.