L' arte del comando

L' arte del comandoL' arte del comando Gli eserciti cari alla vittoria si impersonano tutti, sempre, in un erra tiHn OnnA. - : i • ri . - srànde CaDo a fWrnnTiTrw? p,7^^"'iVigore morale, unito ad avvtóuKred acume finissimi; negati quindi™per natura, ai procedimenti rigidi é grossolani. Sulla questione del regime di governo usato verso i proprii dipendenti da parte di molti Capi famosi, soprattutto nell'evo più antico, in realtà di assodato si conosce ben poco; sono tuttavia giunte fino a noi alcune notizie di fondatezza probabile e di facile interpretazione. Prendiamo Alessandro Magno: risulta che durante la campagna di Egitto egli provvide ad inviare in licenza invernale nella madre patria 1 suoi soldati, nonostante la distanza, assai grande per quel tempo, fra il teatro della campagna e la Grecia; il provvedimento, di carattere strettamente morale, costituisce indizio significativo dei saggi metodi disciplinari in vigore nell'esercito macedone; tutti srli storici, inoltre concordano nel riferire che Alessandro non ingaggiava mai battaglia senza prima aver convocato a con sigilo i suoi generali, i quali avevano piena libertà di discussione e dai cfjiali Alessandro accettava sempre suggerimenti e proposte. Di Annibale si sa pochissimo in argomento, perchè gran parte del1 attività del geniale Cartaginese è saipttssvbdadlgtsfifcmlnbdruuqRntcrimasta avvolta nelle tenebre. Tra rle leggende fiorite attorno al perio- fdo delle guerre puniche vi è, però, cquella degli ozi di Capua, assai sin- ctomatica per lasciare intendere co-gme questo ferreo condottiero di uni vesercito raccogliticcio, dove tutte le'zrazze erano rappresentate e dal quale egli pretendeva sforzi tremendi, amministrasse i suoi uomini con elasticità tale da creare persino margini troppo larghi di tolleranza. Un uomo di comando della cui azione si conoscono molti canicolari, poiché egli stesso ce li ha tramandati, è Cesare, e l'esempio di Cesare è tra i più peculiari per mostrare di quanta agilità, di quale delicatezza, di quale « ossequio », secondo la espressione machiavellica, sia intessuta l'arte del comando. I <r Commentarii » sono il libro più utile che un soldato possa leggere e meditare; nota Cesare, nel primo libro della guerra delle Gallio, come, giunto il suo esercito a Besancon, nella marcia contro Ariovisto, incominciasse a serpeggiare fra le truppe il panico, per dover combattere contro i Germani, dei quali le popolazioni locali vantava no. l'alta statura e la ferocia. Per conseguenza ufficiali e soldati delle legioni romane erano riluttanti a proseguire la marcia e andavano mendicando pretesti intesi ad otte nere permessi di rientrare in patria, ed anche apertamente negli accampamenti imprecavano e mormoravano contro l'impresa, sino a giungere, infine, al punto di far avvisare Cesare che al segnale della partenza i soldati non avrebbero obbedito all'ordine e non avrebbero mosso le insegne. Un comandante di mediocri riaor se avrebbe adottato subito la deci inazione, o qualche altro analogo provvedimento esemplarmente re pressivo; Cesare no; egli si limitò a riunire tutti gli ufficiali ed a rimproverarli acerbamente, vehementer incusavit, mescolando ai rimproveri abili accenni al valore romano e chiudendo col dire che se nessuno si fosse sentito abbastanza coraggioso per seguirlo, egli sarebbe partito ugualmente con la sola decima legione, nel valore della quale aveva assoluta fiducia. Scrive Cesare che il suo rimprovero, l'accorta esaltazione della de cima legione, la sua mitezza d'ani mo, infiammarono i legionari, rendendoli pronti a combattere contro i Germani. .La densità di insegnamenti contenuti in questo episodio è sufficiente a rendere superflua la citazione di altri analoghi, che i « Commentarii » riportano numerosissimi; ci limitiamo a far rilevare come, in tutta la condotta di questo eroe di razza latina e di intelletto altissimo, la norma di « eccitare sempre, deprimere mai » domini costantemente, manifestandosi soprattutto nell'assecondare i desiderii degli inferiori, nell'abbondanza delle ricompense e nel rarissimo ricorso alle punizioni. Dopo Cesare, per trovare comandanti illustri della cui attività si conosca qualcosa di positivo, bisogna venire ai tempi moderni; tra l'epoca romana e l'epoca moderna non possiamo, tuttavia, dimenticare come emergano tre notevolissime figure di guerrieri, Attila, Tamerlano e Maometto II, il « Fatik », attorno ai quali, realmente, aleggia con insistenza la leggenda che essi governassero i loro tumultuosi eserciti con estrema durezza; considerati i tempi, i costumi e le origini di auesti Capi e dei loro eserciti, la leggenda può, in questo caso, venire apcolta come sostanzialmente vera; ma tutto quanto si racconta dei tre condottieri nominati concorda nel far intendere chiaramente come si trattasse di una durezza fatta tutta di impulsi e di violenza, non mai di sistema. Scendendo ai tempi moderni, due figure di Capi si impongono all'attenzione dello studioso dei problemi di arte del comando: Federico II e Napoleone. Per Federico II sarebbe già sufficiente considerare quanto egli fosse imbevuto dello spregiudicato e tollerantissimo soirito volteriano, per comprendere come egli non potesse nutrire concezioni disciplinari rigide ed assiomatiche; è- noto, infatti, come la disciplina nell'esercito federiciano avesse un suo sne lgbciale carattere burbero e cordiale: carattere che. nell'infinita serie diepisodi storici autentici, valevoli ametterlo in luce, trasnare palese dauno solo che riportiamo. _ a S g^\u?rt Snlifnn11 nnitSn^^^M^É^^Édati in esercizi di equitazione tantoaudaci da provocare sovente cadu-^ e incide&i, talvolta mortali. Fe-derico II, Quando ne fu avvertito.Mr^_!^H?Ì°^UliP°^°„i^£0^0 Sv'3ra Maestà fa tanto baccano per in sottordine con forte personalità; r^^^11 Sfizio su quesito ™ tecmcho- S18tema cloe. che è l'anir^ilSd^ per la guerra». In auesto episodiet- to è fotografato tutto il sistema di- sciplinare federiciano: vivacità dil addestramento; interessamento vigi-jie da parte del Capo, per la salute I personale dei soldati; comandantijtitesi perfetta dei sistemi coercitivi. ^ Sulla longanimità, sulla generosità, sulla affabilità di Napoleone verso i proprii soldati si potrebbero scrivere, e sono stati scritti, molti volumi, mentre invano si spuicierebbero le pagine dei suoi più velenosi detrattatori per trovare nella sua azione di comando esempi di rigidezza fredda e sistematica. Ai suoi Marescialli, volta a volta ladri, concussori, prevaricatori, bugiardi, rissosi, indisciplinati, ingrati e traditori, egli sapeva, sempre, soltanto, perdonare e beneficava perfino quei due autentici rettili che furono Talleyrand e Fouché; tanto che qualcuno, molto inintelligentemente, definì con la parola « debolezza » la condotta di Napoleone ; non si tratta, evidentemente, di debolezza, ma di sagace esperienza della natura umana e di cosciente, ragionata indulgenza. A tutti i suoi soldati, fino ai più umili, Napoleone comunicava tale un calore di affettuoso cameratismo quale mai si vide in nessun esercito. Ricordate l'episodio del vecchio granatiere che, alla Beresina, con venticinque gradi sotto zero, mentre camminava bestemmiando, curvo e raggomitolato su se stesso per il freddo, sentendosi toccare la spalla con gesto familiare da Napoleone che egli non aveva visto avvicinarglisi, e domandare: «Mio povero i vecchio tu hai freddo? », si raddriz'zava fieramente e con l'occhio bril- e o l a e r i r e a o , e a e o ò r i e o a o e i n e e e o a a e e e ai irti i ee ; e el si a ai e mi e se o, ori nie lante, la voce ferma, rispondeva: « Sì, mio Imperatore ; ma quando io ti guardo, ciò mi riscalda! »? Perchè Napoleone possedeva, in grado eminentissimo, il già citato binomio delle qualità fondamentali dell'uomo del comando: la fermezza (quella che i poveri di spirito scambiano, o sostituiscono, con la rigidezza) e la generosità; binomio ohe egli, con felice metafora, definiva quando dichiarava di se stesso : « Io non sono buono, ma sono sicuro ». A questa sicurezza tutti si abbandonavano fidenti e quando, nella inverosimile avventura dei « Cento giorni » (la manifestazione, forse, più prodigiosa che il mondo abbia mal veduto di potenza di arte di comando) 1 nemici di Napoleone credevano di potergli rivoltare contro il popolo francese e la Francia brulicava di spie inglesi e russe, tutti i rapporti di queste spie, e quelli stessi della Polizia ostile a Napoleone, concordavano nel riconoscere, con non celato stupore, che « tutto il popolo è per Bonaparte ». E brillò di ultima, fulgidissima luce la fiammata di intensissimo amore che Napoleone aveva saputo accendere nel cuore dei Francesi, durante la campagna del 1814, quando gli adolescenti reclutati frettolosamente, le « Marie Luise » come li chiamava il popolo per il loro aspetto femmineo, non. sapevano marciar re, non sapevano manovrare, non sapevano sparare il fucile, ma sapevano morire sul campo di battaglia gridando «Viva l'Imperatore!». Inquesto ardore di dedizione, frutto di inarrivabile e raffinata arte di comando, sta tutto il segreto della epopea napoleonica; non nei piani delle campagne e nella genialità delle mosse sui campi di battaglia. Nella guerra mondiale sarebbe diffìcile, francamente, rintracciare esempi eminenti e luminosi di buona arte del comando; sotto questo punto di vista la guerra mondiale fu quasi un fallimento; il solo generale che seppe suscitare unanimi consensi e ammirazione sulla sua azione di comando fu Hindenburg. Che cosa pensasse Hindenburg delle qualità necessarie al Capo militare percomandare con arte, tutti possonoSfS IfftSiblcaTnelI1019. Per comodità di chi non co-noscesse questo importante docu-mento, o non avesse il tempo di leg-gerlo, riproduciamo il giudizio sin-sola mente direttrice, e; pero indi-scusso che una parte dellammirevo-tetico con cui l'allora colonnello Adriano Alberti, chiudeva la prefazione alla traduzione italiana dell'opera: « Se nella lunga e dura lotta sostenuta con tanto valore e tenacia dall'esercito tedesco contro un mondo di nemici, i due vasti intelletti di Hindenburg e di Ludendorff si fusero al punto di formare unaio azione di comando spetta al solo Hindenburg: quella del cuore. Perciò lo adorarono i suoi soldati, perciò il mondo lo ammira». Ma oggi gli Italiani possono, con orgoglio, pensare di avere finalmente espresso dalle radici della stirpe jun Uomo degno di campeggiare tra gli astri maggiori dell'arte del comando di tutti i tempi. Per quanto profonda possa essere la nostra ammirazione, non slamo noi in grado di misurare tutta l'altezza della personalità di Mussolini, perchè figure come quella del Duce hanno bisogno di prendere prosnettiva, di inquadrarsi nel tempo, per poter essere contemplate intere. E' certo, nondimeno, che allorquando gli storici futuri indagheranno, studieranno, scaveranno con frenesia nella esistenza di questo Capo per analizzarne glelementi della grandezza, constateranno come il segreto della sua arte di comando stia tutto nel sapere temprare la maschia fermezza con una sensibilità finissima e nella istintiva generosità, che lo porta ad eauilibrare, in sovrumano spirito dtempismo, la severità con la clemenza. I canoni fondamentali dell'arte del comando si fondono tutti prò e: prio in questo equilibrio: conoscerldi specificamente non giova; occorre a | possedere il senso del loro impiego a:armonico. per discendere in più modesto-n camJ?° e ^ conciudere ÉÌÌ^I ^«éSftol ^o'^do" e W^eóìtivarne Ìrarte7 co'nu- ^tTneì costituire1 e"n»l far f«nzioe-^, "fi cSjg,9 KèfiUtoo. cornando, destinandovi ed esnerimenvitandovi uomini adatti e dando ader' GIACOMO CARBONI,

Luoghi citati: Egitto, Francia, Grecia