La nuova Imperia per il suo De Amicis

La nuova Imperia per il suo De Amicis La nuova Imperia per il suo De Amicis p p(DAL NOSTRO INVIATO)- Imperia, 12.notte. Parlarne oggi, che finalmente ad Imperia, con la nuova sede municipale, s'inaugura il suo monumento ed una mostra bellissima di ricordi curiosi e rari, libri, oggetti personali, ritratti, manoscritti, lettere, autografi, tutto ciò che per un'ora può farci rivivere dinanzi agli occhi il caro scrittore della nostra adolescenza; parlarne oggi per dargli almeno quel saluto d'affetto che gli dobbiamo non foss'altro che come un sorridente accenno ai ragazzi che fummo quando ancora non immaginavamo il grande cimento che ci attendeva, davvero sembra di compiere a ritroso un viaggio in un passato lontanissimo. Tanto fu rapido il declino della sua fama immensa; tanto violenta fu la reazione a quel continuo e compiaciuto suo commuoversi cu tutto e per tutti, a quell'offerta incessante di soverchia bontà, a quel languore che pareva affettazione ai più severi, smascolinato adescamento ai più virili. Non tutta colpa del suo sentire e del suo stile. Dalla morte di Edmondo De Amicis all'agosto 1914 non passarono che sei anni. Troppo pochi Rovinando sui margini di un'epoca, il torrente di fuoco bruciò anche le radici dalle quali essa era cresciuta: nè risparmiò quelle che pure eran sane, forse necessarie. Tutto ciò. ch'era stato scritto, ma non vissuto nell'umanità più vasta e profonda, suonò allora falso e vuoto. Piangere per certe finzioni sarebbe stata una lugubre ironia: troppo si piangeva per la realta; e non si poteva più ammettere la coltivazione a parole, nelle serre calde dei cuori sensibili, del dolore e del sacrificio, quando sacrificio e dolore eran fatti correnti di tutti i giorni. Due soldi: due milioni Pure, una cosa resta, al di sopra e contro ogni giudizio critico. Quando qui, nella piccola Mostra deamicisiana voluta dal Podestà d'Imperia, colonnello Stoppani, ed ordinata con ogni cura dal prof. Nurra della Biblioteca universitaria di Genova, e dal signor Leonardo Lagorio, direttore della Biblioteca civica d'Imperia, si guardano i centosettantadue grandi volumi infolio contenenti le firme dei due milioni di bimbi italiani che diedero ciascuno due soldi perchè quel rame fosse tramutato nel bronzo d'un monumento da innalzarsi a chi per loro aveva scritto Cuore, si pensa che i gusti possono anche evolversi, i bisogni mutare, gii ideali letterari affievolirsi per risfavnlare diversi, ma che certi nomi e certe opere mantengono intatto il loro significato. Noi stessi è bene, forse, che non rileggiamo quei libri; è bene, forse, che ci limitiamo a serbare nell'intimo il ricordo della gioia che ci offrirono quand'eravamo fanciulli, della dolcezza che ci donarono prima che dessimo addio all'adolescenza; preferiamo lasciar fresca e viva un'illusione che nessuna realtà potrebbe compensare. Ma quei due milioni di bimbi» che oggi s'avviano ad esser uomini, che probabilmente hanno ormai dimenticato d'aver allineato sotto la guida dei maestri le lettere ancor stentate dei loro nomi e dei loro cognomi, quei due milioni di scolari erano allora tutta la purezza e la speranza d'Italia che parlava, erano un coro immenso che diceva il suo « grazie » all'uomo che aveva dato vita allo studioso Derossi, al buon uarrone, al « Muso di Lepre t>, al gobbino Nelli, all'allegro Coretti, al trafficante Garoffi, al cattivo franti, al volontario Stardi, alla Vedetta Lombarda, all'Infermiere di Tata, al Tamburino Sardo, all'eroico fanciullo di Sangue romagnolo, al Piccolo scrivano fiorentino, a quelle cento varie e care figurette che cosi vivaci e franche erano entrate nelle scuole che ogni ragazzo le ricercava sui banchi, ed ogni maestro se ne faceva un termine di similitudine. Quell'uomo, quel signore alto e canu to che quasi tutti i giorni se ne veniva •a guardar l'uscita degli scolari dalla ■e Pacchiotti » di Torino, che aveva chiuso nel profondo dell'animo il più acerbo e tragico dolore della sua esistenza e che forse per questo in ogni ragazzo che rideva o piangeva scorgeva il •ragazzo ch'era stato il suo Furio, quell'uomo aveva riempito del suo lavoro •fecondo ed onesto il mondo infantile di ■venticinque popoli. I bambini della Persia e del Giappone sapevano come quelli del Brasile e della Patagonia che Votini era un incorreggibile invidioso •che il timido Precossi era il figlio malmenato di un fabbro ubriacone. Dal Victor Hugo dei Miserabili in poi, mai così gigantesca popolarità aveva straripato dal chiuso di uno studio di scrittore fino agli estremi confini della ■umanità civile; per la prima volta da ehe l'Italia era nazione, il nome di uno scrittore italiano veniva acclamato in venticinque lingue di\erse da voci infantili. Tutto il mondo aveva .dunque pb•pcdLmdcc preso un abbaglio? I due milioni di., bimbi che^ davano ciascuno due soldi per il monumento a Edmondo Do Amicis rispondevano, con le loro firme, di no. Un giudizio di Mussolini Ostentazione, affettazione di bontà? La vita vista attraverso uno schermo deformante? Una limitazione borghese di sentimenti? Può essere. Ma il 14 marzo 1908, tre giorni dopo la morte di De Amicis, un giovane giornalista così scriveva su un giornale di Oneglia: « Molti anni sono passati. La vita colle sue lotte, i suoi dolori, le sue tempeste ha disperso le ridenti illusioni delle prime età. L'anima ha traversato terribili crisi e parve qualche volta soccombere sotto la gelida negazione di un disperato pessimismo. Ma allorquando — sospinti dalla nostalgia delle cose passate per sempre — siamo ritornati per un momento alla primavera della nostra vita, la risurrezione di quei giorni attraverso le nostre memorie si è sempre associata a un libro, al Cuore. Anche dopo, De Amicis è rimasto il nostro autore, abbiamo continuato ad amarlo, lo abbiamo seguito, abbiamo sofferto dei suoi dolori, partecipato delle sue gioie. Lo abbiamo amato per la sua vita, di lavoro indefesso, per la sua modestia, per la sua bontà, per la sua arte vera, sana, potente. Un'arte che non conosce i preziosi e ricercati lenocini della frase voluta; un'arte sorta dal popolo e fatta per il popolo, un'arte traversata e materiata da un vasto soffio di umanità .->. Qui alla mostra si può legger per disteso l'articolo di cui si riferisce questo brano; e si può leggere la firma dell'autore: Benito Mussolini. Per la sua vita di lavoro indefesso. Non è casuale che l'omaggio di Imperia al figlio che mai la dimenticò (era nato in questa casa che guarda il piccolo porto di Oneglia, il 21 ottobre 1846, e sull'atto di nascita il padre, Francesco, figura « banchiere del sale ») coincida con una bella affermazione di un Comune prospero ed alacre, che dalla prosperità e dall'alacrità trae volentieri ragioni di opere 'durature e nobili. Perchè .non soltanto domenica sarà scoperto nel più pittoresco punto del breve litorale che unisce i due centri di Imperia, Oneglia e Porto Maurizio, il monumento a De Amicis dello scultore Giorgis, presente il Ministro dell'Educazione NaziO' naie; ma contemporaneamente alla scultura ed alla mostra sarà anche inaugurato il grande e sontuoso palazzo municipale, progettato dall'architetto Armando Titta. Diciamo ope re nobili e durature: ed infatti tutto ciò che si scorge nel severo eppur sereno edificio del Titta si ispira a nobiltà ed a certezza dì gusti. Fedele a quegli schemi che il Piacentini sta proprio ora riconfermando a Brescia, egli è tuttavia riuscito ad agire con libertà e sicurezza, stendendo chiare facciate, concedendo a ricordi classici quel tanto da cui può evolversi lo sti le che oggi si elabora, facendo della semplicità di poche colonne e di sobri! aggetti materia di limpida e conv posta decorazione, sempre badando a equilibrare masse più che ad aggiun gere ornamenti là dove le nette sago me e le ampie linee strutturali di per sè bastavano a creare armonie. E l'interno arioso, lucente di marmi, polito negli atrii, spazioso nelle sale, arredato con criteri strettamente moderni, ben risponde a quanto di fuori il passante osserva. Dal monumento all'affresco Il monumento, che ci è stato concesso di vedere scoperto per qualche minuto, sorge a pochi passi dal nuovo palazzo, e neppur esso deluderà il viandante. Molto Bistolfi era ancora nel Giorgis quando, varii anni fa, progettava la sua opera, che nelle intenzioni dell'autore avrebbe dovuto sor gere al piede della collina d'Oneglia in un luogo caro al De Amicis, e che dopo un'alternativa di vicende (chi lo voleva e chi non lo voleva in piazza) trova ora posto qui, su questo stupendo litorale. Ne fan fede la composizione dell'insieme — tipico fondale di granito su cui risalta il bronzo delle figure —, l'ondeggiare degli atteggiamenti di questo, il simbolismo dei gruppi di sfondo, infine un certo ini pressionismo rodiniano nella statua dello scrittore in piedi. H corpo suo scompare difatti (alla Balzaci in una pbSstlpsorta di pcsaute^pastrano, quasi^unal"'"'ampia veste da camera, e soltanto una gamba, il braccio sinistro, la mano destra contro la coscia, hanno stacco sulla massa. Ma la bella testa dalla chioma ricciuta s'erge fiera rivolta verso l'Oneglia natia, l'aperto volto cordiale e sereno, il caratteristico profilo aquilino che la gran bontà dell'animo addolciva nei tratti incisivi, sono ben quelli che tutti conoscevamo. Egli figura, tra i figli illustri di Im- , o a a a e . ò a l d e e a e a e o a a , n e i a a r o l e o l a n o ) i e i a o a perla, anche nel grande affresco celebrativo che liberamente il Podestà Stoppani ha voluto ornasse il grande salone di ricevimento del palazzo. Mentre l'affresco, il glorioso affresco italiano del nostro tempo d'oro è ancor considerato dai più come una forma pittorica defunta, direi che questo esempio del Comune d'Imperia sia da porsi all'ordine del giorno in tutta Italia. Son metri e metri di muro che Cesare Ferro, con tecnica impeccabile, con senso decorativo ampio ed alquanto aulico, con respiro vasto di composizione, ha dipinto per glorificare il lavoro della terra e del mare, i fasti storici di Oneglia e di Porto Maurizio, gli uomini che più onorarono le due antiche città adesso riunite in una sola. Se quest'esempio fosse seguito, se i troppo rari committenti di lavoro agli artisti si moltiplicassero, la stanca ed inutile vanità di dipinger quadri (che non si vendono) per le esposizioni, in breve volger d'anni non sarebbe fra noi che un ricordo, e ci si stupirebbe che un pittore potesse dipingere a vuoto, esaurirsi in ansie e ricerche senza uno scopo preciso. E sarebbe l'inizio di una nuova «moralità» artistica. Valga per ora segnalare alle grandi quanto ha fatto mia piccola città, e formulare l'augurio che l'esempio non resti lettera morta. Da Manzoni a Carducci Altro augurio, poi, vorremmo eapri mere. Tanto riuscita è questa mostra per Edmondo De Amicis, così nobil mente si è onorata la memoria di uno scrittore che meritava quest'omaggio, che pensiamo a quanto sarebbe bello se la mostra, invece di chiudersi fra una settimana, il 22 maggio, potesse avere carattere permanente. Libri, manoscritti, cimelii, son stati forniti in gran parte dal figlio di De Amicis, Ugo, dalle case editrici Barbera e Treves-Treccani-TumminelU, dalla signora Mimi Mosso Ferraguti, dal Municipio e dalla Biblioteca di Torino, da quelle di Firenze, Milano, Genova, da: signor Peraldo di Bordighera, da altri pochi privati. Ma si rimpiange che tutto questo materiale fra una settimana nuovamente si disperda. Impossibile pretendere, certo, che amici e congiunti rinunzùio a ricordi preziosi. Ma, col tempo, non sarebbe invece possibile far sì che per lasciti ed offerte ad Imperia, in questa sala luminosa aperta sul mare che fu tanto caro allo scrittore di Sull'Oceano, sì costituisse il Museo De Amicis? Vi son cose qui che non si osservano senza commozlo ne: dai ritratti agli scritti, dalle cento e cento edizioni che sparsero in tutte il mondo un nome italiano, è un'intera epoca letteraria che si offre al ricordo, è un profumo un po' stanco ma pur dolce di passato, che risorge. Ecco la lettera di d'Annunzio con l'omaggio dell'originale dell'Otre: «Mio caro Edmondo, ero tra le montagne del Casentino, in vista della Verna se vera, quando lessi quella vostra bella prosa cosi lucente di bontà e d'arte. E mi venne nell'animo di scrivere per voi un piccolo poema e farvelo molto saporoso, schiettamente latino, chiaro e robusto. Ecco il mio segno di riconoscenza ». Ecco, fra lettere di Verdi, Victor Hugo, Zanella, Cena, Villari, Gnoli, Ruffini, Guerrini, Augier, Zola, vfrdtmltil saluto di Boito: «Ho ricevuto, ho, letto. Grazie! E' un capolavoro. Ed io, jbestia, ehe continuavo, tranquillamente, ad ignorarlo... ». Ecco una scrìttu-| ra vasta e possente: Carducci: «Creda, caro Signore, che per quanto io mi lasci alcuna volta vincer la mano da impeti estetici o politici, io non ho mal animo contro nessuno; e fui lietissimo, per esempio, di veder tradotto in francese le cose sue: onore che alla prosa italiana, puramente artistica, tocca ben di rado. »; e si sente, su questa pagina dall'inchiostro ingiallito, come il peso di uno sconforto. Ecco un'altra scrittura, minuta, questa, e quasi tremula: « Gentilissimo Giovanetto, degli incomodi abituali non mi hanno permesso di ringraziarla nel primo momento, come desideravo vivamente, de' versi ch'Ella mi ha fatto il favore d'inviarmi... »: Manzoni, 13 giugno 18(33... Era il ragazzo debuttante. Guardo una copia di Cuore: 1706" migliaio, oltre 25 traduzioni, 86.000 copie dell'edizione illustrata. Apro un catalogo di ventiduc anni fa: Cuore, Hcr.-:', .'Jn'Coeur, Corallo, Contzon, Sercc, a'alg^ Srdco, j cardia... Tante parole. I "'in tanto lingue diverse, per un nome lsolo, per una cosa sola. Per questo jpalpito ch'è dentro di noi, che ci t'aUsoffrire, che ci fa amare; per quel li- bro che milioni di bimbi lessero sulle ginocchia delle loro madri, e che an-!cor oggi, a pronunziamo il titolo, ci'riconduce ad un tempo felice che • passo" MARZIANO BERNARDI. a o a a o o -