La Missione dei Giuseppini nell'Equatore

La Missione dei Giuseppini nell'Equatore TORINO IRRADIATRICE DI CIVILTÀ' La Missione dei Giuseppini nell'Equatore Alla conquista della regione selvaggia del Napo ■- Mons. Emilio Cesco e i suoi compagni evangelizzatori - Un impianto idroelettrico e una stazione radio ricevente e trasmittente Altre missioni religiose di iniziativa e organizzazione torinese sono quelle dei Padri Giuseppini. L'Ordine dei Giuseppini, come si sa, fu fondato dal teologo Leonardo Murialdo, che nel 1873, essendo rettore al Collegio degli Artigianelli, per dare più disciplina e stabilità al personale del Collegio, riunì il personale stesso sotto forma di Congregazione religiosa, nella quale entrarono confratelli sacerdoti e confratelli laici. Le aspirazioni missionarie dei Giuseppini trovarono la loro prima realizzazione, naturalmente con l'approvazione di « Propaganda Fide », nel 1903, a Bengasi, ove il padre Gerolamo Apoloni fondò una missione per convertire al cattolicesimo quella popolazione maomettana. A capo della missione, nel 1911 e negli anni seguenti, durante la nostra occupazione militare, era padre Umberto Pagliani, che rivestì particoare importanza durante quegli storici avvenimenti. La missione venne però soppressa nel 1916, essendo in buona parte mancate le sue ragioni d'esistenza con le mutate condizioni locali. Nel frattempo, cioè nel 1914, i Ginseppinl si erano stabiliti in Brasile, e quindi, l'anno scorso, nell'Uruguay, affermando la vitalità dell'opera propria con cinque Case. Queste missioni però, avendo sede in località civilizzata, hanno una fisonomia che le discosta un poco dal tipo di missione, per così dire, classica e tradizionale omelia, cioè, che svolge la sua influenza in condizioni di particolari difficoltà, fra popolazioni selvaggie o semi-selvaggie. Rientra perfettamente in questa categoria la Missione del Napo, creata nel 1922 dai Giuseppini nell'Equatore (America del Sud), nel territorio orientale di detto Stato, che prende il nome dal fiume, o rio, Napo, un affluente delle Amazzoni. Otto giorni di marcia tra le selve Coll'approvazione di « Propaganda Fide » e coll'assenso di quel Governo, il 24 maggio del 1922 padre Emilio Cecco (diventato poi Vescovo) e padre Giorgio Rossi mettevano piede in territorio equatorlano, e, passati a Quito e ad Ambato, ove stabilivano una Casa di procura, si internavano nella desolata regione a loro affidata e, dopo otto giorni di marcia tra selve inospiti, il 30 agosto raggiungevano il villaggio Napo, nel cuore del territorio di loro giurisdizione, ove gettavano le prime basi della loro attività. Così il difficile e delicato compito di evangelizzare gli indi dell'Equatore veniva suddiviso fra i Giuseppini, i Salesiani e i Domenicani, che li avevano preceduti. I primi passi furono difficilissimi. Gli indi, come ognuno sa, portano per così dire nel sangue l'avversione contro i bianchi. E' questo l'effetto del ricordo atavico delle sanguinose ingiustizie su di essi compiuti dai coinquistatori spagnuoli e poi dai vari Governi, ingiustizie e persecuzioni che, purtroppo, non possono dirsi terminate neppure oggi. Gli indi all'avvicinarsi dei « civili » fuggono nelle selve, sottraendosi ad ogni contatto con essi. Ciò spiega come i due religiosi Giuseppini abbiano dovuto durare non poco tempo ed impiegare non poca pazienza e sacrifici, per potere avvicinare quelle po polazioni, tanto più che essi non potè rono impadronirsi della lingua locale se non in un secondo tempo. Ma i missionari dovettero combatte re, subito dai primi giorni, con un altro terribile nemico: il clima. In quei luo ghi non passa giorno, si può dire, senza che piova. Un'estrema umidità è costantemente diffusa nell'atmosfera, ed essa a lungo andare si manifesta insostenibile per l'organismo degli europei. L'esperienza ha dimostrato che un missionario non può resistere al Napo più di dieci anni consecutivamente, ragione per cui l'Autorità ecclesiastica ha stabilito di effettuare fra essi una specie di turno, di avvicendamento. Ciò non toglie, come vedremo in seguito, che quel terribile clima abbia fatto le sue vittime fra i coraggiosi missionari. Trentamila convertiti Padre Cecco e padre Rossi riuscirono, alla fine, ad avvicinare gli indi, per merito specialmente delle cure mediche che essi apportavano ai malati e ai feriti. Poi cominciarono l'evangelizzazione, traducendo nel dialetto indio le principali preghiere della Chie sa Cattolica e facendole loro recitare. Poi, con la predicazione, con le Messe, coi battesimi iniziarono le conversioni vere e proprie. Occorre ricordare che a Napo già si era avuta una Missione affidata ai Gesuiti i quali però erano stati espulsi ne 1895 dal Governo anticlericale di allora Di più, la sfera di influenza di quella prima Missione era stata piuttosto ristretta, ragione per cui i Giuseppini si può dire che dovettero cominciare dj bel nuovo la diffusione del Vangelo. Un anno dopo altri due missionari gi aggfei&serp 9* pionieri:, padre. After, i e a i r e i ò i o e o a d . ù a ò , e . , i . , i e e o a e e e a ri to Gianotti e padre Giuseppe Longo. Altri ancora seguirono negli anni seguenti, secondo le necessità delia Missione che andava estendendosi ed accrescendo a propria importanza. Coi missionari vi erano pure inviate le suore Dorotee, che portarono alla Missione un contributo notevolissimo, specie per quanto riguarda- i servizi sanitari e l'evangelizzazione ed educazione del sesso femminile. Ora i sacerdoti sono 9, i fratelli laici 7 e le suore 18. La Missione ha tre centri principali con altrettante chiese spaziose, costruite però in legno, che sono i villaggi di Napo, di Tena e di Archidona. I convertiti ascendono a 30 mila, disseminati in villaggi e in « haciendas ». Lo sforzo costante dei missionari è quello di vincere la diffidenza e l'avversione degli indi — il che essi raggiungono con l'affetto, col rispetto, con la giustizia ed anche con le cure materiali oltre che morali e religiose — di portarli a contatto cordiale con la civiltà, di raggrupparli in 'villaggi, di dar loro lavoro e adeguato compenso. Scuole professionali: la luce elettrica L'elenco delle opere realizzate dalla Missione è molto lungo, e si accresce ogni giorno. Ricordiamo, spigolando qua e là, le principali: un collegio per bambini bianchì ad Archidona, ed un altro collegio per bambini indi nell'interno; Oratoria ed Asili d'infanzia nei tre cèntri maggiori; parecchie scuole ove si insegnano» i rudimenti del sapere, cioè leggere, scrivere e far di conto; due scuole professionali, a Tena e Archidona, frequentate da cir»ca 40 indietti che vi imparano i lavori dì agricoltura, di meccanica, di falegnameria e calzoleria. E' specialmente nell'attività professionale che questa Missione si distingue. A Tena venne costruito un canale lungo circa 1300 metri con 50 in galleria, che derivando le acque da un lago superiore, eliminò le possibilità di alluvioni ed in pari tempo rese possibile un piccolo impianto idroelettrico, che diT nientemeno che la luce elettri ca al villaggio di Tena (la luce elet trica è poi stata inaugurata anche ad Archidona). E" stata impiantata una officina meccanica; sono state installate una sega circolare ed una brillatrice di riso. I lavori di agricoltura sono poi estesi intorno ai tre villaggi principali. Da notare che quel clima umido non consente la coltivazione del grano, e che quindi laggiù non si mangia pane. I missionari hanno pure tentata la coltivazione della vite, ma senza risultati positivi. H nutrimento principale è costituito dal riso e da un tubero che ricorda la patata. In fatto di bevande, se ne usa una fermentata ed alcoolica, non troppo gradita agli europei. Ma dove la Missione ha raggiunto i suoi massimi esponenti dì modernità è in una lancia a motore (il motore è stato un graditissimo dono del sen. Agnelli) con la quale i missionari possono, ora, comodamente navigare sul fiume Napo; nell'impianto completo di un servizio radiotelegrafico e radiotelefonico, trasmittente e ricevente, in corrispondenza con un altro uguale, installato nella Casa di procura di Ambato; e in un osservatorio meteorologico al Tena, che funziona dal 1924 con invio mensile al Ministero di Agricoltura di Equador delle osservazioni registrate. Tra gli antropofagi L'osservatorio fa pensare alle vittime della Missione, cui già abbiamo accennato, perchè fu fondato da una delle vittime stesse, il padre Gianotti. Questo sacerdote era pieno di intelligenza e di attività, oltre che di zelo religioso. Fu il primo a visitare tutto il territorio della Missione, e raggiunse luoghi che mai erano stati toccati da piede di bianco. Così, toccò per primo la cima del vulcano Iumaco e avvicinò le tribù antropofaghe dei Teties e dei Fieles. Era stato militare di Sanità durante la guerra e, accresciute le nozioni mediche acquisite in tal modo, fra gli indii era considerato un uomo miracoloso, per la guarigioni che sapeva conseguire e per le operazioni di chirurgia che era in grado di eseguire. Fra i colleghi era chiamato «l'esploratore» per la sua abitudine di viaggiare in cerca di nuove anime da salvare. Egli è caduto vittima del clima e delle fatiche cui si era sobbarcato. Colpito da itterizia, non ha curato il male secondo necessità, ed è morto di infezione meningea. Prima di lui era spirato padre Longo, che, nonostante la robustissima costituzione, era stato colpito da tubercolosi polmonare. Il Longo aveva 41 anno e , della, Iprp. lontana ^Ussione. 88 il Gianotti. In tal modo, con dueut, " y " j f fiorenti esistenze stroncate immatura- mente, i Giuseppini hanno pagato il loro tributo di morte alla prosperità

Luoghi citati: Ambato, America Del Sud, Archidona, Bengasi, Brasile, Equador, Quito, Torino, Uruguay