Uno scettico sportivo

Uno scettico sportivo Uno scettico sportivo Non so se Carlo Linati conosca le deliziose prefazioni di Anatole Francesi proprii volumi di cronache tetterarie : vi troverebbe espresso, con acutissima grazia, il proprio stato, d'animo di fronte alla letteratura. L'uno e l'altro non credono alla possibilità di giudicare rigorosamente le opere dell'arte: l'uno e l'altro ritengono proprio della nostra umana natura l'esser perennemente condannati ad un volubile impressionismo. Un giudizio è sempre soggettivo : non si può uscire da se stessi. Si deve dunque rinunciare a discorrer di libri, di quadri, di statue? l'unico atteggiamento corrente è forse il silenzio? Questi amabili scettici non sono così severi; il dubbio è, infatti, stretto parente dell'indulgenza Parlare dell'arte si può: ma, non è una cosa molto seria: piuttosto, una galante avventura. Si può, ma servendo, invece di una estetica dai canoni rigorosi, il proprio sentimento, magari il proprio capriccio: facendone un gioco garbato, che da se stesso si appaga. Il rapido mutare delle fame letterarie è argomento che questi scettici inalberano volentieri : il loro cavallo di battaglia. << L'estetica non si fonda su nulla di solido : è un castello in aria » ; « a meno di avere creato una dottrina, non c'è nessuna ragione di credere che una sola sia la buona: questa parzialità non è scusabile che da parte del suo inventore... ». •Anche Linati si è confessato, in questo stesso senso, nelle sue fresche « Memorie a zig-zag » : « Nella mia carriera di scrittore, pure al prezzo di qualche dolorosa delusione, ho potuto convincermi che nulla è più precàrio, nulla è più caduco e ridevole di quanto avviene in questo nostro mondo di fantasia e di carta. Libri che funono gridati capolavori un anno fa, oggi dimenticati; altri, il cui apparire suscitò l'entusiasmo corale di una dozzina di critici e di cui, dopo qualche anno, ricordi a mala pena il nome; gruppi o scuole urlate ieri panacee di ogni sapienza estetica, oggi derise, annientate. Che voletedunque che si presti più fede a questa grande follia di letterature, e chela si abbia in maggiordomo di uno sport, o, tutt'al più, di una maniera graziosa per passare il tempo? Io, almeno, l'ho sempre avuta in tale conto, e non me ne sono trovato troppo male ». Eecoci dunque orientati circa l'atteggiamento da prendere di fronte all'ultimo volume di Linati : « Scrittori anglo-americani»; che dovrebbe però, più esattamente, intitolarsi, secondo la giusta osservazione del Praz, « Scrittori inglesi e americani». Non andiamo- a cercarvi quello che il Linati non si è mai proposto di darci: dei saggi critici veri e proprii, tirati a fil di logica. Ricordiamo che, per lui, ogni lettura conserva il carattere, miracoloso e: un po' -svagatoceli una avventura spirituale e che, quindi, una collana di articoli suoi,- considerata nell'insieme, acquista il volto di un diario. Il temperamento di scrittore che più costantemente si incontra con simpatia nei suoi libri, anche di « critica », è : lui stesso. Lo tratteremo dunque col suo stesso metodo: mettendoci di fronte al suo libro senza categorie nella testa, con simpatia umana. Le sue pagine spirano infatti quel senso di cordialità, dal quale sono scaturite. Par di vedere il Linati uscirsene, di fresco mattino, col suo passo di solido camminatore, colla sua sete d'aria libera e frizzante, ed una doppietta ad armacollo, di buon umore cantarellando, avido di godersi quel sapore di novità, che ha il mondo nelle prime giornate di primavera. Il Linati ama il nuovo, e lo persegue infaticabilmente. Il « nuovo » ! Concetto empirico, fluttuante, e, insomma, discutibilissimo, almeno in letteratura; ma che calza perfettamente col relativismo delle sue idée ; non dobbiamo dimenticare che, per lui, la letteratura è piuttosto un fatto del costume, che dello spiritose va quindi soggetta a tutte le fluttuazioni della moda. Non credendo al •durevole, egli deve appigliarsi a ciò che lo sorprende, sia pure fuggitivamente, per qualche lievito insolito : la sua attenzione va, di preferenza, agli scrittori iniziali, ai «pionieri apportatori di novità e di invenzioni inedite». Inutile discutere sulla legittimità di questo punto di vista, dal momento che il Linati « si occupa di queste cose unicamente ^per suo piacere ». L'importante si è, che questo piacere sia comunicativo, come facilmente lo sono tutti i sentimenti liberi, e sinceri, e si trasmetta al lettore. E così avviene : quando Linati parla degli inglesi che gli son cari - Aldington, Strachey, Huxley, Hemingway, Pound, Wilder - ci mette tanto gusto, che vien voglia di far diretta conoscenza con i loro volumi. Peccato che, per alcuni di questi autori, e soprattutto per Huxley, egli non abbia voluto far la fatica, che sarebbe stata meritoria, di aggiornare le sue esplorazioni : se' l'è cavata con una noterella assolutamente inadeguata. Dell'Huxley, nel saggio che apre il volume, il Linati presenta « Antic Hay », « Crome Yellow », e--« Along the road ». I primi due sono romanzi satirici e ironici, colmi di conversazioni brillanti e scanzonate : fanno presagire le orchestrazioni più ampie di « Those Barren leaves » e di « Point counter 'point». La struttura narrativa di questi volumi (che deve forse qualcosa alla esperienza gidiana di « Les Ifaux monnayeurs ») ne fa piuttosto una collana di variazioni, che degli organismi equilibrati ed armoniosi in senso classico. Roger Martin du Gard scrisse che «Contrappunto» è un bel-Jissimo libro, ma un brutto romanzo : giudizio che mi pare accettabile. Ma non è forse, ai giorni nostri, in crisi l'idea stessa di quello che romanzo sia? E, a meno di credere ciecamente della esistenza-dei generi, non devono salutarsi con simpatia questi tentativi di versare vino nuovo nella vecchia botte... anche a costo di sfondare le doghe? Huxley, che è buon conoscitore di musica, ci sembra scrittore musicale nell'unico senso che, in letteratura, dovrebbe avere questa parola: non già per sonorità verbali, o addirittura imitative (la musicalità di Pascoli nei momenti più deboli), ma nel senso che i suoi motivi narrativi si intessono, si inseguono, si alternano come le frasi di un quartetto o di una sinfonia. E « Contrappunto » è una delle. esperienze più esaurienti, che si sia compiuta in questo senso. Dello Strachey il Linati è stato forse il primo, in Italia, a farsi banditore. Egli lo considera, però, troppo esclusivamente come un umorista ed arriva a chiamare la «Regina Vittoria» libro « amenrssimo » : questa monografia non mi pare affatto una caricatura ; l'ironia asciutta dell'autore vi è potente appunto perchè costantemente tenuta in freno. Comunque, ora, che la morte dello Strachey ha suscitato così diffuso, e meritato, compianto, il Linati può vantarsi di essere stato una buona vedetta. Molto giusto ci sembra invece quel passo, dove egli, parlando del fortunatissimo Thorntor^Wilder, lo giudica, in sostanza, uno scrittore spiri¬ tualmente europeissimo, un tardo rampollo della secchezza brillante del settecento francese. Una delle presentazioni più importanti del- volume è quella del giovane scrittore Richard Aldington, autore di quella «Morte di un Eroe», che ha avuto innumerevoli edizioni n Inghilterra ed in America. In lui ci urta la polemica antimoralistica, che per noi è incomprensibile, perchè non abbiamo avuto la cappa di piompio dell'era vittoriana; ma quali lieviti di poesia e di vita in questo ribelle! Adoratore di Lawrence, al quale ha dedicato un vivace saggio apologetico, Aldington ne è, per molti riguardi, un continuatore. La parte guerresca del suo libro è delle più amare e sconsolate : un inferno senza uce di redenzione. « Morte di un Eroe» è un romanzo a volta a volta sarcastico ed elegiaco : di un valore molto disuguale, ma di una complessiva: innegabile potenza. Qualche discorso del Linati risale ndietro negli anni, a cercare figure di scrittori d'altri secoli; così il saggio su Swift, che però non ci apprende gran che di nuovo, e quello, invece, utilissimo, su Melville. Herman Melville, (nato nel 1819), può essere considerato il precursore di Stevenson quale innamorato della vita edenica negli arcipelaghi del Pacifico : il suo « Typee » è appunto il racconto di un soggiorno alle Marquesas. Ma 'opera maggiore di Melville, il « Mo- by Dick », vasta e truculenta epopea della caccia alle balene, è quella che uscita nel Linati il più acceso entuiasmo : egli'jjf dichiara senz'altro « il più drammatico ed immaginoso panorama di v'ita pescatoria che sia mai tato scritto ». Il Melville esalta la verginità e la potenza della natura, emi cari da sempre al cuore di Linati. Quello che il nostro lombardo erca lungo le cenile acque dei fossi rrigui della pianura padana, o sui dolci colli azzurrini della Brianza, e ui monti che accigliati incoronano, al vertice del Lario, il desolato Pian di Spagna: una freschezza aperta e viva, un vegetale abbandono, una ana sobrietà alpestre, qualcosa inomma di fraterno alla semplice fora della natura, il Melville, con esotii scenari e terrificanti avventure, lo rovava vagabondando per gli arcipelaghi. Si sente nelle righe del Linati quasi una nostalgia di esperienze più vaste alla sua sete di camminatoe vagabondo : ma, creda, tutto il mondo è paese. E si possono trovare ntro i confini d'Italia tutte le sorprese dell'Universo, purché si abbia un cuore capace di dare agli incontri oi mutevoli volti della natura quel'incanto che solo può venire dall'inimo. Dono che Linati ha avuto largamente in sorte. PIERO GADDA. CARLO LINATI, «Scrittori anglo-americuni d'ojrgi». Editore Corticelli, Milano, 1932 - Lire 10. •

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