Ginevra 1932

Ginevra 1932 Ginevra 1932 A voler esser franchi bisognerebbe dire che anche le istituzioni internazionali create dai Trattati di Pace risentono le ripercussioni della crisi mondiale. Forse non tanto di quella finanziaria, perchè i bilanci della Società delle Nazioni e dell'Ufficio internazionale del Lavoro se hanno rallentato il ritmo della loro espansione, non hanno subito falcidie nelle loro entrate, derivanti dai contributi degli Stati-che ne fanno parte. E' evidente invece che esse risentono in pieno di quella crisi morale di disorientamento, che oggi esiste in quasi tutti i campi ed in quasi tutti i Paesi del mondo, ed a cui forse l'Italia soltanto fa eccezione perchè ha saputo darsi col suo nuovo Regime mete e metodi precisi e sicuri. Una prova di questo si è avuta anche nella Conferenza Internazionale del Lavoro chiusa la settimana scorsa dopo aver durato tre settimane. Non che nelle discussioni e nelle decisioni relative àgli argomenti specificamente fissati all'ordine del giorno sia avvenuto apparentemente qualcosa di diverso da quello che avveniva negli anni scorsi. Anzi, come osservava il direttore dell'Uffieio nel suo discorso di chiusura, per questo lato la Conferenza è andata fin troppo bene e le delibera zioni relative alla formazione dei progetti di questionario o di convenzione sugli Uffici gratuiti di col locamento, sull'età di ammissione dei fanciulli ai lavori non industria li, sul lavoro dei « dockers », sul l'assicurazione invalidità e vecchiaia, sono state prese senza troppi e troppo gravi contrasti. Appunto questa mancanza di passione, questa assenza di vibrazione .e di contrasti in argomenti pur di una grandissima importanza so ciale ed economica, che in altri momenti avrebbero sollevate discus sioni vivaci, ha costituito la caratteristica della Conferenza. In realtà sopra di essa domina vano la preoccupazione delle condizioni economiche e finanziàrie del mondo e la sensazione che ogni decisione che stava per prendersi non avrebbe avuto su questa crisi alcuna influenza, che anzi non sàrebbe stata realizzata se non in quanto ia crisi stessa l'avrebbe permesso. * n Questa situazione è più chiara' mente apparsa nei momenti in cui il dibattito è uscito dal campo tecnico, cioè quando si sono discussi il rapporto del direttore e la proposta Jouhaux-Mertens-Schurck per che la Società delle Nazioni prov . vedesse alla convocazione di riunioni internazionali comnoste di rappresentanti di tutti gli Stati meni' bri di essa, per prendere i provve dimenti necessari a ristabilire una maggiore fiducia, una più sicura stabilità monetaria, una sistema' zjone definitiva dei debiti intergovernativi, una più eauilibrata situazione finanziaria, una niù larga corrente di scambi internazionali. Il rapporto del Direttore, che negli anni scorsi era destinato specialmente all'esame delle quistioni sociali — che formano la competenza specifica dell'U.I.L., — quest'anno invece era quasi completamente dedicato all'esame della situazióne economica ed alle direttive che erano venute maggiormente in luce verso una più diretta ed una più estesa azione dello Statò nel campo economico, accentuando la formazione di una economia o organizzata o diretta o controllata anche là dove prima non esisteva che una economia rigidamente individualista e liberista. La mozione operaia non era che il logico completamento delle osservazioni contenute nella relazione del Direttore. Ed è appunto su questi due argomenti — che esorbitavano formalmente dal campo di competenza dèi U.I.L. ma che sostanzialmente in questo momento in cui le condizioni economiche condizionano non solo tutte le nuove riforme sociali, ma anche il mantenimento delle antiche — è appunto su questi due argomenti che si è manifestato quel senso di disorientamento cui sopra si accennava e che è rivelata anche tutta una interes sante evoluzione di idee in cui si mostrano i risultati della dolorosa esperienza che il mondo sta facendo. Nessuno — salvo forse il belga Gerard — ha ritenuto che fosse fdlnlrui possibile un ritorno puro e semplice all'economia liberale. I fenomeni • • ; _ c . , . .economici e finanziari che si mani- festano oggi nel mondo sono di una Itale gravità e di una così grande '■ „ ^;~„„j 4.- j . i ampiezza, sono dipendenti da tante cause'di ordine politico e psicolo-|gico, che nessuno può farsi illusio- ni che le singo'e forze individuali possono farvi fronte, e tanto meno ! superarle. Occorre che esse si uni-iscano in un'azione comune su un fpiano nazionale prima, internazio naie poi, per cercare di ristabilire questa azione collettiva non può es- nel mondo un nuovo equilibrio. Oral sere diretta ed organizzata che dallo Stato. Il non volerlo riconoscere è un voler chiudere gli occhi alla realtà, cosa che certamente non ha fatto il Lambert-Ribot del Comité des Forges de France, colla sua solita chiarezza e sia pu.-e con qualche naturale riserva. Ma se su questa linea di una economia diretta od organizzata si vanno orientando tutte le tendenze, i pareri rimangono discordi ed i dubbi rimangono forti quanto al modo pratico di attuazione. E' che gli errori e le conseguenze degli errori sono là: la economia americana non è stata diretta — e mal diretta — dalla teoria ufficiale, statale della prosperità? La finanza inglese non è stata diretta — e mal diretta — da una politica monetaria statale che da un lato si attaccava alla base oro e dall'altro manteneva una circolazione inflazionistica? L'écono mia nuova è quella in cui lo Stato sostituisce la sua iniziativa a quella privata? E' invece quella in cui lo Stato stabilisce la sua ingerenza diretta nelle imprese dei singoli e le controlla? O è infine quella, in cui l'azione statale si esplica non sui singoli ma sulle categorie in modo da orientarne l'attività e da valorizzarne le possibilità di azione in corrispondenza agli orientamenti prefissi? Quasi nessuno l'ha detto in modo preciso alla Conferenza, nemmeno il Direttore. Sola voce che ha potuto elevarsi ad indicare non idee vaghe ma realizzazioni precise è stato Bottai, nel suo breve discorso: ed infatti il solo sistema organico e razionale di economia diretta che oggi sia in atto è il sistema corporativo. Negli altri Paesi sono ancora ondeggiamenti, incertezza, tentativi frammentarii. Ma qualcosa anche nel vago e nell'indeterminato si è dovuto pur rilevare. Ed è stato l'appello con cui Jouhaux ha chiuso il suo ultimo discorso: l'apoello alla solidarietà di tutti : governi, datori di lavoro, lavoratori, per ricercare in comune le soluzioni necessarie a portare rimedio alla situazione attuale. Si rivela in questo nuovo atteggiamento un sintomo nuovo: si sente il pericolo che incombe sulla civiltà Ba: sénSoTn^m £^verno queste voci che vengono da ogni parte, anche da quelle menonostra — quel pericolo che da anni Mussolini va mettendo in luce nei suoi discorsi e nei suoi scritti — e si abbandonano le ideologfe della lotta di classe in questo momento, in cui la salvezza di ciascuno dipende non dalla distruzione degli altri, ma dalla solidale azione di tutti. Ma la questione è sempre la stes pronte a dimenticare i loro interessi di classe, per chiedere di abbandonare le sterili politiche, di egoismi unilaterali nel momento in cui la casa brucia? Sentiranno che i trenta milioni di disoccupati che vi sono nel mondo costituiscono un danno ed un pericolo sociale per tutti i Paesi, anche per coloro che si credono più forti? Quanto è avvenuto alla Conferenza del Lavoro è un altro avvertimento ad operare su un piano diverso da quello sinora adottato nelle riunioni internazionali. Sarà ascoltato? GINO OLIVETTI.

Persone citate: Bottai, Gino Olivetti, Lambert, Mertens, Mussolini, Ribot

Luoghi citati: Ginevra, Italia