Dalla Consolata all'Africa equatoriale

Dalla Consolata all'Africa equatoriale TORINO IRRAD1ATRICE DI CIVILTÀ' Dalla Consolata all'Africa equatoriale Le Missioni della Consolata sono I loopera di un uomo di fede e di volontà esemplari, il canonico Giuseppe Alternano, che fu rettore del Santuario e richludel Convitto Ecclesiastico della Con-1 Msolata. Appunto come rettore del Con-1 vvitto, egli ebbe campo di constatare come nel clero piemontese non mancassero le aspirazioni e le vocazioni missionarie, e allora pensò di creare tfn Istituto missionario, riservato al clero piemontese-, ma questa restrizione venne in seguito tolta, aprendosi l'Istituto ad elementi di tutta Italia. D canonico Allamano nel 1890 compilò un regolamento per missionari destinati ad evangelizzare l'Africa equatoriale, ma 11 progetto non venne realizzato che dieci anni dopo, nel 1900.1 trDiffusasi la notizia della nuova fon- imdazione, affluirono le domande da|psictadstdinateparte di giovani sacerdoti, chierici ed anche laici coadiutori. I prescelti vennero ospitati in una villa dello stesse can. Allamano, sita in corso Duca di Genova, che fu così la prima sede dell'Istituto delle Missioni della Consolata, giacché questo era il nome adottato dal fondatore. Ma la « Propaganda Fide » aveva stabilito di non assegnare a Istituti missionari di nuova fondazione alcuna località da evangelizzare, per cui, dopo molte pratiche che intralciavano l'impazienza dei neofiti, i nuovi missionari furono assegnati, a titolo di esperimento, al Vicariato Apostolico di Zanzibar, e destinati al Ghekoio, una regione alle falde del monte Kenya, conosciuta allora solamente di nome, con popolazione selvaggia, bellicosa ed ostile ai bianchi. Il battesimo di un re selvaggio Cosi il giorno 8 di maggio del 1902 partivano da Torino due sacerdoti e due coadiutori, i quali il 20 giugno entravano in Tuso, il villaggio-capitale del Ghekoio. La prima cosa che i Missionari fecero fu quella di curare gli ammalati in attesa di apprendere la difficile lingua del paese ed allo scopo di avvicinare gli indigeni ed ottenerne la confidenza. Fu in questa pietosa bisogna sanitaria che si rivelò necessaria l'opera delle Suore, massime per la cura delle donne e dei bambini. E pertanto, appena si ebbero dal Governo inglese e dal re di quelle popolazioni le opportune garanzie di incolu'mita, vennero chiamate le Suore del Cottolengo, ovunque note per la loro eroica carità verso i sofferenti. Le Suore giunsero con la successiva spedizione, e in soli tre anni si fondarono dieci stazioni. Di fronte ai rapidi e naturali successi, la « Propaganda Fide » nel 1905 sottrasse i Missionari della Consolata alla giurisdizione del Vicariato di Zanzibar, ed eresse la provincia del K& nya in Missione indipendente, assegnandola unicamente all'Istituto della Consolata, ed erigendola poi, nel 1909, in Vicariato apostolico. Una data memoranda nella evange lizzazione delle terre del Kenya fu quella del battesimo del re degli indi geni, Karòli. In mezzo alla ostilità palese o latente di quelle tribù, il vecchio re Karòli fu un vero strumento della Provvidenza. Egli era curioso di conoscere il segreto della potenza dei bianchi, e desiderava il contatto con essi; perciò, quando giunsero i Missionari piemontesi, li accolse con simpatia mista a curiosità, e finì per accordare loro la sua protezione. Tale protezione del Gran Capo fu quella che aperse il paese all'opera di redenzione civile e religiosa dei Missionari; ma il buon re Karòli si rese ancora benemerito, ed in rasura anche maggiore, quando deciso di prendere il battesimo cristiano. Gift ' alcuni battesimi erano avvenuti, ma quello del re assunse, fra i sudditi un'importanza e un significato enormi. Si può dire che da quel battesimo ebbe inizio la storia del popolo del . Kenya. Fu • un avvenimento che fece, . come suol dirsi, epoca, e aprì grandemente il solco civilizzatore dei nostri Missionari. Benessere morale e materiale Da quel giorno l'operosità missio- dgqmavasvredqetupdqnbinczdsadlainaercisEcddpccqlndtmlapggilmduvccspmttppbtppztniKp,tnaria andò sempre più sviluppandosi 'se consolidandosi, e testimoniano dei risultati conseguiti le stazioni di Missione che sono ora quasi una trentina, e le istituzioni annesse, fra cui ricordiamo le principali, e cioè: quattro Orfanotrofii per bimbi dalla superstizione dei parenti abbandonati alle belve; due collegi per allievi catechisti che dopo quattro anni diventano catechisti; un collegio per la formazione dei maestri indigeni, riconosciuti dal Governo inglese; un seminario con oltre 80 allievi indigeni; un monastero con numerose giovinette nere aspiranti a divenire suore ausiliarie; una tipografia che stampa in lingua indigena un periodico missionario mensile, nonché i libri scolastici e religiosi occorrenti al Vicariato; due stabilimenti industriali con segherie e macchlnaro per fabbricare case e chiese smontabili che si trasportano e si innalzano nelle singole stazioni; una vasta fattoria agricola e pastorizia che provvede il vitto a • tutte le Stazioni di Missione; tredici asili infantili; ventiquattro scuole centrali; 120 scuole-cappelle; tredici collegi femminili; 225 maestri-catechisti in servizio. Ogni Stazione ha annesse scuole per ragazzi e ragazze; le scuole-cappelle tdlsesono disseminate nelle borgate più , numerose; e tutte sono condotte da maestri indigeni diplomati. Ma le Missioni si preoccupano di portare anche il benessere materiale in quelle novelle cristianità. Cosi, nel- le Stazioni più anziane funzionano daparecchi anni diverse Cooperative per la coltivazione collettiva e lo smerciodi prodotti, nonché per l'importazione di articoli casalinghi, molini consor-ziati e altre organizzazioni. Da notarepoi che per i sopracitati stabilimenti industriali e per la fabbrica la mano d'opera è fornita dai neri, per i quali,]sotto la guida dei Missionari coadiu- tori, quegli impianti sono efficacissime scuole di arti e mestieri. JInteressante, perchè ispirate alla' ogica di alcuni accorgimenti sujrse- riti dalla pratica contingente, e perchè prova il complesso lavoro e la unga fatica, è il metodo seguito dai Missionari della Consolata per la con' versione degli indigeni. Saremmo qua- trodùrcl*" in una paese sconosciuto impiantarci, allargarci, e infine pre^ parare nQÌ stegsi cQn ràpprèndlmentò si portati a dire che anche qui si eser cita con gli immancabili buoni risulr tati il buon senso e la tenacia proprii del piemontese. , Tale metodo è illustrato da una relazione sulle Missioni del Kenya di Mons. Perlo. Vi si legge infatti : Il metodo dell'evangelizzazione « Il nostro lavoro dovette passare attraverso tre fasi nettamente distinte. Nei primissimi anni dovevamo in¬ della lingua locale e la conoscenza degli indigeni e dei loro costumi. Fu questa la prima fase. « Con la seconda si entrò decisamente nella preparazione d'ambiente, a mezzo delle ininterrotte visite ai villaggi e le abbondanti cure gratuite agli ammalati, al fine di farci conoscere e renderci accetti a questi selvaggi; cercando insomma di arrivare al cuore della popolazione, per poi disporla ad ascoltare benevolmente quella parola di evangelizzazione che eravamo venuti a portarle. Alla quale tuttavia — data l'assenza assoluta di principii morali e religiosi ed anche di ogni traccia di civiltà in mezzo a questi indigeni, rimasti troppi secoli nelle tenebre dell'ignoranza e della barbarie, per cui un'improvvisa luce invece di illuminarli li avrebbe accecati — precedette una fase di transizione: quella che potremmo chiamare di evangelizzazione indiretta. «E così per alcuni anni non si discusse con essi — nei loro villaggi e alla Missione — che sull'immortalità dell'anima e sulla vita futura: cioè la base naturale della religione, che in essi mancava del tutto. Frattanto alle nostre visite ai loro villaggi si era aggiunta la « kìumia », cioè la loro abitudine a rendere la visita — come essi dicevano — alla Missione, il giorno di domenica, allo scopo di sempre più famigliarizzarsi con noi. E intanto la popolazione « maturava », cioè andavano modificandosi alcune delle sue idee e ingentilendosi alcuni dei suol costumi; soprattutto di quella popolazione in contatto più diretto e continuo col missionario. SI entrava così naturalmente nella quarta fase, quella della evangelizzazione diretta. Dopo il Kenya, il Kaffa e l'Iringa In vista dei risultati e dei modi dell'attività missionaria spiegata al Kenya, la Congregazione di «Propaganda Fide » nel 1913 erigeva la Prefettura apostolica del Kaffa nell'Etiopia meridionale,-affidandola all'Istituto della Consolata e nominando Prefetto apostolico Monsignor Barlassina. Il paese, pur essendo vicino all'Equatore, gode di un clima temperato; ma le grandi difficoltà i missionari le hanno incontrate in campo politico. Le diverse tribù che formano quella popolazione fanno parte politicamente dell'Impero Etiopico, ed il Re dei Re le governa per mezzo dei suoi ufficiali con sistema feudale. Il Governo abissino, sobillato dal clero copto, ha fatto all'evangelizzazion; cattolica tenace opposizione, ed i missionari della Consolata hanno scritte pagine di paziente eroismo. Fu solamente nel 1818 che essi poterono entrare nel paese ed impiantarsi, ma sotto altra veste. E cinque anni dopo, ir dtìcol'codcaApBvlobpcodmdsunciri alisefepinbgscranginsanLPrlupbrlafrtpVlasttddvppdctstmvcimbvlpsg! qpaese dove la religione cattolica non è £permessa, lavorando nelle « catacom-jnbe », cioè senza dar nell'occhio aH'au-iCtorità politica e religiosa del luogo, 1'°-j bpera loro era già portata a buon1 punto. Erano infatti installati: cinque Stazioni di missione, cinque Scuole private, due Collegi per indigeni, un Seminario per abissini, uno Stabilimento industriale, tutti del tipo di quelli del Kenya. Nel Kaffa aveva nell'addietro predicato il Cardinale Massaia, e mol,ti convertiti perseveravano nella no'stra religione. I missionari hanno po r tuto stabilire relazioni con essi, dando vita a fervorose cristianità. Da allora i progressi sono stati continui, seppure lenti per le ragioni anzidette, e le istituzioni si sono notevolmente accresciute. Nel 1922 i missionari della Consolata furono dalla «Propaganda Fidesinvitati a fornire la loro opera apostolica nciriringa, già facente parte del Vicariato di Darcssalam, . nell'Africa orientale ex-tedesca, donde i Benedettini tedeschi erano stati allontanati dal Governo inglese; e Prefetto venne nominato Monsignor Francesco Cagliero. La popolazione è quivi in massima parte ancora pagana, e i nostri missionari si sono trovati a lottare con infiltrazioni musulmane vecchie di molti anni e con l'organizzazione missionaria protestante, che dispone di grandi mezzi. Tuttavia, in breve tempo, furono riaperte e vennero fatte rifiorire le principali Stazioni di missione, già inaridite dalla guerra, e circa un centinaio di Scuole-cappelle dirette da catechisti; ed ora le Comunità cattoliche dell' Iringa sono assai più importanti e popolate di quelle dell'anteguerra. 150 missionari e 100 suore , a m£atti- l'Istituto delle Missioni dei la Consolata, nel frattempo, è andate i sviluppandosi e ingrandendosi, assue mondo sempre maggiore importanza, - e accanto ai sacerdoti missionari vea1 Divano create le Suore missionarie, che r si rendevano altrettanto benemerite o!per zelo, spirito di sacrificio, slancio e j religioso. La Casa Madre di Torino, -jin corso Ferrucci, comprende ora un e,imponente insieme di edifici, capaci di i j 250 persone. Da quando l'Istituto ha o ' iniziato l'opera sua sono partiti da To,] rino per l'Africa oltre 150 fra sacer- doti e coadiutori, e più di cento Suoe ire. Un altro piccolo esercito che la J città, nostra ha inviato nel mondo, con sseaentta' compito, di ciyilizgazione. e redenzione,

Persone citate: Allamano, Divano, Francesco Cagliero, Gift, Kenya