La città morta nella foresta tropicale

La città morta nella foresta tropicale DA SAIGON ALLE ROVI IN E DI ANGKOR La città morta nella foresta tropicale (Dal nostro inviato speciale) ANGKOR (CamBodge), marzo 1932. Da Saigon alle stupefacenti rovine di Angkor, le più suggestive e grandiose d'Asia, che basterebbero da sole a fare dell'Indocina il paradiso dell' artista e dell' archeologo, corrono più di seicento chilometri di una strada che i francesi hanno reso, ottima recentemente. Sino ad un anno fa l'accesso alla meraviglia era arduo e lungo. Bisognava rimontare il Mekong e poi il Tonlè Sap suo affluente e raggiungere il cosidetto Gran Lago, immenso bacino adagiato nella parte nord-occidentale dèi Cambodge, attraversarlo per tutta a sua lunghezza e poi percorrere gli ultimi cinquanta chilometri in carretta trascinata dai bufali. Ma anche oggi andare ad Angkor significa poter disporre almeno di cinque 0 sei giorni di tempo, perchè la rovina è di una tale vastità da rendere impossi^'le la sua visita, anche ultra sommaria, entro lo spazio di ventiquattro ore. Soltanto a ...percorrerla di sfuggita, cioè limitandosi a passare in ri' vista templi, palazzi e muraglie coperte di bassorilievi, lungo le strade aperte nel fitto delle sélve alcune delle quali sono accessibili all'auto mentre una parte non consente il passaggio che agli elefanti domestici condotti dal « cornac », ci vorrebbero almeno otto giorni. Particolare attraente della passeggiata sul dorso dei pachidermi: incontrare una frotta dì elefanti liberi dietro il passaggio ciclonico dei quali il vostro si accoda sino a condurvi dinanzi al centesimo tempio della regione, non ancora accessibile perchè avviluppato sotto le ombre secolari dal grovìglio dei tronchi e delle liane> e fermarsi finalmente dinanzi ad una gigantesca faccia di Siva che inchioda l'elefante e voi sul posto (evidentemente è il « cornac » che ha ripreso il dominio della bestia, la quale palesa la differenza con quelle selvaggie scomparse nel mistero, strappando con la proboscide un fiore carmino c passandovelo gentilmente, forse per dimostrarvi d'essere edotta dell'atteggiamento ordinario degli infiniti suoi fratelli scolpiti sulle muraglie in grandezza naturale che colgono con la tromba fiori di loto per donarli agli uomini seduti sulla groppa). Porte aperte sulle tenebre Avverto che quello che potrò dìre delle rovine è caotico, inverosimile e fuori dal reale come le rovine stesse mi sono apparse. Tenete presente che le accessibili, le quali formano Angkor Thom, cioè la città vera e propria, sono comprese in un perimetro superiore alla cinta di Parigi, mentre la regione coperta dai resti della metropoli degli kmer, antenati dei moderni cambodgiani misura sessanta chi lometri di circuito. Ma a che scopo citare delle cifre? Angkor significa in sanscrito « capitale ». Una straordinaria fioritura di religioni indiane si è prodotta fra il nono ed il dodicesimo secolo fra1 baluardi di questa metropoli. Essa lumeggia improvvisa dal mistero, poi il mistero a poco a poco la riprende. Nei limiti della breve apparizione una folla di imponenti edifici metropolitani sorgono scolpiti, istoriati, decorati nella pietra da artisti impareggiabili, e interminabili strade lastricate aventi Angkor per centro s'irraggiano at traverso un paese che s'adorna es so medesimo di più di ottocento templi... La terra è coperta di vasti bacini utilitari e di migliaia di stagni sacri, i ruscelli ed i maggiori fiumi si superano su ponti massici costruiti a centinaia, la guerra di- vampa sulle frontiere con il complemento di lotte civili interminabili e nelle città l'oro ed il bronzocolano a fiotti per popolare d'idolitanti santuari che l'inventario piùpaziento deve rinunciare a fare ìl , e e e a a o e a , n i a i e è i i o a i a a i a i o i i i che sussistono computo di quelli oggi. Angkor è la riproduzione nel calcare venuto da grandi distanze dì quel vertiginoso periodo. Poche città morte s'esprimono con tanta sontuosa prolissità ma nessuna resta com'essa chiusa nel mistero. Tutte le sue porte sono aperte sulle tenebre. Le faccie allucinanti degli iddìi, degli asceti, delle femmine sacre che sfilano sulle muraglie non dicono che voluttà, ironia ed enigma. La storia di Angkor è quasi sconosciuta. Si sa che il suo fondatore fu Yasovardman re kmer vissuto verso il Mille e che nei due secoli successivi gli eredi di Yasovardman l'abbellirono ed ampliarono, ma a partire dal XIV secolo la Corte ridiventa nomade e Angkor decade, pur rimanendo mèta d'incessanti pellegrinaggi mìstici del popolo kmer. Nel XVI secolo ì Portoghesi la segnalano come un'antica città « romana » perduta nella foresta ed è solo nel 1850 che un missionario francese raggiunge Angkor denunciandola come un'opera diabolica, un centro d'idolatri demoniaci. Infatti i bonzi cambodgiani e siamesi avevano istallato i loro conventi nelle rovine e vi bruciavano i morti più insigni della Nazione, come avviene ancor oggi. Quando sono arrivato ad Angkor, prima ancora di distinguere le cuspidi del gran tem.pìo sormontare gli alberi colossali, ho scoperto la punta della piramide dì un immenso rogo più alto delle cuspidi e preparato per incenerire il corpo del bonzo-papa del Cambodge, spentosi or è un mese. Angkor è stata rivelata all'Europa dal naturalista francese Enrico Mouhot che la visitò nel 1860 e morì l'anno dopo vittima del clima nel Laos. A quel tempo la regione apparteneva al Siam. Divenne francese con la conquista del Cambodge, nel 1907. Sono dunque quasi venticinque anni che ì francesi sono i conservatori e ali illustratori di Anglcor. Essi hanno oramai volgarizzato in mille modi la magistrale rovina al ■punto che la parte centrale e più alta di Angkor Vat, cioè del gran tempio completamente separalo da Angkor Thom, figurava riprodotta nell'ultima esposizione cotoniate di Parigi. Ma cos'era quella riproduzione in confronto dell'originale, voglio dire dell'immensità della viva rovina ergentesi nelle radure della foresta cambodgiana, sotto un cielo di fuoco, fra i laghi coperti delle fioriture del loto e le folle dei bonzi in tonaca gialla venuti a piedi d'ogni parte dell'Asia per venerarla? Evidentemente poco più di nulla. Una fattoria italiana Ad Angkor bisogna venirci. Ma all'ufficio turismo della bella Saigon, città dell'opulenza, sia pure compromessa, quando sanno che siete quel tale venuto a volo dall'Europa, vi chiedono la «modesta» cifra di 3500 franchi per il noleggio di una, rapida vettura, avvertendovi che gli americani, che formano la maggioranza dei turisti visitatori di Angkor, pagano il doppio. Domandate un po' di riflessione e durante la medesima, fatta sulla terrazza del caffè dinanzi alla quale sfila al tramonto tutta Saigon, avete la fortuna di rivedere il caro commilitone ex-ufficiale degli alpini Camillo Giaccone, torinese puro sangue, da undici anni in Indocina-, che vi porta subito nel suo regno, cioè in una bella e vasta casa di campagna nei sobborghi della città, luogo di adunata degli italiani di Saigon. Per la strada Giaccone vi riassume gli eventi che lo riguardano durante quei lunghi undici anni: o i l'hanno presa dopo il '70 con quat- ùtro gatti armati di «chassepots» e lìalcune carcasse sedicenti da guerra! vita di lavoro e di lotte nel Siam, néll'Annam, in Tonchino; l'eterno dramma dell'italiano, creatore, co- struttore, inventore, pioniere per il vantaggio altrui... « Ah, caro signor Arnaldo, pensare che l'Indocina è tanto bella e ricca e che i francesi Che cosa facevamo noi allora? Dove credevano che fossero l'Asia e queste popolazioni che sono delle vere pecore, i nostri maggiorenti? Nella luna forse? Allora anche noi eravamo già una grande Nazione ed avevamo un esercito ed una marina e potevamo benissimo venir qui a ga¬ reggiare con i francesi o anche a qw>oli-orarti ri3rtr*f.r\i*rìr, nr\\\ Irwr, tr> nrvn ril.*.\—ngzmtaininmetterci d'accordo con loro e con gli inglesi per la conquista di un pezzo d'Asia sud-orientale. Invece facevamo la politica delle mani nette e credevamo nel diritto sacrosanto dell'indipendenza anche per i popoli finiti! Persino Nino Bìxìo, che era forse l'unico grande fattore uell'Unità che conoscesse l'Asia, diceva ch'era un delitto attentare alla libertà di questa gente. Il risultato è che ora ci tocca lavorare per gli altri! Bella soddisfazione sentirsi dire dai francesi che siamo bravi, sobri, intelligenti, preziosi, onesti! ». Eccoci alla « fattoria » Giaccone. E' notte, la tavola è imbandita all'aperto, le piccole annamite dalla treccia corvina avvolta nella seta, compagne nell'esilio dei bianchi, scivolano ambigue nell'ombra del prato che circonda la casa tropicale ed opulenta. Intravedo cervi addomesticati che galoppano nelle spere di luce uscenti dalle verande e sono subito circondato da altri italiani venuti a festeggiare il ritorno dall'Italia del veterano dei pionieri nostrani in Indocina,il signor Mariani, pure dì Torino. Stringo così la mano al Conte Savi di Roma, all'ing. Villa, bolognese, ai fratelli Amedeo e Mario Acquarono, liguri, conosciuti a Costantinopoli durante l'armistizio, all'agente consolare Renzo Franceschinì, che è tecnico del riso nell'azienda del cav. Pellas, al signor Masuero e signora e ad altri ancora c finalmente all'ing. Giovanni Valerio Canova, di Pinerolo, che mi offre gentilmente dì accompagnarmi la notte stessa ad Angkor con la sua automobile. I paesi delle palafitte Non siamo partiti veramente la notte, ma al mattino per tempo ed in quattro, cioè Canova, Amedeo Acquarono, il giovane pittore Pietro Ambcrtì di Orbassano, che da due anni va raccogliendo ispirazione artistica malese c indocinese, ed io, più l'autista annamita. Corsa assolutamente pazzesca sulla strada che conduce al bac, cioè al porto sul Mekong di Kampong Cham. Nell'andata non passeremo per Phnom Penh, la capitale del Cambodge, riservandoci di visitarla- al ritorno. Poca varietà nel cammino. Sino alla frontiera della Cocincina con il Cambodge, le cittadine ed i villaggi di capanne di paglia sulle palafitte sono numerosi fra le interminabili risaie ora asciutte e le piantagioni di « hevea », l'albero del caucciù; poi, entrati nel regno del figlio di Sisowatt, cioè nel Cambodge, l'aspetto del paesaggio diventa meno addomesticato. Anche gli indigeni cambiano aspetto e colore. Agli annumiti esili, strcmcìizid, vestiti di nero, succedono i cambodgiani, più bruni di epidermide e più vigorosi. Il punto pittoresco è al passaqgio del Mekong sulla chiatta rimorchiata sul fianco da un vaporetto così sdruscito e vetusto che ne domandiamo l'età. I battellieri non sanno rivelarcela, ma bisogna aggiungere che il Mekong e tutta la portentosa venatura navigabile che ne deriva, sono solcati pure da bellissimi vapori che dalle bocche del gran fiume lo risalgono penetrando nel Laos da una parte e raggiungendo il Lago di Angkor dall'altra. Viceversa la ferrovia che deve congiungerc Saigon a Phnom Penh e conti pstitalar \nuare sino alla frontiera siamese per unirsi alla strada ferrata di Bang kok è ancora in costruzione, II Mekong, dove lo stiamo passando (porto di Kampong Cham) è largo più di un chilometro. Riceviamo il refrigerio della brezza del fiume dopo aver provato l'atmosfera di fuoco della strada, poiché è già incominciata per. l'Indocina la stagio- fcunsqctgAvrfmdtlsspsdclpvanlldabrdnalEsnscAcdRacmgaPsfauemsnenSocaFscsbldzinlrav quaicne centinaio di chilometri in —, e j . _• ai-i ; t ne più torrida., quella che precede le grandi piogge. Fra un mese e mezzo tutto il paese andrà sott'acqua, ma non la strada, che è stata costruita molto in rialzo con superbi ponti in cemento armato e grandiosi piani inclinati d'accesso al Mekong. Passato il fiume, percorriamo piena foresta vergine. Alberi colossali, liane, tribù di scimmie urlanti... La strada taglia la selva diritta e senza ostacoli sinché riappare la piana disalberata e coltivata a risaia. Fermata a Kampong Thom L'ora incendiaria ci costringe a fermarci a Kampong Thom, a 150 chilometri da Angkor. Vi troviamo un discreto ostello ma una colazione detestabile. Riprendiamo la corsa alle 16 di modo che è già buio quando raggiungiamo Siemreap, che è la città viva accanto alla morta dove è stato eretto da poco un grande albergo per i visitatori di Angkor. Ma l'albergo, costruzione veramente sorprendente in quésta remota parte del Cambodge, non funziona ancora, cosicché dormiremo nei vecchi « bungalows » eretti di fronte alle rovine. Abbiamo fatto una corsa felice e rapida non lasciandoci sedurre neppure dalla svariatissima fauna (cervi, pavoni selvatici e splendenti, forse una pantera) incontrata per istrada. Un solo incidente, il tentativo di suicidio di una vacca contro il paraurti che ci spacca i vetri dei fari e lascia la bestia con una gamba rattrap pita, cioè rotta. Ma la disgraziata vacca si rileva sulle tre gambe e si allontana, non 'prima però che Canova gli abbia appuntato sulla pelle un biglietto da venti piastre. E' l'uso. Il vaccaro cambodgiano quando la troverà nella risaia conciata a quel modo e con il biglietto di banca giustificativo e riparatore ricostruirà l'accaduto e non ci manderà all'inferno buddista. I vecchi « bungalows », sono tenuti a meraviglia da un cordiale albergatore alsaziano che è stato legionario nella Legione straniera. Egli ci accoglie con infinita cortesìa e vuole che scriva il mio nome nell'albo d'oro dello stabilimento, sotto a quello del Duca e della Duchessa di Brabante arrivati ad Angkor con un piccolo seguito qualche ora prima dì noi. Particolarità degna di essere rilevata. Mentre il Re Alberto sorvola l'Africa diretto al Congo, suo figlio, nella foresta cambodgiana di Angkor che assomiglia da scambiarla alla selva congolese, interroga il mistero degli antichi kmer. Come tutti sanno il Principe Ereditario del Belgio e la sua Sposa sono le persone più affabili e semplici dell'universo. Li accompagnano un colonnello belga, una dama d'onore della Duchessa ed una cameriera. Fanno il giro del mondo in 'Strettissimo incognito (partiranno da Saigon con me sul .< George Philippard ■■> delle Messageries Maritimes, ma lo lascìeranno ad Hong Kong per andare a Manilla, in Giappone e in America, evitando la turbolenta Cina) ciò che non ha impedito che ricevessero a Saigon accoglienze gramliosc. Notte lunare. Dopo pranzo gli ospiti dei <a bungalows » cioè i Duchi di Brabante, noi, qualche miss americana, ed il marchese Ricci dì Firenze con la marchesa che ho la sorpresa di trovare ad, Angkor, s'incamminano per la soprannaturale strada lastricata di Angkor Vat. Gli enormi pinnacoli a forma di bottoni di loto si profilano nel cielo, lontani, dinanzi a noi, mentre da un lato l'altissimo rogo del bonzo-papa splende illuminato. Sotto il rogo, fólla cambodgiana che suona, danza e canta festeggiando il lieto trapasso del personaggio liberatosi dal peso della carne, andato a raggiungere la gloria di Yasovardman, fondatore di Angkor... ARNALDO CIPOLLA. aodmddatgmpptLs