I monaci del deserto

I monaci del deserto Conventi nel Basso Egitto I monaci del deserto l a i . l a o o n , e e n o l o , CAIRO, aprile, taLe macchine in pieno deserto co,- freno velocissime verso il Convento dìffrBaramus. Dietro di noi già da tempo, Woltre le dune, sono spante le Piramidi. Ad est in lontananza, di là dalla desolazione, oltre le cortine dei paesaggi irreali, si estende il Delta ferace e ridente; ad ovest, a qualche tsrdscentinaio di chilometri, sono i conimi sdella Cirenaica. La nostra carovana procede rapida sul Gebel. Si avanza, si corre, si sparisce in depressioni brusche per ricomparire improvvisamente più avanti. Si è scossi, sbatacchiati, sballottati in tutti i sensi. Il sole ancora non brucia, nè soffriamo il caldo; la fuga veloce sulle macchine crea infatti correnti d'aria abbastanza fresche. Il rombo continuo, uniforme, ostinato dei motori si ripercuote e si perde sulla sconfinata distesa gialla. Nel vento si mescolano cento musiche diverse e simultanee. L'orecchio è prigioniero di queste canzoni dell'aria, e non può udire le parole del compagno, nè può distinguere i suoni e i rumori che si producono all'intorno. Motori fra le sabbie Ora dobbiamo attraversare un uadi, una distesa di sabbie mobilissime. Spingiamo il motore al massimo dei giri. E' necessario ottenere una velocità elevata, radere il suolo, quasi volare per rendere leggerissima la macchina e non dar tempo alle sabbie d'invprigionare i violatori del loro regno. Le vetture si dispongono a ventaglio al cui vertice sta la guida beduina, e giù tutto acceleratore. Un chilometro, -due. L'uadi .è superato. Rallentiamo alquanto per non affaticare i motori generosi. Si snoda adesso la pista che conduce a Uadi Natrun e all'antico convento del deserto. Il sole è già alto, accieca. Strani effetti di luce completano miraggi bellissimi. Paesaggi fantasiosi sorgono e si dileguano in un giuoco magnifico dì colori e di sfumature nell'immensità luminosa. Ma ormai davanti a noi s'intravedono costruzioni bianchissime chiazzate di verde. Sono i conventi dei monaci copti ritiratisi nel deserto sin dal IV secolo dopo Cristo, vedette di una religione che da quelle sabbie ha tratto forza e vitalità. Deir-el-Baramus, verso cui siamo diretti, è a poche centinaia di metri. Uno scampanìo festoso ci saluta e ci promette accoglienza fraterna, acqua fresca, ombra, riposo. La croce nel deserto Il Convento di Baramus, nei dintorni dell'oasi egiziana di Uadi Natrun, forma l'estremità di una grande ero ce ideale, giacente sulle sabbie del deserto libico, i cui tre altri vertici sono costituiti rispettivamente dai conventi di Abn Malcar, di Amba Bisciai e dì Sorian. Questi quattro rifugi di anacoreti furono eretti nel Sahara quindici secoli fa secondo un piano mistico che, a chi sorvolasse la regione in aeroplano, rivelerebbe il simbolo della Cristianità). Varchiamo la soglia di questo piccolo mondo dimenticato nella solitudine, sotto l'implacabile fulgore del sole, nel silenzio raramente interrotto, nella pace consacrata da secolari pratiche di pietà. Il convento si 'compone dì alcuni edifizi rustici, biaìichissimi cimisi tutti da un muro rettangolare alto circa sei metri, anch'esso color di latte. Il panorama di questo deir, colto dall'esterno, è assai in-egolare e disordinato: • oltre il muro di cinta emergono tre cupole, di cui una sormontata da una croce, due campanili snelli ed avventati nel cielo chiaro africano, una torre quadrata e i ciuffi verdi di alcuni palmizi. All'interno c'è moto, c'è vita. Attorno ad un campo, ricco di palme dattilifere e di fichi contorti, ombreggiato da un pergolato, tappezzato di erbe mangerecce, sorgono isolate le costruzioni intravvedute dalla pianura desertica, Qui è la chiesetta; là U ricovero dei monaci con le sue celle; dietro sta l'edifìcio principale con scalinata e veranda, nel quale risiede il Capo della Chiesa copta, l'Amba Joannes; più in là sorge la chiesa con la torre quadrata, la sola parte del primitivo convento rimasta ancora in piedi dopo circa 1500 anni. Figure di monaci Un monaco ci accompagna attraverso i freschi viottoli del giardinetto illustrandoci quanto di più interessante vi è nel convento. Il nostro cicerone non sembra affatto patito per la vita di astinenza e di sacrificio. Questi monaci, pur indossando il vestito luttuoso della penitenza, tradiscono volti e figure ben nutrite, robuste, talvolta insolitamente panciute. La loro divisa é un mantello nero a manicne larghissime, il capo coperto da una calotta pure nera stretta aa un turbanteFra tutti campeggia la figura del Capo, magro, slanciato, occhi piccoli, tnteÙigenti. Questo sì ha il volto dell'asceta, a differenza dei suoi subalterni. Siamo condotti nella stanza degli cSl'mDgdcdFcneBcrcmpt—(psqvtbldnmbnslsagdtallrernnetp ardavi. Ammiriamo dei messali del vii f co?° Jcritti in fe™ e iH.«™^J?ft fre^atj ln «M0„'w™**™J$} W»»* vengono dispiegati manoscrit- ti diversi, antichi, polverosi, preziosissimi. Da queste pergamene ingiallite risorge tutta la storia dei monasteri disseminati nel deserto libico del Basso Egitto e nelle Tebaidi. E pure ri- sorgono le vicende aUe quali si riattac- ca anche questo rifugio di Baramuè. Si risale il corso dei secoli. Siamo all'epoca dell'Egitto cristiano, poco prima della divisione dell'Impero romano, Da Alessandria, da Canape, da Memfi, gruppi di fedeli fuggono lo spettacolo del vizio, si salvano dalla corruzione, cercando la solitudine nel deserto. Fondano monasteri e costruiscono celle. Fra i fuggìaschi che aspirano alla felicità dell'anima vi è Macario l'Egiziano, uomo di grande probità, sacerdote e missionario. Egli erige il Convento di Baramus nel quale trovano rifugio an che due giovani principi, figli di un re greco del IV secolo. Uno dei principi — ci spiega il monaco — si chiamava Maximos, Il nome del Convento « Baramus » proviene dal copto e significa « appai tenente ai romani ». Il « deir » infatti — il convento — fu fondato dai greci (che allora dagli egiziani erano compresi sotto la denominazione compren siva di romani).' Guerra e preghiere Passando dalla biblioteca alla torre quadrata, munita ancora del ponte levatoio, e alla chiosa antica nel cui interna sono appesi due prt.i.\osl quadri bizantini, la «ostro guida continua a illustrarci quei monumenti che il vento del deserto ha corrosi, sformati, ma non abbattuti. Nei primi tempi gli eremiti erano non di rado assaliti da tribù nomadi in cerca di preda. I monaci perciò erano costretti a difendersi e a maneggiare insieme la croce e la spada. Al primo pericolo essi si rinserravano nella torre quadrata, decisi a resistere, dove spesso subivano lunghi assedi. Lì v'era una cappella e una dispensa e quindi avevano modo di nutrire l'anima e il corpo, sempre pronti a lanciare sui nemici troppo audaci 5 loro dardi di guerra. Quella torre è ancora là; l'antico baluardo non è più centro di gesta guerresche. Rimane ritto, sfidando il sole e il vento di seroli, come un segnacolo ricordante all'umanità che formicola nelle città lontane, che cinquanta monaci vivono soli nel vecchio convento e impetrano pace sul mondo irrequieto, tormentato e sfiduciato. msdMQpuGmtuisctvsgirctfgtE. L0VAT0

Persone citate: Egiziano, Joannes, Macario

Luoghi citati: Alessandria, Cairo, Cirenaica, Egitto, Uadi Natrun