Garance

Garance Garance Era, ricordo, l'ultima domenica di marzo, Una pioggerella rada scendeva dal cielo grigio e uniforme, toccava_ appena terra, tanto era lieve. Le vie eran quasi deserte, e la vacanza domenicale restituiva alle cose il floro aspetto e il loro significato. Tutto era chiaro ed evidente ; le case, gli alberi, le larghe strade nere, lucenti sotto l'acqua, si rivelavano come se tfossero nuove, costruite per quella giornata di festa, perchè io le conoscessi, perchè le guardassi bene e ne cogliessi il senso ; il giorno dopo, ridestato il tumulto della metropoli, sarebbero di nuovo scomparse, sommerse nel traffico ansante, e gli uomini, chiusi ne' loro urgenti pensie; ri, sarebbero passati dinnanzi ad esse senza badarvi, povere cose sva poranti nell'aria caliginosa. Londra. Non v'ha più dolce riposo, più largo respiro, che camminare nelle tue pia ne vie in un pomeriggio di dome nica. .Io me ne venivo giù lentamente per Oxford Street, con le mani affondate nelle tasche dell'impermeabile, senza mèta, senza direzione, mosso dal desiderio di camminare in quel silenzio rotto ogni tanto dalle pesanti folate degli autobus rossi e verdi Pensieri lontani s'affacciavano alla mente, immagini remote riprendevan forma per un attimo, e mosso da qualche piacevole ricordo un sorriso talora affiorava alle mie labbra. Viandante felice, dimentico d'ogni affanno, leggero ed arioso. Volsi a sinistra e infilai Park Lane, ampia e come immemore in quel l'ora pacata, fra il suo margine ver de, e le grandi case che l'accompagnano fino a Piccadilly. Levai gli occhi in alto, su per l'armatura di un grande palazzo in costruzione al quale era legata la storia di milioni e milioni. Poi, giunto in fondo, presi a destra, ed entrai in Hyde Park Verde, tenero verde, luminoso sotto l'acqua, sul quale qualche fiore di croco teneva accesa la sua fiammella ; era domenica anche su quei prati, domenica per gli alberi immobili, estatici, trasognati. Sulla destra, dal lato di Park Lane, le sedie di ferro, in schiere folte e ordinate, se ne stavano lustre, stillanti di pioggia, tutte riposate in quel silenzioso abbandono, I superstiti dell'epoca vittoriana rinunciavano, per quel giorno, alla loro igienica respirazione. Nel galop patoio qualche orma di zoccolo si di sfaceva sotto l'acqua. E dall'altro lato del viale che lo fiancheggia v'era no i soliti oratori della domenica. Se ne stavan questi disposti a una cinquantina di metri l'uno dall'altro, chi in piedi su una sedia pieghevole, chi su una cassetta o su un alto sgabello. Ognuno s'aveva attorno un fol to gruppo di persone che ascoltavano attente, col naso in aria esposto alla pioggia. Parlavan lento e con intensi accenti persuasivi. Uno rivelava i paradisi del socialismo, l'altro spiegava il problema dei debiti di guerra, l'altro ancora illustrava i misteri dell'occultismo, il senso di una epistola di San Paolo agli Ebrei, le leggi di Manu, le rivendicazioni politiche dell'India e del Natal. Passando dinnanzi a loro, mi giungeva qualche frase, fiore caduto da quei giardini pensili dell'eloquenza, e si spegneva in fioche articolazioni. Dinnanzi ad uno di essi mi fermai ; lo guardai, lo riconobbi : era Garance. * * * Garance. Come gli altri, era in piedi su un panchetto, e sovrastava di quasi tutta la persona il suo uditorio. Con la mano sinistra teneva l'ombrello aperto, e la destra moveva in gesti impetuosi. Sul capo aveva un cappello a cilindro róso dai molti anni di servizio, e sulle spalle unamantellina di panno nero, frusta per il lungo uso, che gli scendeva fin sopra al ginocchio; ogni tanto, per ottenere un effetto oratorio più vivace, batteva forte col piede destro sul panchetto, che risonava come le tavole d'un palcoscenico. Come mai era là, Garance? L'avevo lasciato tre anni prima in un caffè di Montmartre che parlava, e lo ritrovavo, che parlava, in Hyde Park, sotto la pioggia, con gli stessi occhi fiammeggianti, e quel naso sempre rosso per il gran bere. Aveva un'idea fissa : creare una nuova teoria sull'arte. Quando non parlava, dipingeva. Mi avvicinai per udire quel che diceva. « ... e il problema dell'arte sarà risolto quando verrà accettato come vero il principio che essa è un fatto della natura ; allora non si parlerà più dei suoi rapporti col vero, se cioè, secondo Leonardo, debba imitare la natura, o se invece, a dire del Wilde, è la natura che imita l'arte. La manifestazione artistica è un fatto a sè, che deriva direttamente dal complesso delle forze naturali delle quali noi facciamo parte, e si vale quindi di tutti gli elementi della vita totale. Come fatto della natura l'arte trova quindi la sua perfetta giustificazione, rivela la sua ragion d'essere, afferma la sua grandezza nel concerto degli avvenimenti della creazione. L'individuo dotato di fertilità artistica è simile ad un campo ferace, ad una miniera ricca di minerale, ad un astro raggiante di luce. D'altronde l'uomo non può uscire dal metodo delle produzioni naturali ; tutte le sue manifestazioni_ son contenute nel quadro dell'attività naturale. Se così non fosse l'uomo o sarebbe Dio, o un mostro fuori d'ogni legge; farebbe parte di-un ordine di cose di cui noi ignoriamo l'esistenza. Come i fatti della natura possono riprodursi, come cioè si può ogni anno dar la spiga al grano e la pera al pero, così si può educare l'uomo a produrre regolarmente le opere d'arte, pur che abbia, beninteso, l'habitus artistico. A questo servono la cultura e il metodo di lavoro. Però... — passò l'ombrello dalla mano sinistra alla .Sto, allodarQma*————apsimstevavaSaErgrUnarCavoil si prquspchsemNdevaglusa inpogulo infotutainDbilimcobrtusi guundiquchtegeglviquserinvmsareqbmnnve l'dl'rqTsvrpnmrbGpdlrnencavmfizdPlGapddestra, e in quella mi vide. Disse an-|' ^ •[ ,• e • cora:— lJero... — io S'i teci un cen-lno di saluto con la mano. Divenne i e a e , . o e , o l i a n a o i n e i i ; o, e o, a a o, e, ao nao di ia e osa ei si no e. edi o. mn n ti naer otaul ara nre rgn il andirime to iù e la de, asè, esoi di ova ne, errto ne. tiad un de do ue nel scosravee vitutto rosso, e concluse a precipizio : _— Ma di questo vi parlerò domenica prossima. .Saltò a terra, prese il suo panchetto, e venne verso di me. La gente, allontanandosi, si volgeva a guardarlo, delusa. * # * Quando fummo nel taxi mi domandò : *— ^ quanto tempo eri li? — Da qualche minuto. — Ed hai udito quel che dicevo ? — Ora credo di essere nel giusto. E durante tutto il percorso non apri più bocca. Aveva voluto per forza che andassimo a casa sua. Abitava ad Hampstead, in una cameretta che guardava sul verde, e dalla quale si vedevano, nei giorni chiari, la cupola di San Paolo e le torri di Wcstminster. Era ammobiliata, quella camera, con grande modestia, quasi poveramente. Un letto, due sedie, una tavola, un armadio; v'erano in un angolo due Cavalletti e alcuni telai con la tela volta verso il muro. — Ebbene?... Ti sei messo a fare il conferenziere, ora? E la pittura? — Come si fa a dipingere, se non si è compreso che cosa è l'arte? — Immagino che tu l'abbia compreso, ora, se lo spieghi al popolo — E' una rivelazione che ho avuto qualche giorno fa. Vuoi bere ? — Volentieri. Avevo freddo, e la stufetta era spenta. Mosse verso una porticina che dava in uno stanzino ; poi si volse, mi guardò, e lasciò cadere lentamente questa parola: — Limonata ! — Eh? — feci io. — Limonata? Non hai wisky, gin, brandy ? — Credetti di aver compreso. — Vuoi che vada giù a comperare una bottiglia di... — Limonata — ripetè ; sorrise ed uscì. Lo stupore, alle prime, mi mosse a mille congetture. Poi mi levai in punta di piedi, mi avvicinai alla porta dietro la quale era scomparso ; guardai attraverso uno spiraglio. E lo vidi intento, mentre si guardava in un piccolo specchio, a strofinarsi forte il naso, gli zigomi, con un ba tuffolo di bambagia che di tanto in tanto bagnava col liquido contenuto in una bottiglia. Che cosa faceva? Dopo un poco rientrò portando due bicchieri, una bottiglia d'acqua e due limoni. Era pallidissimo, tutto bianco; soltanto gli occhi ardevano; sembrava un altro uomo. — Limonata! — disse, posando tutto sulla tavola. — Che cosa hai fatto? Sedette, pose i gomiti sulla tavola si prese il capo fra le mani, e senza guardarmi, come uno che confessi una colpa grave, mi domandò : — Mi hai visto mai, in quei bistros di Montmartre dove c'incontravamo quasi tutte le sere, bere un solo bicchiere di vino o di cognac? Richiamai i miei ricordi di quel tempoTinfatti, mai. Lo vedevo giungere che era già ubriaco, col naso e gli zigomi rossi, d'un rosso un po' violaceo, color garance, insomma, dal quale era venuto quel suo nome. Si sedeva, urlava : « Óra, signori, inorridiamo ». E comandava una limonata. E tutti ridevano. Poi cominciava a parlare, d'arte. - Ecco — continuò,— il grande mistero della mia vita. Potevo io passare le notti a parlar d'arte, a cercare la natura e il senso dell'arte, con questo volto pallido, con questo naso bianco, profilato, senza sembrare un maniaco? E allora facevo l'ubriacone, il bevitore come tutti voi ; era più normale. Dicevate : « Quando ha bevuto, apre i rubinetti dell'eloquenza, e ci assorda con i suoi problemi sull'arte. Effetto del vino ». Ed eran dispute che andavano innanzi fino all'alba. — Dunque, sci astemio?!... — Acqua e limone!... Ed ora tu racconterai ai nostri vecchi amici questa sciocca e inverosimile storia. Ti conosco; non saprai conservare il segreto. E d'altronde a che cosa servirebbe? Oramai ho scoperto la verità, verità che tu potrai divulgare, perchè tutti gli artisti ne profittino, ne traggan luce. A me non serve più, mi sono tutto consumato in questa ricerca. Ma ora che ho risolto il problema dell'arte non so più dipingere Guarda ! Prese un telaio, e mi mostrò il dipinto : — Vedi che sgorbio? Era invero una povera cosa, fredda ed inutile. Gettò in un canto il telaio, e continuò : — Immagino le risate che vi farete ripensando, al mio naso rosso, al mio naso artificiale. Garance!... Garance, e la sua gelida esaltazione, il folle nutrito di acqua. Perchè, ora lo avrai capito, io sono pazzo, pazzo da molti anni. Ruppe in una grande risata. Poi si versò un bicchiere d'acqua, vi spre mette mezzo limone, e bevve d'un fiato. Quindi se ne tornò nello stanzino. Ero talmente sbalordito che prima di riavermi passò un po 'di tempo. Poi mi domandai che cosa facesse di là Garance. Mi levai, aprii l'usciolo. Garancc pendeva da una corda legata ad un travicello del soffitto. S'era impiccato. Prima di morire s'era tinto di nuovo il naso e gli zigomi di rosso. LUIGI CHIARELLI. Sredcaimcomchscuclensil'glovri nsqsrcirRudsdrgacsisarsmmtq

Persone citate: Hyde Park Verde, Park Lane, Wilde

Luoghi citati: Hampstead, India, Londra, San Paolo