Con Ryan al comando del "IV Dublino"

Con Ryan al comando del "IV Dublino" TV ESERCITO SEGRETO r>> IRLANDA Con Ryan al comando del "IV Dublino" (Dal nostro inviato speciale) dublino, aprile. Andiamo a vedere ì soldati repubblicani irlandesi; lungo la strada ne parlo con Ryan: — Che uniforme hanno? — Noi non spendiamo i nostri delari in uniformi, quando ne abbiamo li spendiamo in pistole e, se possiamo, in fucili... Come principio non c'è male. Pare che nell'Esercito Repubblicano irlandese o, brevemente, nell'I.R.A. (le tre iniziali di Irish Republican Army, che sono, inglesissimamente, pronunciate « aiate », da amici, nemici e neutrali) tutto funzioni secondo questa linea. Niente apparato, ma sostanza, niente fanfare, ma rivoltellate, niente — soprattutto — politica, ma allenamento alla guerriglia. La parola d'ordine Sono stato iniziato ad alcuni segreti. Ryan — il prigioniero liberato quaranta giorni addietro da De Volerà — mi-ha fatto fare venti minuti di automobile sulla strada dTipperary (strada e macchiarla così vecchie che la distanza da Dublino si riduce ad una decina di chilometri) quanto basta per giungere di fronte a uno dei comandi dell'I.R.A.: si tratta di una casa che ha tutto l'aspetto di modestia e di miseria che hanno le piccole fattorie irlandesi. L'abbiamo superata e, cinquecento mètri più oltre, lasciata la macchina fra strada e siepe, abbiamo infilato un sentiero, attraversato un prato e raggiunta la casetta dalla parte posteriore. La porta dal di fuori sembra sconnessa, ma risuona di metallo sotto la spinta del piede col quale il mio accompagnatore batte tre colpi: risponde una voce che interroga con una paróla che non riesco ad afferrare; la mia guida brontola a sua volta una parola che deve essere di ordine, ma che è certamente irlandese e perciostesso incomprensibile. Il catenaccio fa un rumore che denuncia più ancora che la sua pesantezzala forza di chi lo muove. Un giovanotto vestito alla foggia dei contadini; una bandoliera a tracolla e un berretto da ciclista calcato in testa con la visiera rigirata verso la nuca, si impala portando la mano alla fronte e sbattendo i tacchi. E' alto qualche pollice oltre i sepiedi e, se non fosse nell'Esercito Repubblicano, sarebbe certamente con la tunica blu a guidare il traffico di Londra o colla giacca rossa a far la guardia a Buckingham Palace: dalla bandoliera sbucano decaricatori da fucile e dalla tasca della giacca il calcio di una grossa pistòla. Si passa da una scaletta: al primo piano c'è in una stanza una dozzina di uomini; dall'uscio spalancato li vedo intenti a fare il tutto e il niente che tiene occupati i soldatdi guardia quando attendono il turno della nuova fazione. Nell'altra stanza c'è il « comando » e il comandante. L'ufficio, a giudicarlo di prima impressione, dice poco, ma è appunto la mancanza di quegli oggettche arredano e danno tono a ognufficio, che riporta il pensiero al baracchino del piccolo comando in guerra. Siamo al comando del quarto battaglione « Dublino ». L'Esercito Repubblicano ha per unità base il battaglione: primo nucleo è Fa compagnia, queste sono distinte da lettere: A, B, C, D,; quando le compa'gnie 8(m6più di quattro, con le sue ,r _7 • r ceSSlve Viene formato un altro bat taglione. C'è, come regola, un batta a*? <*• ognuna delle vvitisei con tee dello htato Libero ( circa l or ga nìzzazione armata dei repubblicanj jj0 fetta dell'Isola che Si chia1" ^""l ' , , -.. . , ' ■ ma Irlanda del Nord e che fa parte deZ Regno Unito parleremo più ol; Dublino ce ne S0710 cinquek' ne? ILerry e in. tutte le Qontee dei e i i ì o i : o a a , n a a i o e a i l i a i i n - - i e - , j l'Ovest da due a quattro. Tre battaglioni fanno la brigata; di queste unità ce ne sono nove distribuite in tutta l'Isola: esse dipendono direttamente dal Comando Generale che ha sede a Dublino. Gli uomini e l'armamento Il reclutamento è cosa facile: nelle Contee atlantiche e in quelle dell'interno l'entusiasmo dei giovani è fatto più bruciante dalla miseria della terra e dal catenaccio americano sull'emigrazione: ma di uomini i Repubblicani ne hanno per il loro Esercito più del necessario e dell'utile. La difficoltà più grossa è quella dall'armamento: me ne parlano con accoramento, quasi con rabbia: — Abbiamo centomila uomini, ma soltanto a quattromila possiamo dare altrettanti fucili... — E come sono armati gli altri? — Non sono armati: sono semplicemente allenati ad usare le armi. Allo scopo di ridurre al minimo gli svantaggi che vengono da questa deficienza abbiamo preparato delle istruzioni tattiche che consentono di sfruttare al massimo il numero di gregari di cui disponiamo. — E' indiscreto chiedere qualche cosa sull'argomento? — Affatto: la' nostra unità per l'impiego tattico noi la chiamiamo «colonna»; si tratta di trentacinque uomini armati che operano in modo diretto contro il nemico; dalla forza e dal terreno in cui questo venga volta volta a trovarsi, dipende il piano di attacco. In parentesi notate che noi siamo a favore della guerra di attacco in ogni caso: noi siamo pochi ma « di casa », dobbiamo quindi attaccare semprc,'non importa se contro un nemico più numeroso e più forte per armamenti. C'è una mezza eccezione: noi non attaccheremo mai se non di sorpresa il nemico fortificato: ma in generale le nostre azioni sono portate contro truppe in movimento, contro pattuglie, contro i convogli militari. — Guerra di imboscata, dunque? — Dite pure «guerriglia-» nel senso più completo della parola. — E i compiti assegnati agli uomini senz'armi? — Questa inferiorità, che sarebbe gravissima per un esercito regolare, non è così irrimediabile per noi. Mentre trenta o quaranta uomini combattono col fucile, agli altri novecento sono assegnati compiti diversi, ma tutti ìitilissimi: notate, prima di tutto, che a ostilità iniziate noi abbiamo ogni probabilità di perdere uomini ma anche, e soprattutto, di catturare dei fucili. Noi contiamo che in ogni giorno di combattimento cento dei nostri uomini possono raccogliere almeno dieci fucili, talché, alla fine di pochi giorni, noi potremo avere tutti, o quasi, i nostri uomini completamente armati. La tattica e il nemico « Primo ordine che ha ogni soldato è quello di procurarsi un fucile: notate che se ci mancano i fucili siamo riusciti, per contro, a raccogliere un buon numero di pistole — arma pressoché inutile nel combattimento a distanza e nel momento dell'urto, ma utilissima per indirizzare - da un appostamento un buon colpo e mandare con esso all'altro mondo un nemico armalo di una ottima carabina. « Ma in ogni caso, anche se noi riuscissimo ad armare soltanto i due terzi o la metà dei nostri uomini, i restanti possono sviluppare una azione che potete chiamare come volete: spionaggio, sabotaggio, eccitamento delle popolazioni nel territorio occupato dal nemico. Seguire le mosse di questo, far saltare i ponti in modo che i suoi cariaggi non possano muoversi, sgarettare i cavalli, incendiare i depositi, sono operazioni indispensabili per una organizzazione come la nostra qualora fosse impegmta in una guerra contro il nemico organizzato con un esercito regolare ». — Rilevo che non parlate mai di « un » nemico, ma sempre « del » nemico... — E ve ne meravigliate? Noi non abbiamo nemici; abbiamo un nemico e non possiamo averne che uno: l'Inghilterra. — Come fanno a riconoscersi i vostri uomini durante un combattimento, vistochè non hanno uniforme ? — Una nostra uniforme ce l'abbiamo: avrete notato che gli uomini che montano la guardia a questo deposito di munizioni portano i berretti con la visiera voltata all'indietro? Per questa settimana quella è la nostra uniforme; facile, come capite, da togliersi quando sia conveniente mascherare l'attività di uno o dell'altro e parimenti facile da rimettere quando sia necessario farsi riconoscere da un commilitone. La settimana prossima l'uniforme sarà un'altra: il bavero della giacca rialzato, per esempio. Tiro la domanda più grossa: ■— Come state a mitragliatrici? — Non ne abbiamo... Mi è sembrato tuttavia di aver colto sulla bocca che negava, un lieve sorriso dì riservatezza e di malcelato compiacimento. — Sicché le sole armi di cui dispone il vostro esercito sono i fucili? « Di ottimo non c'è che il fucile » — Abbiamo anche qualche po' di granate a mano: ma ne escludiamo l'impiego: sono armi che non fanno per il nostro sistema di guerra. Per noi di ottimo non c'è che il fucile e come sussidiario la pistola. — Che fucili avete? — Di tutti i tipi: dei Mauser, Mannlicher, molti anche dei vostri fucili italiani, e più che d'ogni altro dei Lewis portati via agli inglesi durante la guerra del '22. Questa disparità di armi ci dà il grosso fastidio di dover provvedere a una adeguata distribuzione delle munizioni; per quanto ciò possa apparire strano, non abbiamo distribuito a ogni «colonna» un tipo di fucile unico: ciò ci impedirebbe la possibilità di spostare la formazione da una parte all'altra dell'Isola senza farla seguire anche dal munizionamento. In ognuno dei nostri magazzini di armi ci so>w cartucce adatte per i varii tipi di fucile: nel Kerry potranno così combattere i battaglioni del Donegal senza che questi abbiano a spostare oltre che se stessi, le loro riserve di munizioni. — Una domanda molto indiscreta: come vi rifornite di cartucce? — Non ne abbiamo bisogno: abbiamo delle !stre forze maggiori nelle regioni del-riserve sufficienti permolti mesi di guerra e per un nu-mero dì fucili quadruplo di quello di c. '. disponiamo. Le abbiamo messe insieme dieci anni addietro quando la nostra Patria era libera — voglio dire: in guerra, ma Ubera; ora provvediamo con particolari cure e con frequenti controlli ad accertarci che le munizioni non si alterino. — Mi volete dire qualche cosa circa la distribuzione delle vostre forze nel Paese? — Abbiamo uomini, « colonne », centri di raccolta in ogni parte dell'Isola; naturalmente teniamo le no l'Ovest che per le loro caratteristi che geografiche offrono più sicuri nascondigli ai nostri depositi di armi e ci consentono di adunare i nostri uomini con una segretezza pressoché assoluta. — E nell'Irlanda del Nord? — In quella parte dell'Ulster che il Trattato imposto dagli Inglesi nel ventidue ha tagliato dallo Stato Libero, l'I.R.A. ha una buona organiz zazione che cerchiamo di manteneresempre in efficienza massima per-chè, come capite, è lassù che i no-. . . . . -, . . ....stri uomini Potranno dare i fastidipiù grossi ali Esercito inglese: gliInglesi hanno fatto il « Trattato » per dividere lIrlanda, hanno diviso l'Irlanda per poter mantenere nell'Isola un punto di appoggio dal quale muovere per schiacciare il movimento patriottico. Non sono riusciti a far ciò mandando sessantamila uomini a combatterci, nè sono riusciti a vincerci mettendo l'uno contro l'altro di noi. La partita con gli Inglesi non è chiusa da nessun patto: ci dicono un popolo di sanguinari, di fratricidi. « E' la calunnia più grossa che sia mai uscita dalle labbra di John Bull. Vi prego di tener presente il fatto che gli Irlandesi, tutti, sono stati uniti finché c'è stata la guerra contro gli Inglesi: i dissensi, le lotte civili sono venute quando ci hanno messo sul collo il giogo della pace...». E l'Esercito regolare? Rivolgo al Comandante del « IV Dublino » una domanda che mi son proposta da diversi giorni: — Cosa farebbe l'Esercito regolare dello Stato Libero se gli venisse dato ordine dì agire contro l'I.R.A.? — Venisse presto quél giorno! Sarebbe la soluzione immediata: vi stavo dicendo che gli Irlandesi non combatteranno mai gli Irlandesi. Soltanto un Governo servo dell'Inghilterra potrebbe dare un ordine simile: sarebbe la stessa cosa come se l'Inghilterra ci dichiarasse la guerra. « E allora si vedrebbe che i soldati dello Stato Ubero non solo noti sparerebbero sui volontari dell'I.R. A. ma si unirebbero a noi. Questa realtà è tanto ben conosciuta e altrettanto temuta dagli stessi oppressori che sei mesi addietro, Ryan, per averla stampata, fu imputato di « alto tradimento »... Il colloquio col Comandante è finito: Ryan gli stringe la mano e si scambiano la frase di augurio, di ■minaccia e di certezza che in questi giorni ho sentito più volte ripetere: — We'll get them! E' il « on les aura! » che hanno imparato sui campi di Francia. LEO REA. L'Ottava d'Oro L'ultimo ciclo ili letture ariostescheFerrara, 19 notte. Nella primavera del 1933, Ferrara celebrerà solennemente il IV centenario della morte del divino cantore di Orlando; e pertanto, volge alla fine il compito del Comitato Ariostesco dell'Ottava d'Oro, sórto nel 192S per iniziativa di S. E. Italo Balbo, allo scopo di preparare le celebrazioni del centenario, tenendo delle letture ariostesche originali, e improntate a tale senso artistico da far conoscere ed amare, più che non lo fosse fin qui, l'opera di Messer Ludovico. Perciò quest'anno l'Ottava d'Oro organizzerà l'ultimo ciclo di letture, che .assurgerà ad un particolare significato, per Ia chiara fama delle eminenti per- tonalità che hanno assicurata la loro adesione. L'inizio dell'ultimo ciclo di letture è imminente: nel pomeriggio di domenica 15 maggio, il senatore Innocenzo Cappa inaugurerà il quinto anno di attività dell'Ottava d'Oro, parlando de «L'Orlando Furioso e l'Italia nel secolo dell'Ariosto ». La lettura sarà tenuta in uno dei luoghi più suggestivi di Ferrara e sarà seguita da un eccezionale concerto. Seguirà, poi, una manifestazione di schietto e sano umorismo con Toddi, che parlerà di « Messer Ludovico, abilissimo giocoliere ». Seguirà ancora uno spettacolo teatrale di primo ordine, per il quale fervono da tempo i preparativi. L'on. Fausto Bianchi, oratore forbitissimo e cavaliere perfetto esalterà le glorie dell'« Eterno femminino arlosteo» e il prof. comm. Gaetano Boschi, direttore del Manicomio di Ferrara manderà i suoi infermieri a trarre Orlando dal fantasioso regno delle Ottave d'Oro per fare una acuta e profonda « Diagnostica » della sua pazzia II cap. Berto Bertù porterà, invece, iferraresi amici «dell'Ottava d'Oro» tragli incanti dei man che l'Ariosto mira-gli incanti uei man cne i Ariosto mirabilmente descrisse nel suo poema im. mortale; Domenico Tumiati condurrà, dal canto suo, gli uditori attraverso i ►misteri del «Castello Magico»; e altri 1 insigni studiosi, quali s. E. Luigi Fe ìerzon,i' " senatorf Gio™nni Gentile,Corrado Govoni e Luigi Chiarelli esal- |tcranno la divina bellezza della poesia e ia mirabile potenza della fantuaia arìostea.