Il re dei vulcani degradato

Il re dei vulcani degradatoVIA.O-C3-IO 2STEJ_. SUD AMERICA Il re dei vulcani degradato DAL NOSTRO INVIATO) QUITO (Ecuador), aprile. Il treno da Riobamba a Quito parte all'alba. Un treno lei/gerissimo, come si conviene a una linea da equilibristi. Stupisce, anzi, che si continui ad andare a ruote. Molto più naturale apparirebbe che si proseguisse su alte gambe d'acciaio. In tal modo, a Urbina ci saremmo potuti arrivare con un passo solo. La strada ha tutti i caratteri di una ciclopica gradinata. \\ Re deposto Urbina è una stazioncella infreddolita, a tremilaseicento metri sul mare, proprio alle falde del Chimborazo. Eccolo là, anzi: eccolo qui, il vecchio Re dei Re deposto, l'antico potentissimo e temuto Signore di più che quattrocento vulcani, degradato in seguito a un più rigoroso calcolo della sua statura; seimiladuecentoquarantasette metri. Scimiladuccentcquarantaseite metri sono molti, moltissimi sempre. Ma non quanti ne occorrono per custodire uno scettro imperiale. Ci sono personaggi ben più elevati, sulle groppe del mondo. E ciò è tanto vero che i piccoli uomini, prova e riprova, riuscirono un bel giorno a montargli in testa, e a piantarvi una bella bandiera. Un Re autentico non lo avrebbe tollerato. I primi tentativi per questa ascesa furono fatti, come si sa, dall'Humboldt nel 1302, e ripresi, sempre senza fortuna, da pionieri di varie nazionalità nel 1827, nel 1831, nel 18-14. La vittoria doveva toccare al Whymper, e alle sue valorose guide valdostane, ci» quant'anni fa. Veduto di qui, nessuno potrebbe deplorare la sua detronizzazione. Una bella montagna, un cono miracolosamente perfetto, e null'altro. La mattinata è limpida, e il cielo su cui s'incastona lo smagliante coperchio di ghiaccio millenario, che chiude ermeticamente la grande urna di fuoco, è d'un azzurro prodigioso. Pur tuttavia il Chimborazo non riesce a fare alcuna particolare impressione ai novizi dquesto treno. Piccolo smacco che ha, del resto, origini molto naturali. Per noi che si-amo fermi a tremilassicento metri, la statura del Chimborazo è ridotta di più che la metà. Eccome guardare un uomo gigantesco standogli in collo. Un console di Costarica, che è venuto fin qua unicamente per concedersi l'emozione di vedere il Chimborazo da vicino, è molto addoloralo per questa emozione che non arriva. Consulta le carte, e va in giro per tutto il treno con un dito steso verso la montagnachiedendo a destra e a sinistra : ^Chimborazo...? Chimborazo...? ». Tutti glrispondono di sì, ed egli continua nella sua inchiesta. Ha paura che lo imbroglino. Per rincorarlo gli dico che il Chlrr. borazo quello lì, è così alto che si ved" perfino dall'Oceano Pacifico, distante di qui trecentoquaranta chilometri i„ linea d'aria. Lo sa anche lui. Ma sarà stato, poi proprio il Chimborazo quello che glinsegnarono in alto mare? Veduto dlà pareva una nuvola. — E' la sorte — sospiro — delle cose molto grandi quando si guardano troppo da lontano o troppo da vicino..Mi stringe la mano. Fa le faville con gli occhi. Questa formula scettica gli piace. Tira fuori un libretto e ss l'annota. — Badi — lo avverto, per onestà — che non l'ho mica scoperta io... — Fà niente. Gente dei « pàramos » Cinque o sei bara-cchette di legno accanto al binario; eppoi null'altro per quanto è grande il cerchio dell'orizzonte. Urbina c dunque tutta qui. Botto questo nome non esiste alcun seg7io apprezzabile di t'ito sociale. Un posto di guardia, un ufficio telegrafico, e basta. Queste verghe audacemente gettate attraverso la fantastica galoppata vulcanica delle due Cordigliere, vanno soggette assai spesso a incidenti che tavolta assumono caratteri di grosse tragedie. L'ultima, alcuni mesi fa, costà la vita di duecento operai. Passeremo fra poco d'accanto al grande sepolcro, nato automaticamente sul luogo stesso dell'ecatombe. Creature umane poche, spurutisaime. Sarebbe difficile dire dove vivanoe di che pur in tanto esiguo numeroIntorno al convoglio sono venuti a radunarsi venti o venticinque indios duna sporcizia senza paragoni. Uno che lo sa bene, mi dà la notizia che gllo sa bene, mi da la notizia aie giindios di aursta ninna non si lavanoIni P„qZ.h!riJn iava,loV'i'-cipio. nono, questi, nomini, donno, bimbtu fasce. Voglio dire: tutti quanti infasce. Il costume del neonato, e ce ogni brandello di pehe caprinaogni p<-zzo a; stuoia sottile, tutto èbnono per essere avvoltolato intorno e a i è a i i " e i i e o . e a s — o r o o a o e e , . a i e i alle gambe, al corpo, alle braccia di • questi intontitissimi abitanti dei <tpà-\ramos » ecuadoriani. Mi pare sia la prima volta che uso la parola « pàramos »: dì carattere strettamente andino. Gioverà una piccola delucidazione. ■zPàramos> è un'espressione che sta a mezz'aria tra le geografia fisica e la meteorologia. In un senso più rigorosamente letterale, « paiamo > significherebbe pioggia minuta e gelida, tormenta di nebbia. Ma nell'uso corrente dell'alta montagna sud-americana, e in modo specialissimo in Ecuador, sono chiamati « pàramos s> tutti quei pus-saggi oltre i tremila metri, dove questi turbini si abbattono con maggior frequenza. Urbina è il più famoso, Ma ecco il miracolo di queste terre! Quando ci rimettiamo in cammino, la strada ferrata scende verso una valle soffocata da una vegetazione rigogliosissima. Un'ora basta per trasferirsi da un paesaggio lunare ad un'oasi benedetta da tutte le ricchezze del tròpico. Si corre verso Ambato: la città-giardino dell'Ecuador, milleduecento metri più bassa d'Urbina. Siamo sempre in terra prettamente india; ma gli abitanti cambiano radicalmente d'abito e di volto. Gente più •viva, più pulita, più pasciuta. Alle fascie subentrano il classico « ponc7io » scorZotto., e le larghe brache pelose. Fauni in maschera. Una lunga fila di questi indios incappati di rosso, tra scorre lentissima sul sentiero tagliato a metà d'un poggio fronzuto: come un piccolo corteo di cardinali in villeggiatura. La città pomario Ambaio manda incontro ai viaggiatori, sotto la tettoia stessa della sua grande stazione, i segni più eloquenti della sua prodigiosa vitalità. Più che una stazione, si direbbe un gran mercato di frutta. Uomini, donne, ragazzi, bloccano addirittura il convoglio con una ressa fantasmagorica di cesti carichi d'ogni possibile grazia d'orto e di giardino. Pere, lamponi grossi come albicocche, uva di almeno dieci varietà, ciliege, mandarini, aranci, na scono qui come in nessun'altra parte del mondo; e ugualmente vi prospera ogni sorta di legumi. Ad Ambato ci sono circa trentamila abitanti, indios e meticci. V'è qualche industria, e vi si esercita un po' di commercio di legname; ma la fonte principale della propria economia, Ambato la deve ai biblici frutteti che non conoscono nemmeno il riposo delle stagioni. Ad Ambato vedo per la prima volta la più famosa leccornìa della Sierra: ■■■ las coccinilla s des indios ». Un profano potrebbe essere facilmente indotto a credere che si tratti, molto più semplicemente, di talpe allo spiedo: che la dimensione e la forma sono in tutto simile alle ospiti delle nostre chiàviche. Ma autorevolissime testimonianze mi rassicurano che talpe non sono. Un altro loro nome, più breve di quello corrente, è « cuyes Appartengono alla classe dei roditori e sono di una prolificità spaventosa, Gli indios le amano cotte quanto le odiano vive per i donni che arrecano ai loro campiceli) e ai loro frutteti. Il modo di cucinarle è molto spiccio Le « coccinillas vengono infilate, vive, in un lungo spiedo, sette o otto per volta, e tuffate nell'acqua bollen te. Poi sono -passate sulla fiamma vi va. Il repellente mostriciattolo che una vecchia, arrostita forse anche lei nel modo stesso, è venuta ad offrirmi per un « reale » {.quaranta centesimi) si ottiene così. Lo rifiuto, naturalmente. Il vecchio meticcio che mi è seduto vicino, ne sta sgranocchiando uno con voluttà, e un altro lo ha pronto sulle ginocchia intabarrate. Vede il mio gesto di disgusto, e si mette a ridere. — Usted no quierel — A'o qttiero. — Porquò'! Es muy bueno. — Yo lo cren. Stacca una coscictta e me l'avvicina alla bocca. dsihan, il luogo dell'ccutoiu- >i parlavo. Qui il binario — No quic-ro! No quie-ro.'... E tuffo i denti in una bella bananaodorosa, che tenevo gelosamente custodita nella tasca del pastrano. Il me-t:ccio fa una boccaccia, e si scuote tui-to. Vi dissi già che la banana, qui, è robo da porci. Una spaventosa ecatombe i\ Si rì.nnrte r -i ricominrin n salire o' „ XT > ., , '"'"ci,as<""°- o\Ecco Chanchan. il luogo dch'ecatom- \be di cui vi parlavo. Qui il binario , dcna jcrrmHa passava, prima della \9Ciagura, per il fondo valle, e poiché «^"phwoia frana nuera fatto preclpi- ,.avrebbe dovuto transitare ai li il treno è presidenziale, c le autorità volevano o]assolutamente evitare di costringere W Capo dello Stato a un faticoso trasbordo. Due ingegneri nordamericani giti davano e sorvegliavano il lavoro di sgombro. Le duecento pale, tutte in mono di indios vigorosissimi, erano già in attività da quattio ore, al lume dì numerose tordo piantate come alberelli ardenti lungo il fianco della montagna franata, quando avvenne, improvvisa, la nuova catastrofe « Crollò mezza montagna*. Chi racconta la tragedia,la riassume sempre, tutta, in queste tre parole. E basta, del resto, alzare gli ocelli per rendersi conto che in quell'espressione non v'è proprio nulla d'iperbolico. La montagna che sovrasta la linea appare letteralmente spaccata a metà, com,e se l'avesse tagliata così una mitica lama. Tagliata di netto, dal cocuzzolo alla base; ed è alta almeno duecento metri. La massa immane di terriccio e di pietra si rovesciò sulla gola, in fondo a cui la grossa squadra di terrazzieri stava lavorando, e la colmò. Ogni tentativo di salvataggio dei sepolti vivi risultò subito inutile: come fu inutile, in seguito, la ricerca delle salme. In quel punto, il paesaggio ha mutato faccia. Il treno, passa ora, infatti, su quest'altro versante della valle. Quito e i suoi fumaioli Eccoci a Latacunga, capitale della Provincia del Leone. « Latacunga 6 la città dei collilunghì »; dicono tutti, e ridono. Ma non mi pare che i cittadini venuti a veder passare il treno giustifichino questo battesimo. Chissà quale maligna storiella c'è sotto! Sfilano, sempre più spessi, i villaggetti indiani. La creta è il materiale da costruzioni più in voga. Anche le stalle sono fatte così: presèpi in plastilina. A mezzogiorno si tocca il punto più alto di tutto il viaggio: quasi cinquemila metri. Siamo alla stazione Cotopaxi: un altro «pàramo* celebre che nessuno si attenterebbe od attraversare di notte o con cielo grigio. Oggi ci splende un bel sole, e il gelido fiato dei nevai che lo contornano rallegra come una buona bibita frizzantina. Il Coiopaxi presiede una imponen vizio: il Cayambè, il Guamani, il Sa- raurcù, il Quilindania, il Quillitoa, « Tungurahua, per nominarne solo quaU ' CHNO. Più gravemente pregiudicati, fra tutti, il Cotopaxì (6090 m.) il quale, nel 1887, vomitò tonto di quel fango e di quell'acqua bollente da creare un fiume vero e proprio, che andò a sboccare nell'Oceano Pacifico, dopo un tragico cammino di oltre quattrocentocinquanta chilometri; e il Saranrcù, che nella memorabile esplosione del 1866, minacciò da ricino la capitale stessa. Pnre, bisogno vedere quanti fiditelo- si campi fioriscono e fruttificano al-l'ombra di queste cime minacciose. ioconca di Machaehi, verdissima, pin-gue, tutta pettinata di solchi, tnttasoffice e ondulosa di pàmpini, tuttasparsa di ville e di fattorie, ha una commovente aria di quadro toscano che non so dirvi il bene che mi ha fatto. Sceso a Quito, alle due del pomeriggio, non riuscivo più in nessuna maniera a ritrovare i personaggi e i chilometri dell", mia avventura. RENZO A1ART1NELL!.

Persone citate: Humboldt, Pere, Urbina, Whymper

Luoghi citati: Costarica, Ecuador, Quito, Sud America